MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Francesco De Gregori, “Rimmel” ha 45 anni. Le canzoni una per una: “Rimmel”



“E qualcosa rimane fra le pagine chiare e le pagine scure”. Una delle aperture più celebri e luminose della canzone italiana anche se l'autore, nel libro-intervista “Passo d'uomo”, si mette in discussione con ironica maturità: «È una frase letterariamente involuta e un po' decadente. Ma non c'era un altro modo per dirlo?». Se l'album della pecora/agnello è un singhiozzo di melodie implose e discendenti, “Rimmel” parte come un inno (armonico) alla gioia, una felicità musicale abbracciata a un testo senza compromessi, perfino nitido in quella relazione che lascia ferite, ricordi, enigmi come da incerta lettura dei tarocchi (da parte, nella realtà, della prima moglie di De André, Enrica Rignon): “Chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente ma uno zingaro è un trucco“. L'amore si riduce a una sfida fra giocatori che, come in “Arte” di Paolo Conte, si rivelano bluffeur senza scrupoli: “I tuoi quattro assi, bada bene di un colore solo”, nella suggestione (“Come quando fuori pioveva”) riferita all'esercizio mnemonico per la gerarchia dei semi: cuori, quadri, fiori, picche. Anche se De Gregori ammette che la canzone parla di varie persone sovrapposte, la lei ha un nome, Patrizia (M.), la stessa che in “Bene” viene invitata a leggere le poesie in bagno, soccorsa da Francesco durante un reale tentativo di furto del “collo di pelliccia”, diventata sua compagna prima che lei scegliesse un altro uomo, Nini Salerno, il barbudo dei Gatti di Vicolo Miracoli. Interessa? No. Ma un addio non è mai stato raccontato così: “Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo e la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro”. E anche qui De Gregori si demolisce con un sorriso: «Non c'era un modo più semplice per dire: tròvati pure un altro?». L'anno prima, il 1974, Bob Dylan elabora la cattiveria del dolore in “Idiot wind” («Un vento idiota soffia ogni volta che muovi i denti, è incredibile che tu sappia ancora come si fa a respirare»), De André ci ha fatto lacrimare duro con “La canzone dell'amore perduto” e “Amore che vieni, amore che vai” ma anche Amedeo Minghi, generatore di sublimi melodie e collaboratore dello stesso De Gregori all'inizio degli anni Settanta, in “Nuvole su di te” (1988) si lancia in un feroce addio: “E vado via dalle tue mani, finalmente le ho perdute, mi sento rinato e slegato da te. Ora respiro e ora so: fare a meno di te si può”. Ma è con il rimmel, il nero ritocco degli occhi, che De Gregori trasforma in un «trucco» per smascherare i sentimenti, che la perfidia diventa classe sublime del perduto amore: “E cancello il tuo nome dalla mia facciata e confondo i miei alibi e le tue ragioni”. Singolare la genesi di “Rimmel” nella confessione dello stesso De Gregori a Fabio Fazio: le strofe composte in un camerino Rai mentre aspetta di essere ospite di una trasmissione con Mago Zurlì (che è poi Cino Tortorella col rimmel), l'inciso sei mesi dopo in una stanza d'albergo di Milano.