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Mina e Battisti, come non li abbiamo mai sentiti.

Mina e Battisti, come non li abbiamo mai sentiti.

Postato il 22 gennaio 2019 di Massimo Francesco

Chissà quale scintilla si accese quel giorno, quando Mina incontrò Lucio Battisti per la prima volta, chissà cosa vide in lui, nei suoi occhi timidi; chissà che armonie le risuonarono in testa mentre lui strimpellava alla chitarra con la sua vocina stridula le canzoni che presto lei avrebbe cantato e rese immortali. Sicuramente qualcosa di profondamente umano e universalmente animico deve essere riaffiorato nella sua anima mentre lui le cantava Insieme, Io E Te Da Soli, Amor mio… un sentimento, una vicinanza, un’emozione, e la magia della Musica li ha entrambi proiettati nel mondo dell’altro così profondamente che il legame creatosi tra i due non si sarebbe mai più dissolto, neppure oggi, a tanti anni di distanza dalla prematura dipartita di lui.
Le prime canzoni di Lucio che Mina ha cantato sono subito diventate un amatissimo patrimonio comune e, ancora oggi, hanno portato questa doppia raccolta in cima alle hit (e sulla soglia del disco di platino), e tutte le altre che sono venute dopo (in primis il meraviglioso album MinaCantaLucio dove Mina e Gabriel Yared hanno nobilitato le composizioni di Mogol-Battisti dando loro uno spessore culturale e un’intensità che in origine non avevano) non hanno fatto che confermare la potenza inaudita scaturita da quel legame – ormai siglato – che sembrava dover durare per sempre.
Purtroppo però, non sempre le cose vanno come si vorrebbe, e così, l’ipotizzato seguito al trionfale MinaCantaLucio – uscito nel 1975 – non è mai realmente stato prodotto. Analizzando la discografia di Mina si intuisce che la Signora ne abbia accarezzato l’idea e, probabilmente, il 1995 sarebbe potuto essere l’anno giusto, se solo il progetto MazziniCantaBattisti non fosse stato prematuramente anticipato al 1994 (per bissare il successo di vendite dello spettacolare Mina Canta I Beatles) restando così incompiuto.
Osservando la scaletta di questo Paradiso, notiamo che, tolte Acqua Azzurra Acqua Chiara, Eppur Mi Son Scordato Di Te, Nessun Dolore e Io Vorrei, Non Vorrei, Ma Se Vuoi, incise negli anni ottanta e le prime canzoni incluse nei dischi dei primi anni settanta, tutte le nuove incisioni (che saranno poi sparpagliate nei dischi successivi) si aggirano intorno alla metà degli anni novanta. Anche le inedite Vento Nel Vento (molto vicina – secondo me – alle incisioni finite in Cremona con Giorgio Cocilovo alla chitarra) e Il Tempo Di Morire(che invece ascriverei alle sessioni con i fiati di Gabriele Comeglio dello stesso periodo, o al massimo a quelle intorno a Bau, dove questo pezzo sarebbe potuto essere un bel retro per il singolo Mogol Battisti) e persino l’omaggio-citazione de La Canzone Del Sole, cantata dalla incredibile voce di Giovanni Donzelli in Canarino Mannaro, sono state incise in quegli anni.
Ma, supposizioni a parte, comunque siano andate le cose (compresi gli assurdi veti imposti dalla vedova Battisti) quella che abbiamo tra le mani oggi è la vera rivoluzione delle compilation, la strada maestra che ci si augura si possa intraprendere per innumerevoli futuri episodi di restauro sonoro della discografia di Mina.
Si potrebbe partire dal periodo 1967-68, quando Mina ha intrapreso la sua prima rivoluzione sonora per dar vita alla sua etichetta discografica, e si potrebbe cercare di ricreare quel suono che – magari per mancanza di tecnologia – in quegli anni si inseguiva, ma non si poteva ottenere e che ha perso fascino e carattere nelle digitalizzazioni affrettate della rivoluzione compact disc; si potrebbe così ripescare la meravigliosa Trenodia e qualche altra gemma dimenticata da quelle parti, rieditare Le Più Belle Canzoni Italiane, e ripulire dai finti applausi le canzoni inserite solo in Mina Alla Bussola Dal Vivo; e, restando nel periodo Martelli, ribilanciare certi eccessi negli arrangiamenti dei primi anni ’70, per ridare dignità al canto di Mina, spesso compresso da barocchismi e orpelli di cui la sua voce non aveva certo bisogno.
