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Ornella Vanoni: «Ero bellissima, ma infelice. L’ultima delusione d’amore a sessant’anni»

Ornella Vanoni: «Ero bellissima, ma infelice. L’ultima delusione d’amore l’ho avuta a sessant’anni»
L’artista: «Cedo al fascino degli uomini di talento. Strehler è stato l’uomo che mi ha amata di più, l’ho lasciato, mi faceva soffrire. Gino Paoli mi tradiva in continuazione»
di Candida Morvillo

Ornella Vanoni: «Ero bellissima, ma infelice. L'ultima delusione d'amore l'ho avuta a sessant'anni» shadow
E poi, dopo forse tre ore che parliamo dei suoi 84 anni, dei 63 in cui ha sempre cantato e molto vissuto, di Dario Fo che le scriveva le canzoni della mala, di Toquinho e Vinícius de Moraes con cui incise La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria, «roba che neanche un brasiliano ha fatto un disco così», dopo che ha raccontato di Gino Paoli che per lei compose Senza fine in mezz’ora e che lei amò «come nessun altro mai», e delle lacrime di sua madre che l’aveva educata fra Orsoline e collegi svizzeri e se la ritrovò ventenne a dare scandalo amando Giorgio Strehler che era sposato, Ornella Vanoni accarezza il barboncino Ondina e sussurra: «Da artista, sono felice della vita che ho avuto. Ma dall’amore, sono così delusa che sono sola da vent’anni». Ricorda: «A 60, ho preso una di quelle tranvate... Ho confuso la durezza con la forza. Non voglio neanche nominarlo, era arido e permaloso, io sono ironica, può immaginare il disastro». Però, non si è mai soli quando sai stare attaccato alla vita. E, allora, dallo smartphone di Ornella, spuntano le foto, i messaggi, le poesie, e volti e parole di uomini che, a loro modo, la amano. Che, a suo modo, lei ama. Il primo: Pino Roveredo, 64 anni, lo scrittore Premio Campiello 2005 con Mandami a dire. «L’ho conosciuto alla presentazione di un suo libro, raccontava dei genitori sordomuti, alcolisti, l’ho abbracciato, gli ho cantato Mi sono innamorata di te».

Che cosa è per lei?
«Sono innamorata. Non c’è sesso, ma un amore poetico, virtuale. Ci vediamo poco, lui sta a Trieste, io a Milano. Le leggo una sua poesia» (la cerca sul telefono, ordina all’assistente di trovare la versione ricopiata a mano. Dice «saranno venti, non ne trovo una». L’assistente le porge un faldone. Lei: «Sollievo! E non ci sono solo le sue...»).

Che altre poesie ci sono?
«Aspetti... Titolo: Forse, spero, tanto. Testo: “E quando arriverai lo farai col passo dolce della prima volta, infilando tutti i miei forse, chi sa, spero tanto... E allora, come la prima ora, soffierai i tuoi respiri sulla mia polvere, appenderai le tue perle... Ingoierai file di lacrime nel sorriso... E poi, come la prima volta, abbandonerai il tuo miracolo del nostro ultimo letto... lasciandomi il privilegio di amarti”».

Che amore è?
«Che non si consuma, perciò eterno».

Perché non si consuma?
«Perché no, perché lui è complicato».

Cosa sono le file di lacrime nel sorriso?
«Le poesie sono indecifrabili. Francesco Leto me ne ha scritte di più, molte in inglese».

E chi è Francesco Leto?
«Un amico dell’anima. Un poeta. “I leave my heart on the table, you can hold it in your hand. My black eyes in your cup of tea...”. Ha 36 anni, dormiamo nello stesso letto, spesso».

La ama?
«Sì che mi ama, a suo modo. Questa è del 2016: “Ornella è una danza, che gira nel cielo, sotto le gambe degli angeli... e lei si riprende le sue lacrime appese sul chiodo del dolore... La troverai nel sapore veloce di un insulto”. Ecco, ormai preferisco gli amori così. Uso ancora il cuore, ma un uomo nel letto non lo voglio».

Prima, però, ha detto che dorme con lui.
«Per poter parlare di notte. Per esempio, cantavo a Parigi con Paolo Fresu, Francesco è venuto a trovarmi, abbiamo dormito insieme. Non cerco storie convenzionali. A 80 anni, il sesso non ti riempie il cuore e a convivere ti viene l’orticaria. Ho i miei vizi, voglio vedere Netflix fino all’alba».

(Passo indietro, all’incontro nel suo appartamento milanese color salvia, con le sculture di Arnaldo Pomodoro sul pavimento).
Di recente, in tv, a «Ora o mai più», ha cantato e ballato; a Sanremo, ha fatto furore con Virginia Raffaele; a Milano, è scesa in piazza contro il razzismo. Dove trova l’energia?
«Basta decidere che non ti stanchi».

Perché è scesa in piazza?
«Per attirare l’attenzione sul futuro dei giovani. Ho due nipoti, una di 20 anni, che fa volontariato in India, è una ragazza felice».

Lei, a vent’anni, era felice?
«Per niente. Avevo una cicatrice da tisi sul collo, di cui mi vergognavo. Soffrivo la timidezza. Per vincerla un’amica mi spinse a tentare la scuola del Piccolo».

