MUSICA




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La pallida reinterpretazione dell’eleganza assoluta e del genio di Mina - di Massimo Francesco

La pallida reinterpretazione dell’eleganza assoluta e del genio di Mina.
Postato il 8 ottobre 2018 di Massimo Francesco
È una vera, inaspettata sorpresa questo numero settembrino di Vogue Italia; ricco di immagini e articoli, interviste, scritti, considerazioni, elucubrazioni… tutti riguardanti il mito, l’icona, il monumento e la strana donna (insopportabile, probabilmente) che si porta tutto questo dentro e che di tutto è causa ed effetto: Mina.

Devo ammettere che nel complesso è un numero piacevole da sfogliare, l’atmosfera generale è di grande celebrazione senza nostalgie (sì, ci sono davvero riusciti); gli interventi e le immagini riflettono un grande amore e una profonda ammirazione e tenerezza principalmente per la donna, oltre che per l’icona.

Chissà da chi è nata l’idea di dedicare a Mina un numero intero di Vogue Italia senza il neppur minimo contributo della Signora, se non un piccolissimo scatto quasi inedito in chiusura del numero; il primo indiziato è naturalmente Balletti visto che è lui il l’unico referente dell’immagine di Mina e che, come fotografo di moda, appartiene al mondo delle riviste di genere. Ma, a guardare e leggere bene, lui resta – come sempre – nell’ombra e quella che poteva essere una importantissima vetrina per lui e per il suo lavoro, diventa invece palcoscenico per altri artisti e fotografi. Seconda indiziata è Benedetta Mazzini, ma anche lei, con i suoi viaggi e il suo amore per l’Umanità e la Terra, sembrerebbe oggi molto lontana dallo scintillio delle passerelle e dal fascino perverso e anoressico delle modelle in voga oggi.

Nemmeno il buon Massimiliano Pani, con le sue conduzioni, il suo fare da persona educatissima e per bene (nel senso più bello del termine) e il suo lavoro di produttore e musicista sembrerebbe responsabile di questa idea… e allora?

Che sia stata Mina in persona a lanciare l’idea? Niente di più bizzarro potrebbe venirci in mente, ma a ben considerare la sua genialità innata e l’amore per la meraviglia e lo stupore che da sempre l’hanno mossa, come ipotesi non è affatto da scartare.

In ogni caso, quella che avete tra le mani è una rivista assolutamente unica nel suo genere, soprattutto per il fatto che i riferimenti della moda sono sempre stati altri, l’arte, il cinema, il teatro, il modo reale, le persone, la storia, la cultura dell’Uomo in quanto specie razionale e spirituale… qui invece è come se due mondi assolutamente disgiunti – ma in qualche modo in relazione e generati l’uno dall’altro in un continuo gioco di rimandi e relazioni – si sovrapponessero per creare un bizzarro corto-circuito e innescare il gioco del “vale tutto”, dando libero sfogo alle menti più creative e perverse nella produzione di immagini e pensieri, figli di una cultura che, passando per Mina e per il suo immaginario, si innesta su sé stessa parlandosi addosso, per ritornare di colpo ad un significato archetipo, primordiale, istintivo ma intellettualizzato di ciò che era in origine.

Tutto questo è ben evidente sia nelle immagini (ombra/luce del significato/significante che Mina incarna in un dualismo perfetto) che nei testi, che descrivono Mina con una serie di aggettivi quanto mai varia: statuaria – monacale – sacerdotessa – sibilla – kabuki – androgina – stravagante – mutante – anticonformista – elegante – immortale – fuori scala – classica – greco-romana – sofisticata – adulta – audace – maschile – fragile – diversa – forte – complessa – semplice – vicina – inaccessibile – atipica – attuale – moderna – eccentrica – strega – elegantissima – unica – perfetta – tenera – docile – profondamente femminile – morbida – languida – drammatica – ipnotica – sinuosa – duttile – iper-femmina – sfuggente… una lista di aggettivi che farebbero impallidire il più grave caso di personalità multipla, ma che calzano tutti perfettamente a Mina.