Si potrebbe andare avanti ai primi anni ottanta e correggere qualche virtuosismo di tropponegli arrangiamenti di Salomè o Mina 25 o Catene; o a seconda del materiale inedito che si potrebbe tirar fuori, capire come potrebbero suonare tra le mani del grandioso Celeste Frigo doppi album meravigliosi (tra i miei preferiti di sempre) quali Rane Supreme o Ridi Pagliaccio.
Ma per ora, godiamoci la possibilità di ascoltare – per la prima volta con un suono pazzesco – i gioielli di questa decisamente troppo sporadica collaborazione in una veste sonora che rivela inedite sfumature (ascoltabili, diciamocelo francamente, se si è in possesso di un impianto di riproduzione sonora degno di questo nome) e conferma la grandiosità delle interpretazioni di Mina in ogni epoca.
L’aggettivo che ben si addice a tutto il lavoro è: inedito; tutto prende una sfumatura inedita che ribilancia e ricolloca i pezzi in un presente continuo, dove l’unico legame tra loro è la voce, incredibile, duttile, sempiterna, che unisce ogni brano in un ideale fil rouge di personalità costantemente spiazzante e puntualmente multiforme, divide nell’impossibilità di trovare altre declinazioni possibili alla Parola che si crea nella bocca di Mina (sia questa aperta all’inizio degli anni settanta o alla fine del passato, disgregante millennio) e sconvolge qualsiasi tipo di categorizzazione mai pensata.
Aprono la raccolta due inediti, il primo che ci è arrivato alle orecchie è Il Tempo Di Morire, degnamente arrangiata da Massimiliano Pani con l’aiuto ai fiati dell’inossidabile Gabriele Comeglio; l’interpretazione di Mina rivela la sua voce multiforme capace di attraversare diversi registri vocali rimanendo coerente, piena, e senza perdere un grammo di personalità. In questo caso si percepisce che l’interpretazione nasce con l’arrangiamento che colora ed impreziosisce di fiati scintillanti, sontuosi e baroccheggianti, un pezzo che nasce, invece, in seno a una provocazione smaccatamente rock-progressive. Interessante sarebbe stata una rilettura più elettronica e dura, seguendo la falsariga delle prime strofe cantate da Mina con la sua voce maschile e secca. Ma questa rilettura è un omaggio più pretestuale che ambizioso, e così si è decisamente mirato alla celebrazione più che all’attualizzazione.
Molto diverso sarebbe stato se Mina avesse deciso di comporre un album ex-novo, con l’intento di cantare oggi il Battisti che le piace di più, e avesse chiesto a musicisti come Nicolò Fragile, Franco Serafini o Ugo Bongianni di intervenire. Pensate (giusto per sognare un po’) a cosa sarebbe stata La Luce Dell’Est arrangiata da Franco Serafini, oppure a Prendi Fra Le Mani La Testa o Respirando rifatte con la voce di oggi e con un vestito elettro-rock; chi più ricorderebbe la versione di Battisti se Mina incidesse Amarsi Un Po’ con soli archi? Oppure Una Giornata Uggiosa con la sua voce più nera e maschile?
L’altro inedito che ci viene proposto è Vento Nel Vento, prodotta nientepopodimeno che da Rocco Tanica.
L’a-capo a questo punto mi sembra doveroso, visto che siamo in presenza di uno dei più bislacchi arrangiamenti mai sentiti in un disco di Mina dai tempi in cui Beppe Cantarelli sperimentava i sintetizzatori, o Victor Bacchetta banalizzava, in preda a un delirio di restaurazione musicale, le più belle sigle di trent’anni di storia della tivù.
