MUSICA




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MUSICA
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A lezione d'amore da Ferzan Ozpetek


Che cosa accade durante la lavorazione di un film? Siamo andati ad assistere alle riprese 
della prossima opera del regista italo-turco, «La Dea Fortuna». Abbiamo visto come si allestisce una scena, chiacchierato con gli attori e il cineasta. E capito qualcosa di più sui sentimenti umani
Una governante con crocchia antiquata aggiusta la maglietta a un bambino che fissa il pavimento. Con un gesto chiama a sé la sorellina, le sistema la treccia. Poi, mani sulle loro spalle, li conduce fuori dalla camera. E li esorta a procedere. I due fratelli avanzano a passo lento, piccoli dentro un salone grande. In fondo, una finestra aperta illumina la penombra. Affacciata di spalle, si staglia in controluce una sagoma femminile. Vedendola, i bambini si fermano. Sentendoli, lei si volta: ossuta dentro un abbondante gilet grigio, sprezzante nello sguardo verso i bambini.

Nonna e nipoti si osservano. E non si piacciono.

«E… Stop. Buona!», urla eccitato il regista dietro il monitor. Tutto a un tratto, il silenzio reverenziale che troneggiava durante le riprese si frantuma in mille schiamazzi di fonici e cameramen, truccatori e runner. «È pronto il D.o.P.?», che in linguaggio tecnico significa direttore della fotografia, colui che posiziona le luci (dall’inglese, Director of Photography). Oppure: «Per la prossima scena, allestiamo il dehors, l’ha detto Ferzan». Il dehors è l’immensa terrazza di Villa Valguarnera, a Bagheria, in Sicilia: una magione settecentesca che la principessa Vittoria Alliata è riuscita a sottrarre all’occupazione mafiosa. Ferzan è Ferzan Ozpetek, il regista turco-italiano delle Fate ignoranti e di Mine vaganti, ora alle prese con la sua tredicesima opera.

Tredici, numero fortunato e piuttosto azzeccato: il film si intitola La Dea Fortuna. «È il nome di un tempio che si trova a Palestrina, un paesino vicino a Roma. Nella storia, è il luogo in cui lavora Jasmine». Jasmine, pronunciato con la jay dolce dal retrogusto straniero, è la Trinca, attrice che con la fortuna ha già avuto a che fare: nel 2018, il ruolo di protagonista in Fortunata di Sergio Castellitto le vale il David di Donatello. Oggi, interpreta una poco fortunata madre single (dei due bambini) e un’ancor meno fortunata figlia (della signora arcigna). A causa di un problema di salute, per un periodo non può occuparsi dei figli. Esclusa l’idea di affidarli alla nonna arpia, li lascia in custodia a una coppia di amici, Arturo e Alessandro. Il primo è uno scrittore mancato, ridotto a fare il traduttore. Il secondo, un idraulico rampante che guadagna bene e legge poco. Dopo 15 anni di relazione sono in crisi: annoiati e traditi. L’arrivo dei bambini spezzerà la routine e, tra affanni e risate, compiti e sgridate, i due scopriranno vene paterne che non sapevano di avere. E impareranno a conoscersi di nuovo.

«L’idea mi è venuta quando stava male mio fratello che, purtroppo, è mancato un anno fa», confessa il regista stringendo gli occhi color olive taggiasche. «Un giorno mi telefona mia cognata: “Asaf non ce la farà, e io pure non sto bene. Se mi succede qualcosa, devi giurarmi che tu e Simone vi prenderete cura dei nostri figli”. Io e il mio compagno siamo zii di due gemelli. A 13 anni hanno già girato mezzo mondo, parlano un inglese perfetto, sono molto più intelligenti di me. Lì per lì ho risposto: “Sì, certo”. Poi ho cominciato a pensare: ma cosa fanno due ragazzini così in gamba a casa mia, con quelle mummie dei miei amici? Non solo: a quell’età sono autonomi o devo inseguirli per fargli lavare i denti? Mi è presa la paura».

Dalla paura è nata la sceneggiatura. Dalla sceneggiatura, la scelta degli attori. Per interpretare lo scrittore mancato, Ozpetek ha chiamato, per la terza volta, Stefano Accorsi che, oggi, si aggira sul set con camicia scura infilata nei pantaloni beige, baffo e capelli tirati indietro. Rétro nel look e nella galanteria: quando ci stringe la mano si premura di avvisarci che il «bagnaticcio» che sentiamo è «solo acqua», se l’è appena lavata. Per l’idraulico «diretto, popolare e molto maschio», il regista ha chiamato Edoardo Leo, gli ha lasciato la barba di due giorni, il ciuffo alla Elvis e lo sguardo da buono. «Il personaggio l’ho disegnato su un idraulico folle e meraviglioso che ho conosciuto tre anni fa. Si rompe un tubo, mi si presenta a casa questo ragazzone, aria semplice e animo nobile. Infila i guanti e comincia a compiere gesti inconsueti: abbraccia la tazza, accarezza lo sciacquone, parla con lo scarico. Dice cose tipo: “Sì, lo so, lo so, ora sei intasato, ma aspetta tesoro, ti farò stare meglio”. Ero così colpito che speravo di avere un problema con le tubature per poterlo rivedere».

