MUSICA




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Mina, abbi pietà di noi - artricolo del 26.03.2015

Mina, abbi pietà di noi
La signora, si sa, ha sempre fatto quello che le pareva. Volete la prova? Eccovi "Kyrie", album del 1980.
Di Demented Burrocacao
26 marzo 2015

"I: Hai paura di invecchiare? musicalmente si intende .
Mina: Assolutamente no. Faccio quello che faccio. Finchè va bene, va bene. Quando non va più bene, grazie, è stata una cosa divertente e piacevole. Fine. La mia vita è un'altra, non sono certo le canzonette a riempirmela.
(Intervista di Rita Madaro -1978)

Ieri era il compleanno dell’icona femminile italiana per eccellenza: la tigre di Cremona, la pazza per antonomasia, ovvero una certa Anna Maria Mazzini detta Mina. Italian Folgorati oggi è quindi ovviamente dedicato a lei: anche perché in tutti questi anni di carriera ci ha deliziato con bizzarrie più o meno esplicite, che sono il nostro pane. Inutile ricordare ai gentili ascoltatori l'importanza di questa donna nella vocalità italiana tutta: laddove negli anni sessanta le interpreti infilavano ovunque ghirigori e abbellimenti (e ancora adesso si abbonda di adenoidi e vibrati inutili) lei invece piallava tutto come se cantasse un manichino della Standa, ma col calore di una voce potentissima capace di sfidare i tagli addizionali delle partiture.



Protofemminista, Mina è stata il modello della ragazza tosta che va al sodo, pensa a divertirsi e allo stesso tempo ha le idee ben chiare su quello che vuole, prendendo per le palle la vita. Le sue canzoni d'amore sono spesso dei *****tti in pancia al limite del cinismo (ricordiamo “L'Importante è Finire” o “Conversazione” o la fantomatica “Se Telefonando”), l'uomo fa la figura del pupazzo e in linea di massima l'amore è una faccenda grottesca, nient’affatto matematica. Mina è una ragazza ultramoderna, di buona famiglia ma che se ne fotte del classismo, canta perché le va e non per fare soldi (che del resto ha già), cosa che rende le sue esibizioni di una rara purezza. Del resto non vuole quasi mai saperne di prove, provini o quant'altro: lei arriva, canta e se ne va. Buona la prima, il resto è uno spreco di energie con un piglio punk in largo anticipo sui tempi.

La disubbidienza e l'indisciplina fanno rima con libertà, anche di costumi. È una delle prime ad essere sgamata per una relazione corsara, incinta di Corrado Pani quando ancora era sposato con un'altra, e per questo allontanata dalla Rai salvo poi ritornare sulle scene a furor di popolo. Ovviamente mollerà subito Pani per convivere con Augusto Martelli, altro mito della musica scoppiata italiana e suo fedele arrangiatore. Azioni impensabili per l'epoca, ma non limitiamoci al gossip: è una delle prime a rompersi le ovaie delle major e ad aprire una sua etichetta personale, la PDU con la quale inciderà fino ad oggi e che ancora non accenna a perdite di fatturato. Non a caso, per questo suo singolare approccio alle cose rappresenta una delle migliori interpreti di Battisti, che le regalerà diverse perle musicali e la investirà del titolo di suo alter ego femminile, soprattutto per la scelta condivisa di sparire dalle scene. Lei però continuerà a farsi vedere solo sulle copertine degli album in studio, nelle quali il suo volto viene spesso deformato e ironicamente preso a calci.

Basti pensare alle cover di Attila (finita al Moma), Salomè (in cui appare barbuta) e l'ultimo Selfie (in cui viene ritratta come una scimmia). Innocue canzoncine che, con la sua interpretazione diventano vere e proprie figlie di Satana, quasi fossero brani di musica contemporanea, sincopando e portando alle estreme conseguenze l’urlo tanto da far andare in overdrive naturale i microfoni e guadagnandosi infatti una cover dai Melt Banana (ricordiamo che Mina sarà una pioniera dei tour in Giappone, girando mezzo mondo quando ancora tutti rimanevano attaccati al campanile). Altre volte, invece trattasi di vero e proprio surrealismo musical/testuale unito a follie vocali al limite dell'areoplano senza pilota, come in "Brava", "Le mille Bolle Blu" ( impreziosito dal famoso sberleffo di Sanremo) ma soprattutto in questo allucinante pezzo qua sotto, in cui da l’LSD a un ignaro Morandi.


Non a caso Mike Patton l'ha presa a modello e più volte confessato di ispirarsi a lei: non a caso addirittura Luigi Nono voleva farla cantare in una sua opera, in quanto reginetta della "controcanzone". Citiamo dal libro L'Opposizione Musicale di Luigi Pestalozza: "Nono trasformava la vocalità e ammirava Mina. Ci vuole del resto una grande tecnica, padronanza, senso della novità per rendere incredibile la canzonetta standole dentro (...) la voce con un nuovo atteggiamento inedito, di violenza ben stilizzata, senza eccessi, demagogie, quasi cerebrale e tanto comunicativa" che, come giustamente chiude Pestalozza, annullava la canzonetta per cancellarne la stupidità intrinseca, ma forse—aggiungiamo—anche un po' tutta la farsa dell'esistenza. Il passo citato è del 1981, probabilmente quando era appena svanito l'effetto del disco di cui stiamo per parlare, ovvero Kyrie, anno 1980.

