MUSICA




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MUSICA
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L’Ariston pieno e i teatri vuoti?


E’ notizia di qualche ora fa che il 71esimo Festival di Sanremo si farà dal 2 al 6 marzo. Uno slittamento di quasi un mese sulla programmazione solita, ma la notizia vera non è questa: la notizia vera e insieme sconcertante è che il Festival si terrà con un teatro Ariston pieno di pubblico.

Dunque ricapitoliamo: teatri, cinema, concerti, trasmissioni televisive, set cinematografici, il Carnevale di Venezia, tutto ha subito drastiche limitazioni e chiusure. Il mondo della cultura e dell’arte è stato mortificato e decisamente abbandonato per via di questa pandemia, poi arriva Sanremo e come per magia, un teatro diventa accessibile a 500 persone (si tratterà di figuranti, forse medici, ndr) perché Amadeus, direttore artistico del Festival, ha deciso che o si fa così oppure nulla. Mi pare una posizione più che sensata in un periodo come questo, più che logico mettere da parte una pandemia mondiale per celebrare degnamente lo storico evento italiano.


Tanta è la premura di non lasciare vuote le poltrone dell’Ariston, che era saltata fuori persino l’idea di chiudere tutto il pubblico in una nave da crociera per tutta la durata del Festival; una sorta di Grande Fratello made in Rai; una vacanza, come l’aveva definita Amadeus, il quale afferma perentorio “nessuno deve essere messo a rischio, ma dobbiamo lavorare per fare un Festival il più normale possibile”. Mi pare giusto, caro Ama. Effettivamente, in tutto questo marasma che ci ha travolto, con famiglie che non riescono nemmeno a salutare i propri morti, con i ragazzi che vanno a scuola un giorno sì e dieci no e attività che chiudono credo proprio che la grande necessità che sentono gli italiani in questo momento sia esattamente quella di avere un Festival di Sanremo “normale”, con un “normalissimo” teatro pieno di 500 persone che si rompono i maroni come sempre dopo quattro ore di spettacolo, un pubblico che dopo il festival viene “normalmente” rinchiuso in una nave da crociera e liberato solo per assistere alle serate della kermesse.

Fortunatamente questa idea, peraltro incredibilmente “normale”, pare non sia condivisa dagli organizzatori e sia considerata anche poco praticabile. Mi chiedo come mai? Eh sì, Ama, proprio un’idea geniale in un periodo in cui in tutti i teatri che non siano l’Ariston di Sanremo al momento non entra nemmeno aria dalle finestre.

Sarebbe carino ricordare al direttore artistico che il Festival di Sanremo è soprattutto un programma televisivo e come tale non ha necessariamente bisogno di pubblico in sala, ma di una bella e sapiente regia, tanto più che quasi tutte le trasmissioni televisive in questo momento stanno andando in onda assolutamente senza pubblico e non mi pare siano andate fallite, anzi. Tra l’altro la kermesse sanremese dovrà necessariamente subire altre limitazioni: penso, ad esempio, a tutti gli eventi e le esibizioni che avvenivano in giro per la città o al tema della permanenza in hotel di tutti gli ospiti, le cene e gli assembramenti vari. Forse Amadeus si è un attimo estraniato dal mondo reale, forse lo ha fatto per paura o per disperazione, chissà. Sta di fatto che trovare “normale” riempire un teatro con 500 persone e voler fare a tutti i costi il solito Festival della canzone italiana durante una pandemia, sa tanto di totale disconnessione con la realtà.

E’ probabile che Amadeus abbia perso di vista quale sia la nuova normalità e quanto sia importante per un personaggio popolare come lui – che tra l’altro lavora ancora a pieno ritmo, al contrario di altri – lanciare un messaggio diverso da “Sanremo è Sanremo e voi non siete un *****”. A maggior ragione se si parla di un evento dalla risonanza mediatica così grande e potente, che avrebbe potuto essere invece l’occasione per comunicare all’Italia che questo momento necessità della collaborazione e del sacrificio di tutti, nessuno escluso. Invece quello che resta è un conduttore che fa le bizze e la solita fottuta sensazione che se siamo in questa situazione è anche perché ognuno pensa a brillare sul proprio palcoscenico, a spese del buio che c’è intorno a sé.