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Se ne va la generazione dei ragazzi degli anni '60

Se ne va la generazione dei ragazzi degli anni '60
Vecchi. Come fossero vuoti a perdere, morti che camminano. Nove su dieci sono vecchi ti racconta la macabra contabilità del Covid-19, ottant'anni di media

Massimo M. Veronese - Lun, 30/03/2020 - 17:00

Vecchi. Come fossero vuoti a perdere, morti che camminano. Nove su dieci sono vecchi ti racconta la macabra contabilità del Covid-19, ottant'anni di media: non ti condanna il virus, ma non avere più un futuro, come se fosse una colpa non servire più a niente, non avere più nulla da sognare per raggiunti limiti di età.


Il nonno che muore è diventato un sospiro di sollievo, rassicurante a modo suo, perché ti dice siamo noi, i ragazzi che furono, la prima linea che muore, se tocca a noi non tocca a te, come ti tranquillizzano sempre i nonni prima di chiudere la porta e andare via. «La generazione più anziana paga un prezzo altissimo - ha detto il presidente Mattarella - Ci sono comunità duramente impoverite dalla loro scomparsa».

«Duramente impoverite» è dire poco. Quelli che se ne vanno sembrano figli del passato remoto, ma non è così, nessuno è più presente di loro in tutto quello che siamo. I vecchi che muoiono negli ospizi come soldatini di piombo, in casa soli, senza nessuno che se ne accorga o negli ospedali infilati nelle bare che bruciano senza nemmeno un ultimo saluto, sono ragazzi speciali, unici e irripetibili, sono i ragazzi che avevano vent'anni negli anni Sessanta, i ragazzi del miracolo economico e della contestazione studentesca, dello sbarco sulla Luna e della tivù con un canale solo, della 500 per tutti e delle prime minigonne, l'Italia della metropolitana e dei juke box, l'Italia che ha l'età di Mina e Celentano, che ha vissuto, senza impazzire, il più spaventoso, rapido e tumultuoso cambiamento della storia dell'umanità, che ha assorbito in pochi anni quello che i loro nonni e bisnonni hanno digerito in millenni. Se ne va una generazione di bambini usciti dalla guerra che ha costruito l'Italia, gli ha dato storia, ricchezza, spessore, ideali. Che ci ha dato quello che siamo.

Le nonnine che vedete andare via in silenzio e che vi sembrano niente sono le donne che hanno guidato e sostenuto il miracolo economico, non solo come risparmiatrici: erano quelle che decidevano cosa comprare, se mangiare la carne in scatola o la carne fresca, se andare dal parrucchiere o arrangiarsi con i bigodini. Temute e rispettate dalla pubblicità e dall'industria: «Al primo posto c'è la donna - elencava le sue priorità il presidente della Rinascente Aldo Borletti - poi c'è il cane, il cavallo e quarto l'uomo». Sono loro che governano l'economia, che crescono i figli nell'era della grande scolarizzazione di massa, che abbattono le frontiere del costume e dei diritti civili.

Sono i giovani, piccoli artigiani e meccanici diventati imprenditori che vedono passare il boom e lo prendono al volo, sono il mezzo milione di uomini e donne che lasciano le campagne per andare a vivere in città, sono gli operai, a milioni, che fanno andare le fabbriche come locomotive. La loro è l'Italia che raddoppia il reddito e poi precipita negli anni di piombo illusa solo dall'idea del progresso garantito e illimitato, ma anche l'Italia che realizza in quegli anni più progressi che negli ottantacinque anni della sua Storia, l'Italia dei consumi di massa che fa emergere un'Italia sempre più libera, l'Italia che cancella l'analfabetismo e introduce i diritti dei lavoratori, l'Italia che scopre il benessere e il tempo libero. Ci sono i giovani saggi e tranquilli delle tre emme, «moglie, macchina, mestiere», l'impiego, la carriera, la festa aziendale, i piccoli amori del sabato sera, il matrimonio con la collega, e i giovani della contestazione, della fantasia al potere, degli ideali da portare in piazza.

Non sono ragazzi come tutti i vecchi che se ne vanno. Sono i ragazzi che hanno inventato i supermercati, gli spaghetti western il made in Italy, che regalavano l'orologio da polso per la prima comunione. Non dite che sono come i vecchi di Baglioni quelli che se ne vanno «senza un corpo e senza una carezza, sempre tra i piedi, chiusi in cucina se viene qualcuno, i vecchi che non li vuole nessuno, i vecchi da buttare via». Sono la parte migliore di noi. E nessuno di noi sarà mai come loro.