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MUSICA
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Perché anche se stiamo in casa ascoltiamo meno musica in streaming?


Perché anche se stiamo in casa ascoltiamo meno musica in streaming?
Giovanni Ansaldo, giornalista di Internazionale
9 aprile 2020

Il fatto che metà della popolazione mondiale sia costretta a stare in casa per via della pandemia dovrebbe essere un bene per aziende come Spotify e Apple Music. E invece no. Il consumo di musica in streaming, come già era successo in Italia nelle scorse settimane, è in calo anche negli Stati Uniti: secondo cifre diffuse dalla Alpha Data, tra il 13 e il 19 marzo il numero di riproduzioni è calato del 7,6 per cento. In Italia, secondo dati non ufficiali diffusi nelle prime settimane di distanziamento sociale, il calo sarebbe stato addirittura di circa il 20 per cento.

Secondo gli esperti statunitensi in questo momento le persone preferiscono guardare notizie in tv: tra il 13 e il 19 marzo gli ascolti della Cnn sono cresciuti del 119 per cento rispetto alla settimana precedente, quelli di Fox News del 60. Mentre lo streaming video – Netflix, Disney+, Apple Tv – nello stesso periodo è salito del 7 per cento. Si parla di un 10-12 per cento in più di nuovi abbonati per queste piattaforme.

Quali sono i motivi del calo di Spotify e di aziende che offrono servizi simili? Oltre al maggior tempo dedicato al video, ci sono altri fattori in grado di spiegare la situazione. L’interruzione del pendolarismo può essere uno di questi: molte persone di solito ascoltano musica in macchina mentre vanno al lavoro, oppure sui mezzi pubblici. E poi c’è anche da considerare che tanti lo facevano in palestra, luoghi ora chiusi come molti altri.

I concerti
Inoltre, stando in casa tanti per comodità potrebbero usare lo stesso account (vale per le coppie, ma anche per i componenti di una famiglia, o tra coinquilini. E poi c’è la questione bambini: i figli sono un grande impegno e un’ovvia fonte di “distrazione” dalla musica. Non è un caso che, analizzando lo studio della Alpha Data, viene fuori che la musica per bambini è uno dei tre generi a essere cresciuto: +3,8 per cento tra il 13 e il 19 marzo. Un piccolo incremento c’è stato anche per il folk (2,8 per cento) e la musica classica (+1,5 per cento), mentre gli altri generi sono in forte calo (la musica latina ha perso il 14,2 per cento).

E poi ci sono i concerti in diretta streaming: il fatto che molti artisti – da Jovanotti a Miley Cyrus – si siano buttati su Facebook e Instagram per intrattenere i loro fan dal salotto di casa sta sicuramente togliendo tempo ad altre forme di fruizione della musica.

Le perdite economiche al momento non sono alte, perché le versioni premium di Spotify, Apple Music o Tidal sono per utenti abbonati, che difficilmente lo cancellano subito, ma a lungo andare, come dimostra uno studio recente della Kagan, le cose potrebbero mettersi male.

Al momento inoltre la pandemia di covid-19 sembra aver fermato la pubblicazione di alcuni dischi che sarebbero stati in grado di alzare le statistiche. Kendrick Lamar, per esempio, avrebbe dovuto far uscire il suo nuovo disco a marzo 2020 ma ha rinviato la pubblicazione. C’è anche chi ha fatto il ragionamento inverso, come Childish Gambino e Drake, ma per il momento sembrano delle eccezioni. I mezzi d’informazione e la comunicazione sui social network sono affamate di novità, ed è scontato che un rallentamento delle uscite possa influenzare in negativo lo streaming.

Le etichette indipendenti
Spotify, Apple Music e altre aziende che offrono servizi simili rappresentano ormai una grossa fetta delle fonti di ricavo dell’industria discografica (il 79 per cento negli Stati Uniti), soprattutto per le cosiddette major (Sony, Warner, Universal). Ma come se la stanno cavando le etichette discografiche indipendenti?