Perché fra tanti dischi proprio Kyrie? Semplice, trattasi di un lavoro che arriva in un momento cruciale: la nostra eroina si è ritirata dalle scene da circa due anni e ha pubblicato un disco stravenduto e per giunta doppio: Attila (1979), che ovviamente capitalizza la "teoria dell'oscurità" appena adottata. Mina ha in qualche modo esaurito il filone suadente disco-funk-rock che abbondava in quell' LP e si ritrova a non sapere che pesci prendere. E quindi l' "oh *****" che ne deriva è trasformato nel titolo del disco che, dietro al'apparente voto a qualche santo, come dice la stessa Mina in un'intervista d'epoca è "Secco. Un'esclamazione e un'invocazione". Che però, dai suoi ricordi delle domeniche in chiesa, lascia trapelare anche una certa "apertura" tipica dei cori liturgici. Mina entra in studio con l'idea di lasciarsi completamente andare e ne viene fuori un'opera spigolosa e sfaccettata, che shockerà molti fans. Kyrie (fottendosene ovviamente del mercato e delle sue regole) è per giunta l'ennesimo disco doppio, più tardi venduto anche separatamente diviso in parti. Iniziamo col primo volume e la sua apertura/ manifesto: “Musica”, appunto.



Taca banda! Mina scopre subito le carte in tavola con un pezzo ultraspaziale: effetti alla voce a cannone e sintetizzatori che cambiano armonia ogni cinque secondi. La fiera del chorus e una voce solida, simile ad una scala di Escher nelle sue "traiettorie impercettibili". Non mancano sbuffi di white noise e chitarre trattate elettronicamente: il pezzo si snoda piano piano in un crescendo psichedelico e mezzo sudamericano "sguardi di un altro pianeta dove vita non c'è", "la mia pazzia", testi degni di un bel viaggione col Quaalude. Ogni tanto delle citazioni sintetiche di Anima Latina di Battisti, omaggio all' amico. Ovviamente durata antiradiofonica, sei minuti.


il secondo pezzo, a sorpresa, è una cover di “You Just Keeping Hanging On” eseguita come se fosse un pezzo dei Talking Heads o di qualche funkettaro in odore no wave. Completamente stravolta, la versione di Mina sembra un mischiozzo fra calda negritudine e freddezza teutonica. Canta con una ruvidezza francamente inedita, cercando la gutturalità fino all'eccesso. Anche i suoni sono stranamente DIY, compatti nella coda che diventa improvvisamente un acid rock con tutti i crismi, da psichedelia occulta. La nostra eroina ha deciso di far crollare le cattedrali per vedere cosa succede riparando i cocci con la colla.


Spiazzandoci completamente, dopo questi due brani cascata da sei minuti l'uno, arriva una canzone di due minuti dal taglio apparentemente tradizionale. “Quattr'ore E Tiempo” nonostante sia una trasposizione di "Pietà Signor" di Stradella, scritta addirittura nel '700, con l'interpretazione al plexiglass di Mina si trasfoma in un inno postmoderno che strizza l'occhio pure al Neapolitan Power.


Ed ecco il nostro amico Simon Luca, uno degli addetti ai synth, che farà sentire il suo storto peso autoriale nell'intero progetto. Cantautore misconosciuto con tre dischi all’attivo, vanta collaborazioni con gli Stormy Six e con L’Enorme Maria, un supergruppo da lui assemblato con Camerini, Finardi, Treves e la Bardi. “Chi sarà” è un brano che starebbe bene nella colonna sonora di Breaking Glass, o in un disco anni duemila di Lou Reed. Finale affidato al white noise, presenza amica in tutto il lavoro.


I flauti già presenti nel terzo brano introducono "Voglio Stare Bene", un pezzo assurdo che vede Mina sparare degli acuti fuori di testa e intonare quasi dei "Passaggi Proibiti" (le progressioni armoniche bandite dalla chiesa per le musica sacra) e vocalità quasi alla Gong, pieno di stacchi di synth molto Stephen Hague, giri punk demenziali che prendono di peso Rock '80 della Cramps, incastri ritmici e un imprevedibile calo di tensione nel finale, con una beffarda chiosa di sovrapposizioni vocali.


Con “I Know” è chiaro che a Mina non gliene po’ fregà de meno. Neanche della pronuncia inglese, “maccheronizzata”. Un pestone alla Guns n’Roses quando vogliono fare Elton John, ma anche rimandi classici e bassi completamente wave che lasciano straniti: è come se si ascoltassero tre tipi di brani diversi in uno. C'è anche una citazione dei Cure, con stacchi di batteria in odore di Seventeen Seconds, per dire. La voce pare da ricovero.


