MUSICA




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Vinicio Capossela e il suo 'Bestiario d’Amore': intervista


Mentre sui fornelli una miscela di caffè balinese fa pigramente attendere il suo richiamo, il mondo intorno al quale si muove Vinicio Capossela sembra avanzare a un ritmo più lento. Nella sede della Cùpa, l’istrionico cantautore, in un’atmosfera sospesa tra oggetti e cimeli di ogni risma, ci illustra il suo personale bestiario, un racconto denso di suggestioni che arriva da un’epoca lontana, quella medioevale, dove, in una società cavalleresca, per dichiarare i propri sentimenti era necessario un segnale istituzionale. Eppure, nonostante il linguaggio sia cambiato, la casistica dei comportamenti umani alla fine è rimasta la stessa, tanto che nei nostri coinvolgimenti emotivi potremmo essere, per analogia, identificati con gli animali. Reali, fantastici, ibridi o mostruosi che siano, la grande parata di creature presente in “Bestiario d’Amore” caratterizza un’opera senza tempo per musica e immagini di una carriera che ha declinato in mille forme differenti il tema dell’amore e delle bestie.


In questo album sono racchiusi due temi importanti della tua carriera: l’amore e le bestie. È stata una scelta naturale?

Nella covata delle ballate di cui mi sono occupato non poteva mancare un “Bestiario D’Amore”. C’erano buoni motivi per pubblicarlo a parte, visto che non si tratta di una canzone ma di un vero e proprio componimento come non ne ho mai fatti in precedenza. Un poema musicale, per pianoforte e orchestra, che trae ispirazione da un’opera del 1200 di tale Richard de Fournival, realizzato per descrivere lo stato dell’attrazione amorosa. Senza alcuna funzione morale o religiosa, mette in scena le leggi che governano l’amore usando il simbolismo e l’allegoria degli animali così come erano conosciuti all’epoca medievale. Trovano spazio nel “Bestiario” una quantità di creature a metà tra l’uomo e l’animale come il Minotauro, il Licantropo, la Medusa. Ho sempre avuto una certa inclinazione per il mostro perché nella condizione dell’infebbramento amoroso tutti diventiamo mostri per questa esigenza di mostrarci. L’amore ha una valenza universale, perché rappresenta la prima esperienza dei nostri limiti e tutto questo viene espresso in modo colorato e quasi comico nel “Bestiaro”. D’altro canto permette anche di deformarci perché la metamorfosi che opera la condizione amorosa è mostrificante. In effetti l’amore produce un sacco di mostri.

Usi l’allegoria degli animali per descrivere l’amore. I sentimenti sono un punto di contatto con la natura?

L’amore alla fine è un fatto culturale. Sarebbe bello se fosse il territorio dell’istinto. In fondo questioni come sesso, amore e morte sono elementi di disordine del vivere associato che si cerca di regolamentare in quanto scompaginano l’ordinarietà. Così come la nostra società ha vaghe memorie di riti dissipatori della festa, anche la sessualità ha perso molto di questa valenza che mina gli equilibri ed è diventata più che altro una forma di trasgressione. Dovrebbe però essere quella parte di noi che più ci permette l’accesso all’elemento della natura, il nostro ambito di naturalezza primigenia. In questo anche la rappresentazione degli animali ha in comune un approccio simile, legato a un immaginario culturale, che però continua a esercitare su di noi il richiamo al mistero dell’origine, visto che noi ormai abbiamo reciso il collegamento con la nostra parte profonda.

In questo disco hai fatto a meno di alcune convenzioni, come la forma canzone. Questo tipo di racconto richiedeva una forma diversa?

È un’opera a sé stante, volevo che la musica fosse parte del racconto e non solamente il tramite per trasmettere una storia e, a sua volta, anche evocazione di quelle parole. Musicalmente sono state evocate le movenze, un poema animato fuori dal canone della canzone di strofa e ritornello, dove il ruolo dell’orchestra è fondamentale in quanto la timbrica affidata agli strumenti ci dà quella possibilità di sottolineare colori e immagini, perché questo è un bestiario illustrato dove entrambi gli elementi agiscono sulla memoria riportandone la presenza emozionale. C’è una frase, non mia ma di Gabriel Bianciotto, che rappresenta bene questo concetto: Non è che siccome la sola verità amorosa è quella del cuore e non della ragione, è necessario parlare solo all’immaginazione e non all’intelligenza”. Perciò anche se si agisce sull’emozione, si tratta di un esercizio capace di stimolare l’intelligenza. Nasce da un sapere che all’epoca in cui è stato scritto faceva attenzione a non confondere la verità dalla realtà.


In un racconto lontano nel tempo com’è quello medievale che ha ispirato questo “Bestiario”, cosa c’è di attuale?

Attraverso la sua scienza inesatta vengono dichiarate certe delle proprietà immaginarie, a partire da quelle indicate come appartenenti a esseri mitologici come l’unicorno, la sirena o il drago. È tutto molto simbolico, però se fosse accertato che davvero sono queste le abitudini di tali creature rivela una casistica umana, in quanto meccanismi che non risentono dell’influenza dei tempi perché insiti nella nostra natura. Cambiano i contesti culturali certo, noi non abbiamo metafore così divertenti per raccontare i nostri comportamenti per questo che la gente perde così tanto tempo a ritoccare i profili social.

Legato a questo lavoro c’è un tour in cui eseguirai il “Bestiario”, ma sarà anche l’occasione per celebrare i trent’anni di carriera. Che di tipo di tour sarà?

Mi permette due tipi di rappresentazione: una microscopica, cioè in sale piuttosto raccolte, intime come a Milano quella del Teatro Filodrammatici, in una formazione solitaria con il solo Vincenzo Vasi, in qualità di “amplificatore di solitudine” come thereminista, sperimentatore; altre, invece, una macroscopica, ovvero con la partecipazione di un’orchestra sinfonica, alcuni con l’Orchestra Magna Grecia e altri con l’Orchestra Cherubini. Il fatto che esce nel 2020, nel trentennale di carriera, mi permette di farne la cornice per tutta una serie di rappresentazioni dal vivo che possono ospitare concerti antologici che comprendono tante declinazioni partendo dagli spunti di questo bestiario che trovano riscontro nelle mie canzoni. Già dal tempo de “Il Ballo Di San Vito” non ci avevo fatto caso che ci fossero così tanti animali: la poiana, il corvo, una gran quantità. In effetti l’amore produce un sacco di mostri. Perciò bestie, mostri e amore vanno bene insieme per celebrare questi trent’anni.

(Gianni Sibilla / Marco Di Milia)