Mi piacerebbe spegnere un layer dopo l’altro lasciando solo piano, chitarra, basso e batteria. Credo che il tutto ne guadagnerebbe in termini di impatto e musicalità e sentiremmo meno la mancanza del piano che sosteneva la versione originale di Battisti. Resta il dubbio su cosa non convincesse Mina della versione già incisa e sul perché si siano affidati a musicisti esterni alla formazione solita; non è per essere conservatori, ma sento gli interventi di musicisti esterni al team consolidato sempre inappropriati e snaturanti sia il suono che il sentimento di Mina.
Detto questo, la sua l’interpretazione è favolosa, nel pieno del suo registro vocale, sfodera una sublime e controllata potenza (come tipicamente faceva negli anni novanta) portando il pezzo completamente nel suo mondo musicale; molto belle le note alte, piene e decise che rendono al tutto l’aura degna di un grande capolavoro.
Ma questo è solo l’inizio, visto che, ai due inediti, seguono una serie di rimasterizzazioni davvero eccellenti; il preziosissimo lavoro di Massimiliano Pani, Celeste Frigo e (non fatico a credere) Mina stessa, ha sollevato quel velo di stanchezza che si era posato su buona parte dei pezzi inseriti nella raccolta, e con pochi piccoli assestamenti, che non hanno mai stravolto il suono originale, ha rivelato sfumature preziosissime della voce che si erano ***** tra le righe, e aggiunto qualche specifica che ha reso il tutto più brillante, nell’esaltazione di qualcosa che era, già di per sé, ineccepibile.
Penso a Io E Te Da Soli che diventa d’un sol colpo modernissima, rivelando una voce trattenuta, sofferta, mai dispiegata, e aggiungendo al tutto delle sfumature di voce sul finale mai sentite prima.
Le strofe di Insieme sono un altro grandioso monumento costruito dalla voce di Mina: modernissima, pulita, misurata come nessuna mai; questo restauro rivela intenzioni spesso oscurate negli ascolti dalla leggera confusione (innegata anche da questa operazione di pulizia sonora) che si avverte all’arrivo del baroccheggiante ritornello, arrangiato dal povero Detto Mariano, ancora troppo sporco di Clan e anni sessanta per poter seguire la natura del-la voce che stava accompagnando e del pezzo di storia che stavano scrivendo.
Ecco, di questa, più che di altre incisioni auspicherei un completo ri-arrangiamento o – perché no – una totale riesecuzione.
Molto interessante anche il lavoro di approfondimento rock, realizzato per rinforzare Eppur Mi Son Scordato Di Te (dove la voce è perfetta in ogni punto della tessitura armonica), Io Vorrei, Non Vorrei, Ma Se Vuoi… (che sembra incisa ieri pomeriggio), Nessun Dolore (cantata nel periodo d’oro, in cui la sua voce era sublime, potentissima, miracolosa, la miglior voce che abbia mai attraversato un microfono) e il suo magnifico finale.
Ma il lavoro più godibile è – senza dubbio – quello svolto sui pezzi degli anni settanta, nonostante alcune parti degli arrangiamenti risultino – comunque – oggi molto datate. E Penso A Te rivela una incantevole voce, tanto nuda, malinconica, sottaciuta sulle strofe, quanto brillante, e costretta a caricarsi di (troppo) ottone sul ritornello per non farsi oscurare dal volume dei contrappunti fatti dai fiati; La Mente Torna, cantata a piena voce (sorprendentemente dispiegata nel ritornello, nonostante la scarsità di vocali aperte), diventa più liberatoria, soave, perentoria; Amor Mio è più ricca di spazio tra i suoni che compongono la strofa, la voce si dispiega più libera, ne apprezziamo meglio tante sfumature e sul bridge è stato fatto un lavoro eccellente, anche se la vetustà del coretto (ancora decisamente troppo invadente) resta a contrappuntare anche qui una delle caratteristiche più evidenti, ma anche più datate, della scrittura di Battisti: il contrappunto.