Emiliano Colasanti, fondatore della 42 Records, l’etichetta che in questi anni ha lanciato, tra gli altri, I Cani, Cosmo, Colapesce e Andrea Laszlo De Simone, conferma che il momento è difficile. “Il calo sui servizi di streaming per i miei artisti c’è stato, soprattutto all’inizio del periodo di distanziamento sociale, anche se poi si è stabilizzato. Direi che è sceso circa tra il 10 e il 15 per cento. E in generale la situazione è difficile, non lo nego, soprattutto per quanto riguarda i concerti. La musica è la prima cosa che si è fermata ed è l’ultima che ripartirà”, dice.
Riguardo al calo generale dello streaming Colasanti spiega: “Penso che sia dovuto al fatto che i ragazzini, il target principale di Spotify e Apple Music, ascoltano meno musica di prima. Se un gruppo di amici vuole sentirsi il nuovo disco di tha Supreme magari si riunisce intorno a una cassa bluetooth, oppure se lo ascoltano a scuola al cambio dell’ora, o in palestra. In casa le abitudini sono diverse. Non a caso il consumo di videogiochi è cresciuto tantissimo. Se penso al mio caso, che sono un adulto ma sono abituato a usare tanto Spotify, per esempio mi sono reso conto che tra quattro mura preferisco dedicarmi ai miei dischi, una cosa che di solito ho poco tempo per fare”.

Far uscire dischi in questi giorni è difficile, ma l’arte non si deve fermare

“Lo streaming sta tirando su l’industria discografica dal punto di vista dell’immagine, ma meno a livello economico. I ricavi che questi servizi garantiscono agli artisti e alle etichette, come sappiamo bene, sono bassi”, aggiunge Colasanti, “sicuramente la major hanno cataloghi molto estesi e quindi per loro il calo ha un impatto maggiore. Un’etichetta indipendente come la mia invece è legata molto di più ai supporti fisici, soprattutto al vinile. E quello non ha avuto una flessione, anzi. In questi giorni abbiamo avuto una media molto buona di ordini di 45 giri da parte dei clienti direttamente sul sito della 42 Records”.

Che cosa può fare un discografico in questo momento? Ha senso pubblicare un album, o è meglio aspettare? “Far uscire dischi in questi giorni è difficile, perché i canali promozionali sono occupati da altro, a partire dalle notizie”, risponde Colasanti. “Ma c’è anche un aspetto etico: io a promuovere nuove cose mentre gli ospedali sono pieni di gente che sta male mi sento un po’ uno scemo. Quindi nelle prime due settimane mi sono fermato. Ora piano piano comincio a pensare che, nonostante tutto, l’arte non debba farlo. Lo dico da fruitore. Se esce un disco di un rapper statunitense che mi piace sono contento. Quindi con la 42 Records stiamo facendo uscire qualche singolo che ci sembra adatto al momento, mentre altri li sposteremo. Il disco di Colapesce e DiMartino per esempio verrà rinviato, anche se la situazione in quel caso è complessa. Non è una cosa normale, è una collaborazione tra due cantautori che era pensata per succedere in questo periodo preciso, con un disco, un tour nei teatri ad aprile e uno estivo. All’inizio abbiamo pensato di organizzare solo il tour estivo, ma in questo momento non siamo sicuri di riuscire a farlo. Però comincio a pensare che l’album dovrebbe essere pubblicato lo stesso, magari a inizio giugno. Ad alcune persone farà bene ascoltarlo”.

Colasanti è ottimista, ma è anche preoccupato di una cosa. Al di là di quando le cose ripartiranno, sarà importante capire anche come ripartiranno. “Nonostante quello che si sente dire in giro, non siamo in guerra, dobbiamo semplicemente rispettare delle regole civiche e sanitarie. Questa sensazione di stare sempre all’erta non fa bene. Gli appassionati di musica non devono cambiare mentalità, devono ricordarsi che ascoltare i dischi e andare ai concerti è una cosa meravigliosa e che i live in streaming non sono l’alternativa, ma un palliativo. Anche perché i concerti non li fanno solo i musicisti, ma anche tutte le persone che li rendono possibili, come i tecnici e gli operai, che senza i tour non si possono guadagnare da vivere. Quindi armiamoci di pazienza, resistiamo, e ci ritroveremo tutti sotto un palco, prima o poi”.