Strehler la vede e s’innamora di lei.
«Il primo anno seguiva in auto il mio tram. Poi mi accompagnò a casa e fu amore».

Era il ’54, lei era figlia di un industriale farmaceutico, non la spaventava lo scandalo?
«Giorgio era un tale genio e la passione mi ha talmente travolta... A papà venne meno la voce. Vivevo al Piccolo, dormivo con Giorgio. È stato l’uomo che mi ha amata di più».

Lei lo ha amato?
«Meno di lui. L’ho lasciato, mi faceva soffrire, aveva vizi che non potevo sopportare. Però mi ha fatto scoprire la cultura. Lui parlava e io stavo zitta: avevo solo da imparare. Ha intuito che potevo cantare, mi ha fatto scrivere le canzoni della mala».

Lei però recitò solo quando vi lasciaste.
«Feci L’idiota di Marcel Achard e fui premiata come rivelazione del teatro. Lui andò fuori di testa, ripeteva: ma non è possibile».

Di lei aveva detto: «Ha talento, ma non i nervi per sostenere il palco». Sbagliava?
«Aveva ragione. Ero terrorizzata. Dovendo esibirmi, non dormivo la notte, ma per anni».

Quando è passata la paura?
«Quando è rimasta solo l’emozione e ho acquisito sicurezza, forse quindici anni fa».

Agli esordi era famosa per la bellezza.
«Ero bellissima, ma non mi amavo. È stata una fortuna: se no, perdi l’autocritica e fai errori. Dicevano che ero sensuale. Ma è perché, a 14 anni, avevo l’acne e la cicatrice e mandavo avanti il corpo, in shorts e zoccoli alti. A Paraggi pigliavo multe per oltraggio al pudore».

Come era stata la guerra per lei?
«Al primo bombardamento, la stazione di Milano era un inferno, mio padre mi ha afferrata per la vita per mettermi sul treno, ho avuto un’immagine come di John Wayne. Dopo, ho sempre voluto l’uomo che mi prende e mi porta via. Siamo andati a Varese, un cugino partigiano è stato ucciso, a noi hanno sparato in casa. Quando hai avuto la certezza che puoi morire, sei più coraggioso».

Quando se l’è dovuto rammentare?
«Ho sofferto di depressioni gravi. Mi ha salvato un grande psichiatra, che mi segue ancora. Chi butta gli psicofarmaci è pazzo».

Quando è cominciata la depressione?
«Presto. Sono sempre stata malinconica, oltre che solare. E fino al ’70, quando ho cantato L’Appuntamento, non ero popolare e sentivo ansia, inadeguatezza».

La depressione più buia?
«La mia patologia è semplice: soffro d’ansia, non dormo, dopo tre mesi che non dormo, cado in depressione. Ho fatto Sanremo due anni fa, poi ho avuto un anno vuoto ed ero triste, ora lavoro tanto e sono rinata».

Cosa ricorda del Sanremo 1967 in cui Luigi Tenco si suicidò?
«Gli dissi: tieni gli occhi aperti perché noi timidi, se li teniamo chiusi, non arriviamo al pubblico. Lui li apre e sembrava un gufo. Era imbottito di Pronox e cognac».

Come si diventa una grande interprete?
«Dando il giusto senso alle parole che canti».

Grandi interpreti giovani ce ne sono?
«A considerarle giovani, Arisa ed Elisa».

Come avvenne l’incontro con Paoli?
«Ci presentarono. Scrisse Senza fine lì per lì. Solo la musica. Poi, ci siamo innamorati e ha scritto il testo, lungo, lungo. Ho scelto io le strofe».

Nel ’60, amava Paoli, ma sposò il produttore Lucio Ardenzi. Ricercava la vita borghese?
«Macché, di borghese non c’era più niente. Non sapevo cosa fare di me. Mi ero lasciata con Strehler che era sposato, amavo Paoli che era sposato, incontro Ardenzi, mi sposo».

Paoli ha detto: «Ornella di noi ricorda sempre le lacrime, io le risate».
«Intanto, mi tradiva in continuazione. Poi, non lo trovavo mai. E piangevo. L’ho lasciato col cuore che era uno spezzatino. Sua moglie mi disse: “Se me lo porti via, non vivo”, io me ne andai. Lui mi ha dato la colpa d’essere sparita e si mise subito con Stefania Sandrelli».

Cosa è stato per lei l’amore?
«Una cosa necessaria. Per me, è più importante amare che essere amata».

Il ricordo più bello della carriera?
«La riapertura dello Strehler due anni fa. Ho parlato di Giorgio, piangevano tutti».

La canzone preferita?
«Amo le “orfanelle”, le meno famose, come La voglia di sognare. Ora voglio farne un disco, un tour, voglio fare tutto. Anche qualcosa con Checco Zalone... E voglio ricantare con Fresu. Sono innamorata pazza di lui».

Nel senso che dorme anche con Fresu?
«Nooo, a Parigi, anni fa, gli ho fatto una dichiarazione d’amore impossibile. Era sotto il tavolo per la timidezza. Ma io sono così: degli uomini di talento posso solo innamorarmi».