Non manca nel cast l’attrice turca Serra Yilmaz, ormai presenza fissa nelle pellicole del cineasta suo conterraneo. Per dare un volto alla nonna cattiva, invece, Ozpetek ha puntato su un’outsider, la scrittrice e sceneggiatrice Barbara Alberti: «Me l’ha consigliata la mia amica Mina, la cantante: non l’ho mai incontrata ma la sento regolarmente su WhatsApp. Barbara è una di quelle poche persone la cui fisicità è in contrasto con la personalità: è di rara gentilezza e intelligenza, ma solo a guardarla ti mette paura. In realtà, era lei all’inizio ad avere paura: non aveva mai recitato, in un giorno ha dovuto imparare come muoversi davanti alla telecamera».

Forse sentendosi chiamata in causa, si unisce alla conversazione la stessa Alberti, fresca di coiffeur, con tanto di becchi in testa per fissare l’acconciatura per la scena successiva: «Diciamo la verità: io qua non c’entro nulla, sono un’abusiva. L’unica volta che ho recitato è stato alle elementari, dalle suore. Stavo declamando una poesia durante il saggio di fine anno: a metà sonetto sento una mano che esce dal sipario, mi acciuffa e mi porta via. Ero una scarpa già allora». Divertito, senza farsi sentire da lei, Ozpetek sussurra: «Questa dice così, poi vincerà tutti i premi. Barbara è…». Non fa in tempo a completare la frase che qualcos’altro cattura la sua attenzione: una tovaglia.

La scenografa sta apparecchiando la tavola, centro delle prossime inquadrature, con un opulento drappo bianco. «Tesoro, non mi piace», dice il regista. «È una richiesta del direttore della fotografia: il bianco illuminerà il viso degli attori», ribatte la scenografa. «Be’, digli che Ferzan è contrario». Uso della terza persona a parte, il messaggio è chiaro: il regista deve avere uno sguardo su tutto, dal colore dei tessuti all’interazione tra gli attori. Prima di girare, infatti, lui li dispone in cerchio con il copione in mano per ripassare le battute. Poi, con passo felpato disegna un cerchio attorno a loro, mimando il movimento che, di lì a poco, dovranno compiere i cameramen. Appena cala il crepuscolo e l’atmosfera si fa notturna, Ozpetek dà il via alle riprese. «Scena 25. Ciak uno». «Motore». «Azione».

Occorrono circa 20 ciak prima che si ritenga soddisfatto. Quando, finalmente, sentenzia «Buona», il clima si distende. L’aiuto regista urla: «Barbara Alberti ha finito il film!», e parte un applauso scrosciante, un rito che si ripropone ogni volta che un membro del cast gira la sua ultima scena. Le maestranze si fiondano su quanto rimasto della tavola imbandita: corre voce che i catering serviti sui set cinematografici non siano mai un granché, «meglio appro*****re delle ottime portate usate per allestire il banchetto», confermano ridendo Edoardo Leo e Stefano Accorsi.

Alla domanda se teme che La Dea Fortuna venga etichettato come «l’ennesimo film di Ozpetek sull’amore omosessuale», il regista risponde di no: «È un film sull’amore, punto. I protagonisti sono due uomini, ma la storia non sarebbe cambiata se avessi scelto due donne oppure un uomo e una donna. L’augurio è che si cominci a parlare di genitorialità a prescindere dalle scelte sessuali». Una genitorialità a cui lo stesso Ozpetek, che nel 2016 si è unito civilmente con il compagno di vita Simone Pontesilli, si è sempre dichiarato disinteressato: «Crescere un figlio comporta delle responsabilità che non sono pronto ad assumermi. Per questo anni fa ho declinato la proposta di un’amica che voleva fare un bambino con me. Sono però favorevole alla libertà individuale: io personalmente non opterei per la maternità surrogata, ma non giudico chi lo fa».

Giudicare non rientra nel vocabolario del regista, nemmeno quando si tratta di tradimento. Nel film, Accorsi e Leo non lesinano qualche scappatella, che lui commenta con ironia: «Come dice una battuta della Finestra di fronte, “dopo 15 anni di storia, il sesso è incesto”. Se due provassero il medesimo desiderio dei primi giorni sarebbero pervertiti. È normale che cali l’attrazione sessuale e può succedere che qualcuno la cerchi fuori dalla coppia. Il sentimento, invece, è un’altra cosa: è il motore che tiene vivo un legame, volendo, per sempre».

Parla come uno che il per sempre l’ha visto da vicino. I suoi genitori magari? «No». Poi chiarisce: «Quando ha sposato mio padre, mia madre aveva alle spalle un primo matrimonio con un uomo molto bello, facoltoso, charmant. Lui la amava, ma la tradiva continuamente, così lei l’ha lasciato. Successivamente ha incontrato mio padre, una brava persona, ma non ha mai smesso di pensare al primo marito. Quando è mancato, piangendo, ha confessato: “Oggi è morto l’uomo che ho amato tutta la vita”. Io, basito e forse anche un po’ addolorato, le ho chiesto: “E papà?”. Mia madre, incredula: “Ma come, di professione fai il regista, sondi i sentimenti umani, e non hai ancora capito che si possono amare due persone contemporaneamente?”. Pensandoci bene, aveva ragione lei».