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Io sono Mia, l'insostenibile bruttezza delle biopic italiane - di Michele Monina


Io sono Mia, l'insostenibile bruttezza delle biopic italiane
February 14, 2019

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Michele Monina




Devi perdonare settanta volte sette. Ricordo che da piccolo, ai tempi del catechismo, questa faccenda del settanta volte sette mi suonava da una parte strana, perché non capivo la necessità di scegliere un numero che non fosse tondo come un cento, un mille, dall'altra piuttosto comoda, perché superata quella quota, credevo erroneamente, uno si sarebbe serenamente potuto lasciare andare a scatti d'ira e vendette ben architettate.
Ovviamente la questione era da affrontare in altra maniera, ma da bambino non ero tenuto a saperlo né a capirlo.
Sarà però che la stanchezza post-sanremese fatica a passare e che quindi la lucidità non è esattamente la caratteristica che mi contraddistingue in queste ore, ma credo di aver letto ben più quattrocentonavanta commenti che tendano a addossare a Ivano Fossati, soprattutto, e a Renato Zero, colpe di non ho capito esattamente quale natura per non aver dato il permesso di utilizzare i loro nomi e i loro personaggi nel biopic Io sono Mia, andato in onda l'altra sera su Rai 1 e dedicato a Mia Martini, quindi penso che sia arrivato il momento di scriverci su due righe.
Ora, ho una stima infinita per Ivano Fossati, e anche per Renato Zero, seppur in scala ridotta. Li stimo per tutto quello che hanno scritto e fatto per la musica leggera italiana, per come sono stati capaci di raccontarci l'Italia della seconda metà del secolo scorso, diciamo dell'ultimo quarto di secolo, e anche quella dell'inizio del nuovo millennio. Se ho un cruccio oggi è proprio quello che non ci sia più la penna e la voce di Fossati a raccontarci l'oggi, a aiutarci a decifrare l'oggi, e che anche quella di Zero non sia proprio in splendida forma. Insomma, massima stima su tutta la linea. Ora, a questo punto, retoricamente, per come ho costruito il discorso, dovrei sparare un bel “Ma...”. Tanto per rovesciare quello che ho appena scritto. Invece il loro aver negato la possibilità di citarli, per nome e come personaggi, seppur entrambi assolutamente riconoscibili in due figurine di cartone comparse nel racconto, mi è parso qualcosa non solo di sensato e giusto, ma di onorevolissimo.
Perché, diciamocelo apertamente, Io sono Mia è una fiction di una bruttezza aberrante. È vero, in questi casi ci si aggrappa alla bravura della protagonista, Serena Rossi, ma è appunto un aggrapparsi al relitto del Titanic. E poco importa che la fiction abbia avuto ottimi ascolti, avere successo non significa essere di qualità, ma magari semplicemente significa che la massa ha gusti dozzinali, o che l'empatia verso Mia Martini, quella vera, abbia fatto superare le aberrazioni messe in scena.
Perché Io sono Mia ha difetti molto evidenti. Primo, ci sono dei buchi narrativi spaventosi, e dire “ma si deve raccontare una storia complessa in poco tempo” è una stronzata, perché mica glielo ha ordinato il dottore di raccontarla tutta e non glielo ha ordinato il dottore neanche di raccontarla così. Mancano, per dire, le figure di tutti gli autori che hanno scritto per lei, salvo rare eccezioni. Dove ***** è un Dario Baldan Bembo, che per lei ha scritto Minuetto e Piccolo Uomo, nella parte musicale? Bruno Lauzi sarebbe quello che compare per pochi frame e che si può riconoscere perché lo chiamano Bruno? E Maurizio Fabrizio? Ma non è tanto e solo questo. Figuriamoci. Anche la faccenda della dicieria che l'ha sostanzialmente distrutta. Ha senso tornarci sopra usando così tatto? Di lei dicevano che portava sfiga. Parlandone si toccavano i coglioni. Neanche la nominavano. Qui non si è andati giù così dritti. E soprattutto, anche in questo ambito, non si son fatti i nomi.
Hanno preso la storia di una donna forte, libera, che anche per questa è stata messa al bando, uccisa, e se n'è fatta una sorta di macchietta con cappellino e sigaretta. Decontestualizzandola da tutto quel che le succedeva attorno. Tutte le scene sono diventate bidimensionali, piatte. L'emozione, se c'èra, non era per quel che si vedeva, ma per quel che si sapeva era successo in realtà.
Ovvio che Fossati e Zero li abbiano sfanculati, e voglio pure vedere. Io avrei semplicemente accettato per poi citarli per danni.
Se l'intento di Io sono Mia era altro rispetto a far capire che Serena Rossi è una grande interprete, beh, è stato del tutto cannato.
Come del resto è successo in quasi tutte le fiction Rai dedicate a cantanti di grande successo, si pensi a De Andrè o Rino Gaetano.
Ora, conto sul fatto che, almeno da morta, Mia Martini non avrà modo di addolorsarsi di come il suo nome e la sua figura siano state trattate da autori incapaci di costruire altro cliché e anche piuttosto ignoranti dell'ambiente artistico e professionale che hanno provato a raccontare. Per il futuro suggerirei sommessamente di lasciar fare le biopic a chi le sa fare, e dedicare le proprie energie a Un medico in famiglia, che continuerà a far cagare come sempre, ma senza la pretesa di essere altro da quel che è: una cagata.