MUSICA




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Ron Howard: «Ecco le lezioni di Pavarotti»


Luciano Pavarotti in frac, le braccia larghe come il suo sorriso, il fazzoletto stretto in mano che fa parte della sua iconicità. È l’immagine che meglio rappresenta Pavarotti, il documentario di Ron Howard che dopo la Festa del cinema andrà nelle sale dal 28 al 30. Quello sguardo che trasmette gioia, energia, ambizione; quegli occhi in cui Howard ha visto «abbandono e follia». Il regista Usa ha intervistato 53 persone che hanno conosciuto e amato un uomo e un artista che era più di una voce eccezionale, il grande tenore ruspante e carismatico amante della vita, con la sua bonomia emiliana.

«Era conosciuto in tutto il mondo, ma non si sa molto della sua vita privata. Non dimenticò mai le sue radici, era umile nell’onorarle», dice Howard citando la città d’origine, Modena, che definisce «a small village». «Ha vissuto una vita avventurosa e complessa, è stato come se le arie che cantava potessero raccontare la sua storia; un viaggio lungo, una scoperta con echi della sua infanzia, in circostanze difficili che hanno influenzato la sua vita». Ecco Domingo, Carreras, Bono degli U2 e la sua famiglia, Adua con le loro tre figlie, e Nicoletta, la seconda moglie. «In genere i parenti sono restii, invece c’è stata grande generosità. Ed era la prima volta che hanno collaborato a un progetto su Pavarotti. Abbiamo avuto accesso a materiale inedito». La testimonianza di Adua, la prima moglie che lo accompagnò fin dai primi successi, ha momenti duri, quando dice per esempio che l’immagine del cantante sarebbe cambiata dopo il tradimento. «Quella è una delle lezioni del documentario. Il dolore non si dimentica: si può perdonare senza dimenticare. Alla fine della sua vita, le sue donne si sono riunite attorno a lui».

E le altre lezioni? «Oltre a essere un ambasciatore della lirica, fino alla sua morte, nel 2007, la lezione è che la grandezza va conquistata. Scoperto di avere una splendida voce, fece un duro lavoro di apprendistato, e questo è un messaggio importante per i giovani. Fino a 20 anni fu maestro di scuola elementare, la madre lo spinse verso l’arte. Un altro aspetto che mi ha colpito è che si lasciò ispirare da Lady Diana nella filantropia, la beneficenza dei suoi eventi di cross over, per i quali fu molto criticato nell’ambiente della classica, come spiega Bono nel filmato».

Lui ricorda di quando Luciano, con una certa sfacciataggine, si presentò a casa sua, senza preavviso, con una telecamera, per convincerlo a cantare per Pavarotti & Friends. Forse si è dato poco spazio alla carriera nei teatri d’opera, soprattutto italiani, con i suoi picchi, fino alla contestazione per il Don Carlo del 1992, l’ultima volta che mise piede alla Scala. «Quella sequenza c’era, nel montaggio abbiamo deciso di toglierla». Howard incontrò una sola volta Pavarotti, in una occasione sociale a Hollywood. Aveva il panama e il foulard, che era la sua uniforme fuori scena. Dice che non era un esperto d’opera: era solo un puntino di quella massa che Big Luciano voleva raggiungere, quando cantava nei parchi, negli stadi.