MUSICA




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L'ultima intervista di un anno d'oro per Cesare Cremonini

Questa è l'ultima intervista di un anno d'oro per Cesare Cremonini, artisticamente e anche come accoglienza da parte del pubblico. E' uscita qualche giorno fa su "La Stampa": ci sono dentro molte verità, prima fra tutte quella del titolo che segue.

"SE 5 AUTORI SCRIVONO PER 40 ARTISTI
E 2/3 PRODUTTORI PRODUCONO META' DEI DISCHI
E' LA MORTE DELLA DISCOGRAFIA ITALIANA"

BOLOGNA
Arrivato da molto lontano a bordo di una 50 Special, Cesare Cremonini appare come la nuova conferma nella canzone d’autore. Cesare non è di nicchia. E’ uno che quest’anno ha riempito stadi e palasport di più di 300 mila persone, malgrado si ponga domande profonde e racconti storie complesse dei nostri giorni. Un segnale positivo in una società che traballa dentro i congiuntivi e i riassunti, anche a Montecitorio. Un soffio di ottimismo in un anno difficile, che lui stesso racconta, alla vigilia del ventennale di «50 Special».
Caro Cesare, lei ha 38 anni, sta sui palchi da 20. Il 2018 è stato un apogeo per la sua carriera. Il ragazzino leader dei Lùnapop a fine ‘900, ha compiuto un salto di qualità e di quantità di pubblico con la sfida di un album tutt’altro che superficiale,«Possibili scenari». Un bel coraggio, rifarlo per sola voce e pianoforte.
«La grande soddisfazione è che abbiamo portato ai concerti persone dai 25 ai 40 anni: non è scontato che escano e spendano soldi. Ciò smentisce il tratto statistico della generazione di depressi: dipende da ciò che gli offri. Ci ho messo 20 anni a stabilire un rapporto. E’ un periodo di pochi progetti musicali, le classifiche sono piene di giovanissimi. Ma portare ai concerti quelli che han studiato e lavorano, mi dà orgoglio».
E come si fa?
«La musica non è alta o bassa, ma larga o stretta. Dipende dal lavoro che ci metti per raggiungerli. Non esistono persone chiuse e solo arrabbiate con questa società, siamo noi - intellettuali, scrittori, musicisti - che dobbiamo offrire il meglio per farli uscire. Ho visto una generazione con la testa china uscire contenta di essere abbracciata. Convincere le persone con interessi a spendere per sostenere l’arte e la musica, dipende dall’offerta. Dedico il successo a chi ha rinunciato a una cena per qualcosa di più. La gente va stimolata anche sacrificando i risultati».
A San Siro si è visto che dopo tanti palasport lei ha ormai imparato i fondamentali.
«Sul palco ti vengono in mente tante cose. Questo tour mi ha permesso di essere quel che sono. Freddie Mercury e Mick Jagger mi hanno ispirato a stare a testa alta; ma grazie anche a Giorgio Gaber, alla sua teatralità un po’ ironica».
La generazione precedente ha lasciato un grande spazio libero
«La discografia punta sulla tv. L’idea che 5 autori scrivano per 40 artisti, e due o tre produttori producano metà dei dischi usciti, è la morte stessa della discografia. Non abbiamo bisogno di intonati, ma di personalità artistiche. Bisogna uscire dalla pozzanghera, creare esempi, costruire attraverso l’autonomia e l’artigianalità del proprio mestiere, nel bene e nel male. Rinunciando a essere io più importante della canzoni, s’è creata in 20 anni fiducia e credibilità, che mi sono conquistato con il lavoro. Non ho bruciato tappe».
La tragedia di Corinaldo, dove si aspettava Sfera Ebbasta, ci dice anche che c’è poco rispetto per i giovani.
«Si deve aprire una riflessione ampia sulla sicurezza e le condizioni nelle quali gli artisti lavorano, solo così quel che è successo potrà essere utile. Sento dire che deve finire la pacchia per i delinquenti. Ma la pacchia deve finire anche per far tornare il rispetto delle regole e dell’educazione civica, per chi si definisce patriota ma non conosce la lingua italiana.
I ragazzini ascoltano solo rap...
«Tento di comprendere le diversità anche quando sono sbagliate. A volte le subisco, se sento una ragazzina di 15 anni bestemmiare sto male, come per un ragazzino maleducato con gli anziani. E sto male se vedo loro buttati in una discoteca senza rispetto».
Nel 2019 «50 Special» compie vent’anni
«E io sogno di riportarla a tormentone la prossima estate. Penso non fosse la canzone leggerina di un acerbo gruppo bolognese, ma quella di uno che a 16 anni andava in giro per i colli e non aveva voglia di studiare. Vorrei continuare ad appro*****rne perché credo sia uno dei riempipista più funzionanti nei locali d’Italia».
Altri stadi? E poi?
«Continuo a ragionare per stadi. Per il prossimo album, poi, ho già scritto nove canzoni. Non starò fermo, voglio sfruttare ciò che il pubblico mi ha concesso, senza dover seguire dei binari».