A farci caso, in quasi tutte le canzoni di Battisti, c’è qualcosa che si ricorda più del resto, qualcosa che si incide nella mente e sostiene il dipanarsi della melodia principale (ma talvolta la sua presenza diventa ossessiva e preponderante): un na-na-na-na-na-nna-na, un ta-ra-ta-ra-tta, un pa-ra-ppà, un na-na-nnà, un ppe-pe-re-ppè, a volte eseguiti dai fiati, altre volte da un coretto o da altri strumenti. Questi contrappunti sono una costante della sua scrittura, e sono quelli che rendono il brano pop (olare) e orecchiabile, ma, talvolta sono l’elemento più datato che impedisce di godere appieno della bellezza della melodia portante.
Questo discorso, per nostra fortuna, non vale per il magnifico MinaCantaLucio; per questi arrangiamenti, il grande Gabriel Yared – appena ventiseienne – stravolge la tessitura musicale di ogni brano, tamponando, smussando ogni asperità ascrivibile alla connotazione temporale e affilando di ciascuno la forza espressiva più intima e viscerale, tanto da renderli eterni ed universali.
È davvero sorprendente (per me che non frequento gli album di Lucio) fare un confronto diretto con le versioni originali: Yared riscrive completamente tutti gli arrangiamenti, senza riprendere una sola melodia secondaria, un solo contrappunto, ma creandone di nuovi, esclusivi. Si parte dalla intro di Emozioni (più magica, più sontuosa, più atmosferica), passando per i contrappunti di Fiori Rosa, Fiori Di Pesco (che credevo ripresi dall’arrangiamento di Lucio e che rendono questa versione più battistiana dell’originale) per arrivare a Il Nostro Caro Angelo – altro capolavoro – piena ma delicata, modernissima e arcaica e profondamente legata al mondo di Battisti, con quel contrappunto sul finale (ti-ri-tti-ti-ri ti-ri-ri) intrecciato a una complessa scrittura di archi, di cui non c’è traccia del disco di Battisti. Ci sono poi Innocenti Evasioni, con la sua arpa in primissimo piano e con tutti i suoni perfettamente distinti, e una sontuosa 29 Settembre, al cui confronto quella di Lucio sembra un provino casalingo senza spessore né colori.
L’album chiude con il suo capolavoro: Non È Francesca; qui Yared stravolge tutto senza snaturare, precisa e sottolinea quello che nell’arrangiamento originale era solo un germe e dà un carattere al brano completamente inedito; si parte dalla intro e prima strofa, dove Yared sostituisce il banalissimo arpeggio di chitarra con una melodia arabeggiante ed estremamente complessa suonata al clavicembalo; poi, con l’avvento degli archi (che nella versione di Battisti rappresentano un banalissimo contrappunto, che poi diventa il tan-tan ossessivo sul finale) già nella seconda strofa, Yared crea tutto un mondo di sospetto che si insinua in plurime melodie sibilline, fino a sfociare nel sovrapporsi di tre o più melodie distoniche (Gershwin e la sua Rhapsody In Blue sono il vero riferimento culturale di quest’opera) che terminano in un taglio drammatico e violento.
Ascoltare MinaCantaLucio per la prima volta, alla sua uscita, e con in testa le versioni originali, dev’essere stata un’esperienza ai limiti del surreale, dell’estatico, del magico; dev’essere stato come trovarsi proiettati direttamente in Paradiso; dev’essere stato, in misura più amplificata, quello che è successo a me, nel momento in cui ho suonato questo disco rimasterizzato: suoni, colori, sinfonie, immagini del passato e del futuro si sono affastellate davanti a i miei occhi; la voce è apparsa su una spiaggia all’alba, vivida e maestosa, e poi mi ha trascinato su in alto a intrecciare nubi e poi ancora giù, planando tra le valli e nel giardino dell’Eden, tra i profumi inattesi della vita e dell’amore, e poi di nuovo su, attraversando nubi e ghiaccio e poi giù in un mare di sogni brulicante di vita aliena.
Quella piccola scintilla iniziale scattata tra Mina e Lucio si è oggi tramutata in stelle, e le stelle in galassie infinite di emozioni, ancora una volta, a disposizione di chi sa coglierne il profondo valore universale.