Giocando con la sua immagine, Mina (principalmente), Balletti (nel suo riflesso) e Gianni Ronco hanno creato nel corso degli anni una Mina onnipresente, una Mina-tutto (per dirla con i giapponesi) che si è progressivamente “dissolta nel mutare della sua immagine” che ha attraversato tutti gli stili e i mondi possibili, pur restando iconicamente presente come una statua greco-romana.

E allora nel gioco del vale-tutto ci sta davvero proprio tutto, dalle sofisticatissime, ipercostruite immagini prodotte da Luigi & Iango (di cui quella splendida Rane Supreme potrebbe diventare – con l’opportuno inserimento del volto della vera Mina – un nuovo poster da aggiungere all’album) al tristissimo Aquaria (che evoca mondi lontanissimi da Mina, ma vicini al mondo LGBT di cui lei è icona assoluta); ci stanno gli splendidi mossi di Sarah Moon (così misteriosi e spettrali), sebbene gli outfit utilizzati non abbiano quasi nulla a che vedere con nessuna delle Mine che conosciamo, e ci stanno i pedissequi (ma non scintillanti) rimandi di Gianpaolo Sgura, fra cui svettano gli splendidi primi piani di Benedetta Mazzini e il magnifico Rane Supreme di Benedetta Barzini.

Ci stanno un po’ meno le scialbe atmosfere create da Dario Catellani, con quei bianchi e nero così grigini e la modella smorta, smunta, neanche lontanamente accostabile alla potente eleganza della Mina anni ’70, né al disarmante, aristocratico splendore della Mina paparazzata degli anni successivi, a cui le immagini fanno riferimento.

Non ci stanno per niente invece, nonostante questo discorso inclusivo e omnicomprensivo, le tristissime immagini di Andrea Artemisio che sembrano scattate con due poveracci che si provano degli abiti trovati per caso nel baule dei costumi del teatro parrocchiale. Terribili. Poche cose non sono associabili a Mina, una di queste è senza dubbio la sciatteria, un’altra è il pressapochismo; Mina è diva suo malgrado, anche quando fa le pulizie, anche quando si trascina i suoi zoccoli a bordo piscina gridando “Aaaaaaaaaxel”. Queste immagini sono sciatte, vuote, tristi e inadeguate; io, nella mia ignoranza, non le avrei usate neanche come progetto per la realizzazione delle foto vere; sarebbe stato molto più interessante, invece, qualche esperimento di trasformismo alla Cindy Sherman… ma magari era chiedere troppo alla cultura artistica dei redattori.

Meglio, sebbene intrisi di una certa volgarità, gli scatti esagerati di Paul Kooiker dove le modelle in carne e spregiudicate offrono il loro corpo all’obiettivo in una rielaborazione del concetto contenuto in Nuda (più che in Mi Guardano) rimandando alla Mina più in carne degli anni ’80.

Il redazionale chiude in bellezza con le foto delicate e vagamente lesbo di Annemarieke van Drimmelen, in cui tre ragazze in abiti lunghi e morbidi, si muovono in un’atmosfera nordica evocando una visione anni ’70 che ha, però, poco a che fare sia con le profonde interpretazioni che Mina ha dato in quegli anni, sia con il suo sensuale cambio di maniera che ha segnato quell’epoca, sia con i suoi outfit trasgressivi e geniali, in un momento storico in cui la trasgressione aveva davvero un significato.

Chiude la rivista un’intervista a Balletti e una serie di foto di Mina, tra cui – unico “inedito” – la foto di Caramella senza post-produzione; con questa immagine molto forte ed irriverente, Mina (perché si sa che non esce foto che Mina non voglia) dà un sonoro, violento messaggio al mondo della moda contemporanea, a photoshop, e alla ricerca della perfezione a tutti i costi, e anche a sé stessa, riempiendo le sue immagini – tutte – di un significato che le travalica e le proietta di colpo su un altro pianeta, e svuotando tutte le altre foto della rivista di qualsiasi attinenza con lei, fuggendo – ancora una volta a rapide falcate – da etichette e categorizzazioni e ribadendo definitivamente con la sua Voce cristallina la sua unicità e il suo genio.