MUSICA




​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​



​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
​​​​​​​

​​​



MUSICA
Start a New Topic 
Author
Comment
Un contributo di Luigi Nava, pubblicato sul Giornale di Carate del 10.12.2019.

Un mio contributo, pubblicato oggi sul Giornale di Carate.

Su tutti i giornali sono rimbalzati i dati allarmanti del rapporto OCSE-PISA sui nostri 15enni, come a voler certificare lo stato comatoso delle capacità di lettura dei nostri ragazzi. Ma altri rapporti, che estendono le proprie analisi anche agli adulti, documentano che la situazione è ancora più grave: la difficoltà di comprendere un testo di media complessità caratterizza un’amplissima parte degli Italiani.
Certo, occorrerebbe addentrarsi meglio nelle pieghe del Rapporto, che distingue tra gli studenti del Nord e del Sud, tra i figli delle famiglie culturalmente più evolute e quelli che vivono in condizione di povertà, tra i maschi e le femmine, tra i liceali e gli studenti degli istituti professionali. Resta comunque il dato, nella sua globalità e nella sua gravità che, per chi, come me, insegna a scuola, non costituisce una sorpresa: l’intelligenza sta paurosamente retrocedendo.

Siamo quotidianamente bombardati di informazioni, molte delle quali sono scritte sui devices che usiamo. Più che leggere dobbiamo decifrare comunicazioni di vario tipo: molte sono tendenzialmente “furbe” e fanno passare subdoli messaggi commerciali dietro l’apparenza di una notizia informativa. Frequentiamo chat in forma scritta in cui è impossibile intuire fino in fondo lo stato emotivo di chi digita qualche sintetica parola, magari abbreviata. Tutto questo putiferio di frasi e di parole ha un impatto serio sulla nostra vita, soprattutto se siamo giovani o giovanissimi.
Quando l’OCSE rileva che c’è qualche difficoltà nella comprensione di questo magma di testi, soprattutto sul web, sta puntando il riflettore esclusivamente sulla foce di un fiume pieno di detriti, scaricati a mare da un’alluvione avvenuta in alta montagna. I dati di questo Rapporto non ci dicono che i giovani non sanno leggere, ma che sono impantanati in una bulimia di comunicazione che non sanno decifrare. Accade perché a monte c’è una grave distanza tra cuore, ragione, esperienza e realtà che soprattutto la lettura – di un libro vero – può colmare. La lettura non è il problema, è la soluzione ed è una soluzione a cui abbiamo abdicato da troppo tempo.
La lettura non ha come fine l’erudizione o la dimostrazione di una competenza; è un accendino con cui l’anima si può destare e rimanere accesa più a lungo. Dio solo sa quanto poco i nostri figli si accendano di sinceri entusiasmi; esplodono molto, deflagrano, scoppiano invece.

A monte sta quindi una sempre più drammatica emergenza educativa, e cioè una ferita aperta nel passato di cui i nostri figli sono vittime oggi. A monte c’è una generale iper-semplificazione e condensazione del linguaggio, c’è un analfabetismo di ritorno che coinvolge gli adulti impegnati quasi esclusivamente sui fronti della conquista di un benessere che non nutre l’anima, sempre più concentrati nell’esaltazione dell’apparenza e del profitto come criteri assoluti. Se vale solo la legge del mercato e del rancore, della rabbia e della rivendicazione, se tutto è sacrificato alla logica del guadagno, non potranno sopravvivere le madri e le maestre su cui è stato sempre possibile, nel passato, appoggiare la testa, il cuore, la mente per avere sicurezza, intelligenza e amore nell’affrontare la vita.

Poi, certo, anche la politica ha le proprie responsabilità. Partendo dalla fine, l’attuale ministro distruttore della scuola italiana, che tutto il mondo ci invidia per aver fatto della sostenibilità ambientale e del clima «il centro del modello educativo», propone le sue soluzioni. Gli studenti italiani non sanno più leggere? «Compreremo i tablet». Solo il 5 per cento di loro è in grado di comprendere un testo? «Studieranno il coding: è come una nuova lingua, il nuovo latino». I 15enni italiani hanno competenze inferiori a quelle che avevano i loro coetanei dieci anni fa? «È ora di chiudere con la supplentite».
Il ministro Fioramonti che crede nel kiwi e nella lattuga, nella nocività delle merendine, nella rimozione del crocifisso, in un approccio alla storia che superi «la superficialità del libro di testo» raccontando le imperfezioni dei grandi del passato, «l’ulcera di Napoleone, per esempio», nella piantumazione degli alberi, «due in ogni scuola d’Italia!», nell’ecobigiata, nello studio di materie tradizionali come «geografia, matematica e fisica in una nuova prospettiva legata allo sviluppo sostenibile», nell’introduzione di 33 ore di ambientalismo a scuola; insomma, il ministro dell’Istruzione verde, etica e dietetica spiega i dati OCSE accusando: «Paghiamo il disinteresse per la scuola che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni: mancanza di strutture, dispersione scolastica, docenti demotivati».
Sono soluzioni ancora più scoraggianti del rapporto OCSE-PISA, che però non si discostano molto dalla assoluta mancanza di visione prospettica della scuola da parte di coloro che lo hanno preceduto.

