MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Avanza l'analfabetismo musicale, dobbiamo resistere, tirare il freno a mano e scendere

Dopo l’analfabetismo del gusto avanza quello musicale, dobbiamo resistere, tirare il freno a mano e scendere
Il Big Mac non è la cosa più buona da mangiare ma ci siamo abituati, evitiamo che questo accada nella musica, pretendiamo qualità e rendiamoci disponibili a pagarla.
4 aprile 2019 di Michele Monina


Viviamo nell’era digitale. Stiamo passando dalla società liquida, ipotizzata da Bauman, a quella vaporizzata, dove la frammentarietà, l’iperconnessione, la globalizzazione spinta ha pervaso ogni istante della nostra vita.

Siamo costantemente bombardati da informazioni di ogni tipo, che però attirano la nostra attenzione per pochi secondi, e stiamo giocoforza semplificando il nostro rapporto con l’esterno, sempre più disattento e meno pretenzioso.

I primi ad accorgersene sono stati quelli del comparto alimentare, che hanno colto nel dilagare del cosiddetto junk food/ fast food una modalità che avrebbe portato a una analfabetizzazione del gusto, quindi a un impoverimento culturale rispetto a quello che il mangiare e il bere è in sé, lasciando momentaneamente da parte quanto tutto questo stava portando di male per la salute.

Certo, col rischio constante di allontanare dalla massa sapori che la massa non si era mai potuta permettere prima, si pensi al Salmone di colpo arrivato in molte tavole grazie a offerte probabilmente incredibili degli hard discount, ma anche con la consapevolezza che diminuire le quantità puntando alla qualità avrebbe non solo agevolato un approccio al cibo sano con conseguenti vantaggi per la salute, ma anche a un cibo più buono, vero, con conseguenti vantaggi per il gusto. Un gusto che andava quindi rieducato da zero, proprio come quando a scuola ci insegnavano a scrivere a partire da come tenere in mano una matita e dai primi segni da fare ordinatamente sul quaderno.

Ora anche nel comparto musicale si sta cominciando a pensare a una forma di resistenza analoga. Una sorta di ambientalismo musicale, nel tentativo di rallentare i tempi di approccio all’ascolto, puntando di più sulla qualità, sia nelle composizioni che nell’ascolto stesso. Un abbandono, non certo luddista, delle nuove tecnologie a vantaggio della musica suonata davvero, dai musicisti. Un ritorno quindi agli strumenti, al live, al rapporto non mediato dallo smartphone.

Lo dicono i numeri, questo riprendere a guardare ai concerti come a qualcosa di più interessante, per il quale si è disposti anche a spendere cifre che per i cosiddetti dischi, oggi in realtà streaming, al limite file in download, non saremmo affatto disposti a sborsare. Lo dicono i Festival, che spuntano un po’ ovunque come funghi. Lo dicono, e su questo magari aprirei dibattito, il numero di artisti che si azzarda a portare in scena tour in palasport, ambendo quindi a toccare un numero di spettatori sempre più importante. Lo dice, più in generale, qualcosa che è nell’aria, come nelle strofe di Felicità di Al Bano e Romina, e questo qualcosa assomiglia tanto a uno slogan come: vendi l’esperienza, che i prodotti replicabili ormai la gente in musica se li aspetta gratis.

Anche qui, forse sarebbe il caso di una sorta di rieducazione coatta, come la Cura Ludovico di Arancia Meccanica. Provare a far capire che i beni intellettuali sono appunto beni, che quindi essendo qualcosa che ha un valore, che è costata lavoro e fatica, o magari anche solo ispirazione, deve per questo essere pagata. E deve essere pagata il giusto prezzo, in barba a questa idea di free bar che si è ormai insediata nel Music Business. Un po’ come gli alieni di Mars Attack, “Bella la Terra, me la prendo”.

Ecco, in tutto questo, in questa frammentarietà, in questa aria di decadenza che però sottintende una ipotesi di risalita, direi che la sola cosa sensata da fare è fermarsi, o quantomeno rallentare. Riprovare a cercare la bellezza. Il gusto. Un gusto che, non fidatevi di tutti quei cialtroni che vi proveranno a inculcare l’idea che il gusto è soggettivo, che se una cosa piace a tanta gente non può che essere bella, un gusto che va educato. Se a tanta gente piace il Big Mac non è perché il Big Mac è il panino più buono del mondo. Ma perché ci siamo abituati a quel sapore lì, in una sorta di analfabetismo del gusto, appunto, oltre che perché costa poco, lo si mangia in ambienti uguali in tutto il mondo, quindi facilmente identificabili come familiari, etc etc.

Ecco, se non pensiamo che il Big Mac o chi per lui sia la cosa più buona da mangiare al mondo, proviamo a traslare questo concetto in musica. Cominciamo a guardare alla musica che passa il convento con un po’ più di distacco, se non addirittura sospetto. Proviamo a pretendere maggiore qualità, magari anche rendendoci disponibili a pagarla, questa qualità. È quello che da tempo sta succedendo nel rock, ormai equiparabile a quella che un tempo era la musica classica, cioè una musica con un pubblico adulto, selettivo, disposto a investire dei soldi per i propri ascolti.

Una forma di resistenza al brutto esiste, è questa. E siamo solo noi in prima persona che possiamo praticarla, tirando il freno a mano, scendendo dalla macchina, iniziando a camminare.