Ennesimo cambio di rotta, e via con un reggae bianco cantato in coppia con Simon Luca: slappate di basso e arrangiamento stile Bertè/Fossati anche se Mina ovviamente stranisce tutto indugiando su note tenute e ritmi dispari e incartati. E nonostante tutto il pezzo arriva e se ne va subito come in un sorso. A giudicare dal testo, a Napoli erano in compagnia, più che di un bicchiere, di una boccia intera.




E su “Capisco” entriamo in ambienti alla Grace Jones, ma paradossalmente anche CCCP quattro anni prima, canto monocorde e testi deliranti "capisco un vitello leccare vernice". Poi ancora synth e voce grattuggiata da occhi ribaltati, che portano in un muro di acustiche con Mina che doppia il solo di chitarra stile "Mille Bolle Blu" e finale vocoderato (Justice, andate a campionarlo).

Il secondo disco si apre con “Fermerò Qualcuno”, molto più classico. Un momento di pausa fra i deliri che però non evita suggestioni alla Blade Runner. Qui la voce di Mina sembra la stessa del 1960, come se l'avessero scongelata nel futuro. Stacchi duri, momenti jazzy: la classe non è acqua.


Con il controverso titolo “L'amore è bestia l'amore è poeta” torniamo sul reggae, stavolta a luci rosse "eppure qualche esperienza ce l'ho/quella di una donna sola". Momenti di seduzione e di pruriti erotici, con una voce al limite dello sguaiato e synth in zona minimal. Milf music.


Segue una cover di “She's Leaving Home”, pare applaudita dallo stesso McCartney. Mina, in effetti, stravolge la canzone rendendola più malata e soprattutto priva di punti di riferimento, con audaci armonizzazioni orchestrali che evocano la scuola di Vienna. Mina era solita eseguire spesso cover dei Beatles, tanto che poi pubblicherà nel ‘93 una raccolta tematica, nella quale è presente anche questa versione.


In “Qualcosa In Più” fa improvvisamente capolino John Foxx. Pezzo synthpop/coldwave con basslines a cannone in cui Mina cita anche i Visage, a dimostrare l'ecletticità del disco. Echi strategici alla voce e falso finale synthpunk, con una coda davvero malvagia.


E poi ecco un ennesimo bizzarro cambio di rotta, addirittura fra Devo e Queen nell'intro e negli stacchi: " Colori" poi diventa soul, quasi in odore di Mia Martini. "Il rosso del mio sangue non deve spaventare": ma per carità, signora Mazzini... Oramai ci aspettiamo qualsiasi cosa, soprattutto dopo il finale in loop.


Il brano seguente è quello più punk del lotto, il mio preferito. “Bambola Gonfiabile” già dal titolo non la manda a dire, la voce di Mina graffia come dopo una pippata di Carbona e la citazione ai Gaznevada di "Donna Di Gomma" sembra evidente. Come una anti-Anna Oxa, Mina rovescia "Fatelo Con Me" con un "fatelo con la plastica". Finale malatissimo sull' orlo di Carpenter, che potrebbe durare altri due anni ma la lunga mano del produttore purtroppo....


Apparentemente spruzzata di minimal synth, “Radio” vede fra gli autori Bruno Lauzi e si trasforma presto in un ibrido fra la love music e Cuba. La vecchia Mina qui la fa da padrona in questa storia di amori impossibili, con la vocalità sinuosa a cui ci aveva abituato con "Ancora" e compagnia bella.




“Buonanotte Buonanotte” è chiaramente ispirata a "Good Night" dei Beatles, ed è un finale strano, soprattutto perché Renato Zero infilato in una cosa pre-Whitney Houston adesso non ce l’aspettiamo proprio. Le sciabolate di synth sono la cosa più moderna, però vabbé: trattasi di un brano di decompressione in cui ci si rilassa, quasi come la sigla finale di un varietà televisivo. Ci possiamo pure stare: e poi il finale è la cosa migliore senza dubbio, fra sintoni e rullate impazzite di batteria.


Kyrie, con la sua enigmatica e minacciosa cover a la Rollerball che ritrae un giocatore di hockey, è perfettamente in linea con l'idea di Mina di entrare a spallate negli anni duemila e rompere qualche dente. In effetti gli riuscirà addirittura l'ingresso nelle classifiche di Billboard, nel 1982 con “Morirò Per Te” , ma in seguito l'ispirazione e le collaborazioni nutrite ( Kyrie vanta ben sette arrangiatori e un sacco di autori) si sgonfieranno a favore della conduzione familiare AKA la mano pesante del figlio Massimiliano Pani (si, quello di “Esplorando Il Corpo Umano”), qui ancora ridimensionato nonostante sia protagonista della foto di copertina. Il successo però arriderà sempre, forse proprio perché—scomodando di nuovo Pestalozza—"Resta una lezione di stile, di come si canta al di là di una stagione, per cui mi sono detto: Mina è ancora la più brava". Per il resto finisce qui la musica per noi: tanti auguri, tigre.