MUSICA




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Ghemon, ecco "Scritto nelle stelle"


In questo periodo di pandemia dove tutto nel mondo della musica sembra fermo c'è qualcuno che decide comunque di uscire con un lavoro nuovo. Come Ghemon, che pubblica "Scritto nelle stelle", sesto album della sua carriera. "Cerco di essere me stesso, Essere fuori dal gregge può essere dura, ti fa sentire solo - dice a Tgcom24 -, ma è anche motivo di orgoglio perché so che molti mi apprezzano per questo".


Sono passati tre anni da "Mezzanotte", l'album nel quale Ghemon raccontava il passaggio nel tunnel della depressione. Da allora molto è cambiato. Sono arrivati un'autobiografia, un tour durato oltre due anni, collaborazioni e un Festival di Sanremo che lo ha messo sotto gli occhi del grande pubblico in una luce diversa. E tra un impegno e l'altro sono nati i brani di "Scritto nelle stelle". Un disco che rappresenta per lui un traguardo importante oltre che un ulteriore passo in avanti nell'affinare uno stile musicale che mette insieme vari mondi per arrivare a un punto di caduta che lo rende unico e riconoscibilissimo. "Ho iniziato a lavorare all'album prima ancora dell'ultimo Sanremo a cui ho partecipato, quindi parliamo di ottobre del 2018 - spiega -. In tutto ci ho messo quasi un anno e mezzo".



Ai giorni d'oggi è un tempo quasi inimmaginabile per la realizzazione di un disco...

Vorrei specificare che non sono lento. Non è che scrivo una parola ogni tre giorni. Anzi. Ma sono artigianale nel mio metodo, quindi tendo a fare, levigare, scegliere le cose che stanno meglio insieme per fotografare nel modo migliore il mio momento. Quindi è stato un anno e mezzo di produzione più o meno continua per arrivare a questo risultato.



Quindi hai anche messo da parte tanto materiale?

Sì, io scrivo sempre tanto e metto da parte. Il che non significa che poi utilizzi tutto. Spesso ci sono cose che non mi va di riaprire semplicemente perché sono mezzi tentativi. Poi ci sono cose altrettante valide di quelle entrate nel disco ma magari ripercorrevano una stessa atmosfera di canzoni già presenti Comunque non butto via niente, magari in un futuro potranno avere una chance.



Perché hai voluto intitolarlo "Scritto nelle stelle"?

L'intenzione era quella di sottolineare la volontà di fare un passo di lato rispetto alla scena della mia vita. Tu sei il protagonista della tua vita e quindi è difficile avere un quadro generale di tutto ciò che ti accade. Lo pupoi cogliere quando riesci a fare un passo di lato. Allora arrivi a pensare che anche i percorsi difficili siano un disegno che poi ti porta a una crescita e a una maggiore consapevolezza. Un disegno al di sopra di te, scritto nelle stelle.



ghemon 2020 scritto nelle stelle


Il primo brano del disco è la porta per entrare nel tuo mondo, e in questo caso è "Questioni di principio", un pezzo ricco di significati.

L'ultima cosa che avevo fatto era stata "Rose viola" e una parte del pubblico poteva pensare che fosse l'inizio di un cambio di marcia per un percorso che prevedesse meno contenuti e maggiore leggerezza. Invece desideravo mettere subito in chiaro che dalle tante esperienze comunque mantenevo fermi i principi su cui mi muovo. I compromessi si fanno, per carità, ma vanno affrontati con coerenza e bisogna saper anche dire dei no.



Nel testo parli di persone "che analizzano ogni errore sotto il microscopio / incutermi terrore è il solo loro scopo", evochi i confini che devi mettere a chi ti gira attorno e sottolinei come "la gente percepisce come una minaccia quello che non le è vicino". Ti senti una mosca bianca rispetto a ciò che ti circonda?

Sì, a volte è così, ma è una medaglia a due facce. Perché spesso ti fa sentire solo. Come tutti ho un bambino nel mio profondo che non vorrebbe fare altro che essere incluso e giocare con gli altri. E così ogni tanto ti chiedi cosa stia facendo di sbagliato. Poi ci sono i momenti in cui essere una mosca bianca è qualcosa di cui andare fieri, perché ti rendi conto che le persone ti apprezzano proprio per quello. E comunque altri modi di essere non li conosco e non mi farebbero guardare allo specchio con serenità.



"Questioni di principio" è un brano particolare anche dal punto di vista delle atmosfere. Da cosa è ispirato?