Fino a quando la classe dirigente italiana assisterà impassibile allo sfascio della scuola, twittando vacuità come #buonascuola o #piùscuola, come se bastasse un hashtag a spezzare quel circolo vizioso che devasta il futuro più della plastica in mare?
I responsabili sono tanti e bipartisan: chi ha annientato ogni meritocrazia per non disturbare la sua base elettorale, chi a parole invocava più risorse e poi tagliava, chi ha reso la scuola il regno del sindacalismo, chi assumeva i precari, come se ciò fosse sinonimo di qualità: tutti nei fatti hanno piantato il loro chiodo nella croce.
La realtà nauseante è che della scuola non frega più niente a nessuno, superata nella scala delle «nobili battaglie» dall’ambientalismo. È stata per anni argomento da talk show, dove mostrare preoccupazione per le generazioni future faceva tanto «leader responsabile». Oggi vanno più di moda Greta e il green. Tanto, alla prima finanziaria, quando bisogna far di conto, ogni virtuosa promessa si scioglie in prosaici rinvii o tagli.
Verrebbe malevolmente da pensare che certa politica (e più in generale certa classe dirigente) usufruisce di enormi benefici grazie all’ignoranza crassa di una consistente parte della popolazione. Un popolo ignorante è facilmente controllabile, facilmente si convince, facilmente si governa.
Ma davvero siamo sicuri che la questione dell’istruzione non sia la base della mancata educazione civica, politica, sociale, sentimentale? Continuiamo a sentire politici che ci dicono che «bisogna cominciare dalla scuola»; ma intanto la scuola non comincia mai, anzi si sgretola.
Eppure il comandamento è sempre lo stesso: non leggere, non informarsi, non sapere. E così quelli sono tranquilli. E finisce che l’educazione ce la danno gli stessi che sguazzano nell’ignoranza.

Non è pensabile risolvere una situazione così compromessa in pochi anni. Certo, i soldi a pioggia non sono una risposta. Ci sono problemi culturali globali, come i social-media che banalizzano le modalità di apprendimento o le famiglie che boicottano gli insegnanti e abdicano al loro ruolo educativo. Ma poi ci sono anche guasti dovuti a mancanza - o a mala gestione - di risorse economiche.
Ma se c’è una possibilità di invertire la rotta, questa passa da un cambiamento di prospettiva: smettere di parlare di «spesa» per l’istruzione da tagliare e iniziare a parlare di «investimenti» che portano un utile al Paese, per il futuro. Elevare la qualità della didattica, dando anche un maggior margine di manovra ai presidi nella scelta dei docenti, di quelli validi ed appassionati, e superando la gabbia infausta delle graduatorie che non sono mai graduatorie di merito. Investire su nuovi docenti giovani che scelgano la scuola non come refugium peccatorum di cercatori del posto fisso, ma per missione e passione. Valutare e premiare i docenti migliori (unica categoria della scuola che non viene mai valutata) e punirli se scarsi o lavativi.
I ragazzi, accanto ai limiti, hanno straordinarie risorse: aspettano solo di essere accesi, motivati e guidati da adulti che «in-segnino», e cioè che indichino la logica per interpretare i segni della realtà.

Tutte le ricerche da almeno quarant’anni sostengono che l’elemento qualificante di una scuola, quello che “fa la differenza”, è la qualità dei docenti e dei dirigenti. Non si tratta di scegliere fra alternative inconciliabili (o i soffitti che crollano o gli insegnanti impreparati) ma di avere sia soffitti un po’ più solidi, sia insegnanti un po’ più innamorati del grande compito di introdurre i giovani all’avventura della comprensione della realtà. Che è complessa, ma affascinante.