MUSICA




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Le radici di Guccini in finale al Campiello


Il viaggio di Francesco Guccini alla riscoperta delle radici è lungo una vita. 80 anni (li compie il 14 giugno «senza molta voglia di festeggiare») di canzoni e libri e pensieri, buon ultimo «Tralummescuro», edito da Giunti ed entrato ieri nella cinquina del Campiello. Un libro fedele alla sua storia di cantautore, che prende proprio origine da uno dei suoi dischi mitici, «Radici» del 1972, raccontando di uomini, di cose e ricordi di una terra antica, la sua. «Mi fa davvero piacere essere tra i finalisti. Sono molto affezionato a questo libro – dice lui – Il vero protagonista è il paese di Pavana, è un racconto di una civiltà contadina che non esiste più, come non esistono più i personaggi che ci vivevano, molti dei quali se ne sono andati per ragioni anagrafiche. Adesso non c'è più nessuno, non c'è più nemmeno il campo di camomilla davanti al mulino di mio nonno e i tanti animali delle famiglie».

Le radici di Guccini in finale al Campiello
Il titolo «Tralummescuro» rimanda al momento magico di passaggio tra la luce e la notte, il «twilight» degli inglesi. «Noi da queste parti abbiamo un nome per quest'ora – dice Guccini – un'ora che è di tutti, un'ora che è pace e presagio. La chiamiamo tralummescuro: tra la luce e la notte». Tra il lume e lo scuro, tra realtà e sogno, tra malinconia e ironia, una costante del suo viaggio letterario e musicale, come si addice a «una ballata di ricordi, di persone e di cose del tempo perduto, un viaggio tra passato e presente – dice il cantautore – . Sono molto legato a Pavana: non ci sono nato, ma quasi, l'ho vissuto, ho vissuto la gente che ci abita e che ci abitava». Un orizzonte piccolo ma proprio per questo aperto all’infinito della fantasia.

«ed io, l'ultimo, ti chiedo se conosci in me qualche segno, qualche traccia di ogni vita
o se solamente io ricerco in te risposta ad ogni cosa non capita»

Le radici di Guccini in finale al Campiello
Il disco «Radici» esce nel 1972, in copertina c'è una foto di famiglia con i bisnonni di Francesco con dietro i quattro figli, tra i quali il nonno e il suo prozio, che poi ha cantato in Amerigo. Guccini ha 32 anni: «Ero entrato a quei tempi in un piccolo trantran provinciale tranquillo, cantavo tutti i giovedì sera per pochi amici all'Osteria delle Dame, a Bologna, insegnavo e pensavo che tutto si sarebbe fermato lì. “Radici” raccoglie una serie di esperienze come una sorta di ‘summa’: c'è “Piccola città” che è Modena, c’è “Radici” che è Pavana e la casa dei nonni, c'è “La locomotiva” con le sue matrici vagamente politiche, c'è “Incontro” come rivisitazione di un'amicizia».



«Ma è inutile cercare le parole, la pietra antica non emette suono o parla come il mondo e come il sole, parole troppo grandi per un uomo»
Il tema centrale rimane sempre la memoria, «un bene prezioso per orientare i nostri passi, anche in tempi difficili come quelli che viviamo». Anche se Guccini, il lockdown, non l’ha particolarmente patito. Il suo ritiro l’ha iniziato ormai da anni, nell’Appennino tosco emiliano, dove vive con la moglie. Le limitazioni fisiche del resto contano poco quando si può viaggiare con la mente. «La letteratura, per me, è sempre stata il luogo della scoperta e della riscoperta, lo spazio straordinario in cui le parole sprigionano il loro potere e salvano la memoria dall'oblio che il tempo porta con sé» .

«La casa è come un punto di memoria, le tue radici danno la saggezza
e proprio questa è forse la risposta e provi un grande senso di dolcezza»