MUSICA




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Bohemian Rhapsody ovvero la parabola più vera del vero di Freddie Mercury


Il 29 novembre uscirà l’attesissima biopic sui Queen: oltre due ore, didascaliche forse, ma utili per conoscere aspetti reconditi dell’avventura della band e del suo cantante
di Matteo Cruccu

«Is this the real life? is this just fantasy?»: bisogna proprio ricorrere all’ attacco della loro canzone-manifesto per definire il sottotitolo di «Bohemian Rhapsody», la biopic musicale più attesa dell’anno, in uscita in Italia giovedì prossimo. Ovvero la storia dei Queen che poi altri non è che la storia del loro sole, il compianto Freddie Mercury. Il sottotitolo si attaglia bene, perché il film è molto «real life», nel senso che il taglio è piuttosto didascalico(in alcuni frangenti pure troppo), dall’inizio alla fine, pur se non mancano diversi elementi fantasiosi nella ricostruzione dell’avventura unica di Freddie e compagni, come avranno modo di notare i Queen maniaci (dall’incontro della band calato in un pub e non in una più fredda università alla discussa questione della sessualità del cantante che invece mai si dichiarò gay in vita sua).

Quel che conta al di là del fact-checking è anche l’impressione, così, a pelle: il film non trasfigura la parabola dei Queen, non li rende «altri da sé», alla Doors degli Oliver Stone, per intenderci, visto che in quell’operazione il regista finì per consegnarci dei Doors paralleli a quelli veri (il Val Kilmer- Jim Morrison ubriaco in ogni ciak, distantissimo da quello reale, fece inorridire i suoi sodali ancora in vita). No, qui questo rischio non c’è, perché i due Queen ancora in attività, Brian May e Roger Taylor (John Deacon si è ritirato a vita privata da un po’), hanno supervisionato il film, approvato le scene, collaborato alla sceneggiatura e alla fine dato il via libera all’operazione.Quindi quelli di Bohemian Rhapsody, sono dei Queen in sovraimpressione, più veri del vero. E questo potrà far piacere a quasi tutti i fan (i talebani sono sempre esclusi) e a chi non li conosce del tutto, perché si potranno scoprire varie cose: il Freddie facchino all’aeroporto prima del successo; la dentatura conigliesca che da limite si trasforma in un plus; l’amore incondizionato per Mary che esula da qualunque definizione-etichetta di genere si voglia attribuire al cantante.

Ma, soprattutto, si capirà ancor meglio la sua centralità nell’epopea Queen (ben incarnata nell’ottima prova di Rami Malek): non solo in scena, l’istrione più potente di sempre lo conosciamo tutti. Ma anche dietro le quinte, perfezionista assoluto, creativo all’eccesso, una sorta di Maradona del rock che chi lo circonda, i compagni di band (un realisticissimo Roger Taylor su tutti), i manager e i roadie, il discografico (qui un Mike Myers assai gonfio), può provare a punzecchiare, ma mai a mettere in discussione. Per quelli che sono nel mezzo, ovvero i non fan, ma già iniziati al verbo Queen, il film risulterà forse un po’ troppo lungo, in qualche passaggio scolastico, come detto, e in qualche passaggio ridondante (vedi il lunghissimo finale a Wembley, per il Live Aid), ma Bohemian Rhapsody li aiuterà a ricordare (perché a volte ce ne dimentichiamo) l’importanza di questa band, mai scontata, sempre immaginifica, nell’ormai lunghissimo romanzo del rock’n’roll.