MUSICA




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Nasce Sanremo 2021 e già si litiga - di Marinella Venegoni


Sembra impossibile, ma appena si pronuncia la parola «Sanremo», com’è avvenuto nei giorni scorsi alla conferenza stampa della programmazione futura di Raiuno, cominciano le polemiche, e scendono in campo truppe avverse e diversamente armate. Annunciato che il Festival 2021 sarà costruito e condotto, come l’anno scorso, da Amedeus con Fiorello, e che andrà in onda dal 2 al 6 marzo, nel tentativo di sfuggire a una non augurabile ripresa del Covid-19, ieri è subito entrato a piedi giunti nel meccanismo della gara Enzo Mazza, il presidente della FIMI (Confindustria dei discografici, associazione che riunisce le major) che ha chiesto - sul sito del Corriere della Sera - che a votare per le canzoni in sala stampa siano solamente i giornalisti che scrivono di musica durante tutto l’anno.

La sala stampa del Festival è diventata nel tempo uno degli scenari immancabili della kermesse, per via del suo indubbio appeal. Al piano di sopra del teatro Ariston, è una specie di colorato e rumoroso suk, con lunghi banchi come a scuola una volta, dove convivono con i giornalisti musicali (una minoranza) colleghi che nella vita professionale si occupano d’altro: di televisione, di pettegolezzi, di costume ma anche di politica: perché a Sanremo di politica ce n’è tanta, e chi segue lo spazio dedicato dai media al Sanremone sa bene che, alla fine, in quei giorni, le canzoni sono l’ultima cosa che interessa, sommerse come appaiono da tutto il contorno.

Negli ultimi due anni, il voto dei giornalisti (due per testata) è stato sistematizzato all’interno del regolamento, ed è diventato fondamentale per la vittoria di artisti che rappresentano quanto si sta agitando di nuovo nel mondo italiano delle 7 note: più fortunato in realtà nel 2019 Mahmood, il cui lavoro è esploso fuori dai confini patrii, e che per un soffio non si è portato a casa anche la vittoria all’Eurovision Song Contest, arrivando secondo; ma netta è stata anche la conquista del primo posto di quest’anno per Diodato, che ha vinto poi anche un David di Donatello (anche se va detto che la sua canzone non ha martellato come «Soldi», anzi: nessuno l’ha mai scritto però).

La Fimi, per voce del suo Ceo, chiede dunque adesso che questo voto dei giornalisti diventi specialistico e non più generico: Enzo Mazza ha detto ad Andrea Laffranchi del Corriere che «Dalla sala stampa dovrebbe emergere un voto tecnico sui brani», abbandonando la scelta di coinvolgere i colleghi che provengono da altri mondi contigui al core business di Sanremo, e che finiscono per votare un po’ come il pubblico del televoto, o la giuria demoscopica.

Non è una proposta da poco, cambierebbe gli equilibri e i risultati finali che escono da questa folla magmatica di colleghi ansiosi di essere «a part of it», come cantava Sinatra in «New York New York». C’è gente in sala stampa che ritiene la partecipazione al voto uno status symbol e sarebbe pronta a calpestare le aiuole pur di fare le scarpe al prossimo. Piccole miserie della vita.

Per tornare alla proposta Mazza, da una parte la valutazione tecnica viene già espressa con il Premio della Critica intitolato a Mia Martini; dall’altra questo piccolo mondo antico dei giornalisti musicali è tutto l’anno esposto alle lusinghe delle etichette e del mondo della promozione, diventati sempre più invadenti, come del resto in molti altri settori.

La situazione si è ulteriormente complicata con un tweet di Dario Giovannini della PMI, discografici indipendenti, secondo la quale il peso della sala stampa va mantenuto com’è. Seguiranno diatribe infinite che porteranno alla decisione finale, e delle quali al pubblico e ai lettori non importerà praticamente nulla. Però, siamo al 20 luglio 2020 e già stiamo parlando di Sanremo 2021.