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Vasco Rossi si sfoga su Facebook: «Io, un emarginato di lusso: non posso andare da nessuna parte»

Vasco Rossi si sfoga su Facebook: «Io, un emarginato di lusso: non posso andare da nessuna parte»
Il rocker di Zocca ha pubblicato sulla sua pagina una riflessione sul suo rapporto con il successo, citando uno stralcio di un suo libro-intervista di quindici anni fa
di Arianna Ascione
Vasco Rossi si sfoga su Facebook: «Io, un emarginato di lusso: non posso andare da nessuna parte»shadow

Un emarginato. Di lusso, ma pur sempre emarginato: così Vasco Rossi si descrive in un messaggio pubblicato sulla sua pagina Facebook . Il rocker di Zocca, che ha sempre fatto della verità il suo vessillo, si è lasciato andare ad una riflessione in cui affronta il suo rapporto con il successo, citando un passaggio di un suo libro-intervista “Qui non arrivano gli angeli - Conversazione con Vasco Rossi”con Massimo Cotto, pubblicato nel 2005, quindici anni fa.

«All’inizio essere famosi era molto divertente...»
Ebbene Vasco dice: «All’inizio essere famosi era molto divertente - racconta - perché la vivevo come una conferma che esistevo. I primi successi mi diedero l’illusione di aver risolto tutti i problemi. Poi sono arrivati i prezzi da pagare». Il Blasco ovviamente è consapevole di non potersi lamentare («sarei un pazzo») perché «la popolarità è la conferma del valore» delle cose che ha fatto, ma ha un unico, grande, rimpianto: «Mi spiace solo non poter camminare per strada, entrare nei negozi, entrare in un locale tranquillamente». Tutti lo conoscono, «ma io non conosco nessuno, perché ogni rapporto è comunque falsato». Quando la situazione si fa troppo pesante c’è una sola soluzione: «Ogni tanto parto e vado all’estero, dove non mi conosce nessuno. E li mi mescolo alla gente e sto bene».

«Come fanno Bono, Dylan e Mick Jagger»
Come fanno personaggi come «Bono, Dylan o Mick Jagger» a gestire la popolarità? «Io ho bisogno della gente, il palco da solo non basta, il rock forse ti salva la vita all’inizo ma non per sempre, perché quando si spengono le luci, il concerto finisce, il disco esce e la gente smette di acclamarti, tu torni a essere quello che sei». Il successo insomma può rivelarsi un’arma a doppio taglio: «Tende a forzarti la mano, a far crescere dentro te la sensazione che tu esista nel mondo in cui ti vede la gente. Ma è sbagliato, perché se credi a queste cose, allora devi accettarne anche le conseguenze: che tu esisti solo se c’è qualcuno che ti vede. E quando non ti vede nessuno? Ti ammazzi?». E constata il cantautore. «Per fortuna questi ragionamenti, queste aberrazioni – vogliamo chiamarle cosi? – non influenzano la composizione. Quando scrivo, ho una sola certezza: quello che hai fatto prima non conta nulla, perché nel rock non esiste la riconoscenza. Non esistono meriti pregressi che ti facciano star comodo. Se tu smetti di fare grande musica, non è che la gente continua a seguirti solo perché una volta la facevi».