MUSICA




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L'eterno addio delle star storiche - di Marinella Venegoni

20 luglio alle ore 22:54 ·
L'eterno addio delle star storiche
Simpatica presa per i fondelli
Da "La Stampa" del 19 luglio 2019
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Tra le diavolerie che il musicbusiness si è inventato per far cassa con il cruciale passaggio alla terza età delle star più popolari e amate e dunque di sicuro richiamo ai concerti, i Farewell Tour sono il fenomeno più paludoso, perché ancora pochi consumatori di musica hanno capito il cosiddetto trucco della valigia. Trucco tutto sommato innocente, va detto, perché per esempio i tour dell’addio - Elton John o Joan Baez, per dire solo di quelli in corso - ispirano i sentimenti più profondi e definitivi, riportano a galla memorie e accendono nostalgie, tanto che in fondo non ci vai nemmeno per vedere come sono loro adesso, con le loro panze o le rughe o la voce sgranata, ma piuttosto per dialogare con il fanciullino che è in te: quello che di Sir Elton ammirava il salire sul pianoforte a cantare «Crocodile Rock» con gli occhiali stravaganti e gli stivaletti rossi, mentre gli spiriti più idealisti ripetono all’infinito dentro di sé «We Shall Overcome» con Joan Baez che suona la chitarra, come ai bei tempi in cui Salvini doveva ancora nascere.
Ma il trucco c’è, e si vede. I tour dell’addio durano N anni, dipende dal successo che hanno ma non solo: teoricamente, possono terminare con la morte fisica del divo di riferimento, e a volte nemmeno la morte li ferma. I campioni di addio restano infatti i grandissimi Eagles di «Hotel California»: il loro «Farewell tour 1» (notare la numerazione) si fermò per la malattia di Glenn Frey nel 2013, all’apice di una gloria mai così estesa. Ma l’anno dopo la morte di Frey, nel ‘17, la band annunciò che il di lui figlio, Deacon, avrebbe sostituito papà. E avanti con il «Farewell 2», regolarmente in corso e passato l’anno scorso dall’Arena di Verona. Sconsigliato dunque intenerirsi più di tanto, e meglio non stare a portarsi tanti fazzoletti, quando si va a un concerto d’addio: perché può passare a dirti ciao ciao sotto casa la seconda volta il tuo preferito, come succede proprio in questi giorni a Joan Baez in Piemonte.
Come in tanti altri settori dell’esistenza terrena, sembra che sia stata un’altra donna, Cher, ad aprire la strada a quest’invenzione furbacchiona, nel lontano 2002. Il successo latitava, il profilo appariva appannato, quando la streghetta per antonomasia dell’epoca hippie decise di salutare il mondo intero attraverso la musica dal vivo con una raccolta di successi, «The very best of Cher» che cantò sotto l’immancabile titolo «The Farewell Tour». Fu una tal bomba che con 264 concerti diventò il più lungo giro dell’America Settentrionale, con quasi 250 milioni di dollari di incasso.
Da allora, gli addii di Cher si sono moltiplicati, si sono evoluti in tre anni di residency a Las Vegas dal 2008 all’11, e nel 2012 altra partenza per i continenti: «Non voglio proprio fermarmi - dichiarò - e mi vogliono fermare!». Il lungo e sempre mancato bye bye è atterrato com’è noto in «Mamma Mia 2», aprendo ulteriori vecchie strade e mostrando ai suoi colleghi che un Farewell Tour non si nega a nessuno, purché l’addio non finisca mai.