MUSICA




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Gli 80 anni di Milva: «Fumo ancora, sono circondata dai miei familiari, amo i tortellini»


La cantante lontana dalle scene: «Il palcoscenico? Nei sogni è un incubo. E mi sento sempre in bilico su tutto»
di Mario Luzzatto Fegiz


Gli 80 anni di Milva: «Fumo ancora, sono circondata dai miei familiari, amo i tortellini» shadow
Ilva Biolcati, in arte Milva, compie oggi 80 anni. Assieme a Mina e Ornella Vanoni è una delle più grandi cantanti italiane. Per estensione vocale, per varietà di repertorio e per un intrinseco talento. Stupiva la sua capacità di incantare il pubblico tedesco con i Lied cantati in lingua originale. Lucida, disturbata da due fratture del femore, esce poco. Milva, nata a Goro, un paesino del delta padano, (da cui l’attributo «La pantera di Goro») è stata tra i protagonisti di Sanremo e di importanti palcoscenici nel mondo. A Milano era la beniamina di Paolo Grassi e Giorgio Strehler, ma anche la preferita della sinistra italiana e internazionale: amica di Teodorakis, di Luciano Berio, interprete brechtiana per eccellenza. Ha avuto onorificenze in Francia, in Germania e in Italia. Raiuno la celebra stasera a Techetecheté, Goro la festeggia sabato 20. Per i suoi 80 anni Milva ha concesso un’intervista al Corriere, aiutata dalla figlia Martina e da Edith, la sua assistente.

Ha appena acceso una sigaretta. Irriducibile?
«Mi dà piacere fumare».

A parte il fumo che cosa le dà ancora emozioni?
«Fumare non è un’emozione, è solo un piacere, un piccolo vizio se vuole. Trovo delle emozioni nella musica, in un’opera d’arte, nell’affetto profondo dei miei familiari e nelle persone che mi sono vicine, nei tortellini come li faceva mia madre… e nel dormire bene».

Quali figure sono state determinanti per la sua vita artistica?
«Parecchie ma in fondo non moltissime: mio marito, Maurizio Corgnati; il regista Giorgio Strehler; Astor Piazzolla e, per altri versi, Franco Battiato, Enzo Jannacci e Luciano Berio. Un’altra persona alla quale devo molto è Klaus Ebert, il mio primo produttore discografico in Germania e alcuni altri».

Chi è stato fondamentale nella sua vita privata?
«Mia mamma Noemi (mi ricordo di lei tutti i giorni e la sua presenza mi manca ancora); Madre Giannina: ero una bambina nel periodo che ho passato a Bassano del Grappa in collegio dalle suore Canossiane; Madre Teresa che mi ha insegnato a suonare l’organo e il pianoforte; mia sorella Luciana che è sempre stata con me soprattutto agli inizi della mia carriera; mio marito Maurizio; mia figlia Martina... forse non è stato facile quando lei era piccola ma siamo sempre state profondamente unite; Massimo Gallerani, con cui ho avuto una lunga storia, importante; e la mia assistente Edith Meier, alla quale sono molto legata».

Come è riuscita a cantare i «lied» meglio dei tedeschi?
«Non lo so, non so se sia meglio… l’ho fatto a mio modo, con un calore e un coinvolgimento che a me era indispensabile e che forse era diverso».

Le manca il palcoscenico?
«Sempre e mai. Fra i sogni, qualche volta è un incubo ma anche un bisogno e una missione che, a mio modo, credo di aver compiuto».

Come ha visto cambiare negli anni in teatro e la canzone italiana?
«E’ cambiata, ma non saprei dire con esattezza in che modo. Penso che oggi come allora ci siano dei grandi talenti. Dei giovani mi piace Francesco Gabbani che riesce ancora a divertirmi, Laura Pausini e pochi altri».

Lei è stata attrice e cantante molto versatile, da Battiato a Strehler. Ma c’è qualcosa che ha prevalso nei suoi gusti personali?
«Sono lusingata di aver collaborato con grandi personaggi e uomini di cultura come Strehler o Werner Herzog … però io ho sempre fatto quello che mi piaceva, che mi sembrava importante e, comunque, nel mio gusto. La buona musica mi ha sempre raggiunta nel più profondo dell’anima e ho cercato di renderle giustizia con la mia voce. Interpretare è amare».

Guarda la tv?
«Guardo poco la televisione, soprattutto dei buoni film ma anche tanti documentari su luoghi che magari ho attraversato senza vederli davvero. E poi arte, tanta arte».

Un consiglio alle nuove generazioni...
«Rischiare, essere ambiziosi, andare fino in fondo. Come il messaggio che ho voluto mia figlia portasse a Sanremo: “Gli artisti spazzano via la polvere dalla vita degli uomini ma perché questo accada l’arte deve essere continua ricerca. Bisogna studiare, attingere dal passato e modellare il sentimento, le emozioni e il gusto del presente».

Che cosa significa per lei la vecchiaia?
«I pregi, a dire il vero, sono davvero pochi. Ma forse c’è più tempo per ricreare equilibri, fare valutazioni, assaporare il vissuto, arrivare a una saggezza».

Come si sente?
«Sempre in bilico, indecisa su tutto, come 60 anni fa, quando iniziai la mia carriera. Sono onorata che Goro, il paese dove sono nata, il 20 luglio dedicherà a me una giornata con degli artisti locali».

Rimpianti?
«Keine Stunde, tut mir Leid. È il titolo di un mio cavallo di battaglia (di Peter Maffay e Burkhard Brozat) , l’ho cantato tantissime volte in Germania… Vuol dire: “Nemmeno un’ora rimpiango”».