E' una canzone che risente di tantissime cose che ho ascoltato negli ultimi anni, soprattutto di quel mondo a cavallo tra il rap e l'r'n'b, che soprattutto negli Stati Uniti è ormai mischiato, con i rapper che cantano e i cantanti che rappano. Volevo creare inoltre un contrasto dicendo delle cose forti, dei "no" molto precisi, ma su una parte musicale morbida e melodica.



All'opposto il brano di chiusura, "K.O.", è di grande impatto.

Mi piace molto l'idea che un disco sia una conversazione, con un inizio e una fine. "K.O." è una canzone che spinge a livello sonoro, molto di impatto, una cosa che ho imparato dai concerti. Mi sono accorto di amare molto un ritmo in crescendo, con un finale forte e non tranquillo. Per questo "K.O." è in quella posizione. Inoltre tira un po' le somme su quello che mi è successo ed è effettivamente la parte B del pezzo iniziale, perché ribadisce che bisogna farsi trovare pronti a non farsi distrarre da quelli che non vogliono che tu resti te stesso.





"Buona stella" è un pezzo sulle sfide. Qual è la tua sfida al momento?

Ce ne sono diverse. A partire dal fare uscire un disco in un momento come questo. Cambia il modo in cui porti il disco alle persone e cambia la fruizione. Ma non volevo che fosse buttata via una cosa nella quale ho messo tanta parte di me. L'altra sfida è capire tutte le modalità per far diventare questo momento lo spunto per musica nuova che sia musica di felicità Questo è un periodo difficile per tutti ma vorrei farlo diventare lo spunto per qualcosa che scacci i pensieri cattivi.



E' un atteggiamento interessante anche perché va controcorrente rispetto a molte cose che si sentono ispirati a questi giorni e che hanno tutt'altro mood...

Stavo ascoltando per caso l'altro giorno il demo di un brano che avevo fatto più di un anno fa e che alla fine non è finito nel disco. Il ritornello dice "va tutto bene anche se non ci va". E' questo lo spirito: ridere in qualche modo anche delle cose amare, che non significa non rendersi conto di quello che sta accadendo ma trovare anche lo spunto per farsi una risata.



A tal proposito sei diventato una vera Twitstar con post che mettono in mostra una vena ironica e autoironica travolgente. Che rapporto c'è tra quel Ghemon e quello che scrive le canzoni?

C'è una parte della mia personalità è abituata a ridere e al ragionamento che porta a una risata. La mia passione per la stand-up comedy americana deriva da questo: non sono cabarettisti ma dei monologhisti che ti fanno riflettere e anche ridere. Non dico che farò una parte della mia carriera così ma è certo che quella parte di me chiede di parlare. Quindi l'idea di scrivere qualcosa di più elaborato di un semplice tweet da portare sul palco in questo momento è molto concreta.



Il tuo percorso artistico ha vissuto un'evoluzione evidente, partendo dal rap per incrociare stili e abbattendo barriere. "Scritto nelle stelle" è per te un punto di arrivo o l'inizio di un nuovo percorso?

Sicuramente per me è un grosso punto di arrivo. Essendo il mio sesto album credo sia quello che spieghi meglio tutti i presupposti che c'erano nei lavori precedenti. Qui ho sviluppato tutte le cose che volevo fare. Sono stato a lungo intrappolato nel dover fare una cosa sola. Qui ho potuto spaziare di più tra tutte le cose che mi piacciono. Quindi sicuramente non è un disco di passaggio ma un approdo importante.



In questo periodo molti non escono con dischi anche perché impossibile fare instore per promuoverli. Tu hai lanciato l'idea dell'instore digitale. Ce la spieghi meglio?

Chi ha ordinato il mio album sul sito di MusicFirst potrà avere con me un incontro virtuale, dal 27 aprile. Stiamo valutando esattamente come fare perché, facendo un calcolo ideale, se solo fossero 300 fan, dedicando 5 minuti a ciascuno di loro arriveremmo a 30 ore di videochiamate. Quindi stiamo cercando di capire come farlo perché sia per tutti un momento divertente ma anche sostenibile da un punto di vista lavorativo.



Per i fan potrebbe essere un'esperienza persino più soddisfacente di un classico instore.

Lo spero. Ovvio che quando fai musica la fai per farti ascoltare ed apprezzare. Ma oltre a questo c'è un nucleo di persone affezionate, non ascoltatori casuali, che mi sostengono da sempre, che interagiscono con me tutti i giorni. E queste sono le persone a cui sono più grato e volevo fare qualcosa per ridare qualcosa indietro a loro.



Massimo Longoni