MUSICA




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MUSICA
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In un'osteria di Milano - di Paolo (ispirato a "Stile libero") - 2.06.2004

In un'osteria di Milano - di Paolo

Questo raccontino nasce in un'osteria di Milano, tra una bevuta, un po' di formaggio e pane.

La giornata era grigia e lui non riusciva ad ammirare i naturali splendori di quella città ed era pure senza un tetto sotto cui ripararsi. Lavoro, che dico? Una sia pur minima occupazione: niente di niente. Bisogna anche dire che lui non faceva il benché minimo sforzo per procurarsene uno. Una sua scelta. Vagabondò un po' per la città. Un pittore verso mezzogiorno divise con lui uno sfilatino di pane. Gli offrì anche del formaggio e del vino. Poi gli sorrise e intanto che c'era lui gli rifilò anche un bacio. E il pittore si chiese meravigliato: "Ma che c'entra il bacio?". Ma si vedeva che era divertito. Il pittore gli disse che quello era il suo posto abituale e che lo avrebbe trovato sempre lì. Di venire quando voleva, ché si sarebbe mangiato e bevuto insieme. Almeno finché i tempi grami scomparissero, no? E lui lo ringraziò. Passò il pomeriggio vagabondando per Milano. Poi venne sera. Poi sopraggiunse la notte. La giornata era stata grigia e la notte si preannunciava fredda e lui era senza un tetto sotto cui ripararsi. Si avviò verso via Procaccini, dove ci stava un buon signore anziano che si faceva in quattro per ospitare i senza tetto. Bussò alla porta ma non fu accettato perché il luogo era ormai pieno di gente, come lui, derelitta. "Ma che rogna nera", pensò, "neppure tra i barboni mi vogliono, ma che vita di merda." Prese a sacramentare contro dio e i santi, madonne comprese, e, così concionando s’imbatté in un cartellone pubblicitario che raffigurava Ornella Muti, o forse era Barbara De Rossi, o chissà, magari Eva Grimaldi, e lui la vide danzare, la vide sorridergli, la vide spogliarsi. Quel povèr omèn scosse la testa, sorrise, e riprese il cammino finché arrivò nei pressi del Castello Sforzesco. C’era un parco e si disse che "Va bene così, dormirò su una panchina". Poi, curioso, si mise ad osservare qualche vetrina illuminata finché s’imbatté in un dipinto. Era una riproduzione della Venere del Botticelli, laddove, nuda, essa sorge dalle acque. E lui la fissò affascinato, si per se in quell’apparizione inaspettata grondante acqua fresca anche se non si vedeva una goccia da tanto il corpo era levigato e perfetto. Si per se in quel dono inaspettato. Poi si emozionò come successe con la Ornella Muti, o chi per essa. Ebbe paura che scomparisse anch'essa. La guardò a lungo finché riuscì ad evocarne i movimenti. E solitudini e angosce fuoriuscirono violentemente, mischiandosi alle onde del mare di Venere risorgente. Sentì come dei brividi corrergli per la schiena e si avviò di fretta nel parco. Si stese su una panchina e si raggomitolò come fanno i gatti. Sorrise pensando alla sua amata Venere.

Al mattino presto fu svegliato dal punzecchiamento di una scopa che lo infastidiva in tutte le parti del corpo. Era la scopa di uno spazzino, la quale lo invogliava a sloggiare immediatamente da quel luogo.

A mezzogiorno era al Naviglio. Desiderava ritrovare quel giovane pittore che con lui, il giorno prima, aveva diviso pane, formaggio e vino e gli aveva dato un bacio. Lo ritrovò, e il pittore gli sorrise e lui lo baciò come avrebbe baciato un amico perso da tempo e inaspettatamente ritrovato. Il pittore divise con lui i suoi viveri. E di nuovo venne notte. E il suo nuovo amico lo invitò a casa sua. E lui accettò con entusiasmo. Il pittore abitava in una soff itta, dove sul cavalletto c’era una tela che raffigurava, incompleta, la Venere del Botticelli sorgente dalle acque. Ebbe come un attimo di smarrimento, mentre additava il quadro al pittore. Era un muto interrogativo; e quello lo ragguagliò spiegandogli che, per campare, riproduceva per i rigattieri della zona dipinti di grandi pittori che poi loro esponevano nelle vetrine dei negozi.

E lui allora rise e lo baciò. E lo baciò a lungo. Golosamente. E il pittore rispose al bacio. Poi andarono a letto e la notte fu solamente loro.

Il mattino dopo rivide l'opera. Un raggio di sole si rifrangeva sulle spume facendole risplendere e lui, affascinato, non riusciva a distogliere gli occhi dalla Venere. Racconta, a mo' di conclusione di quella storia, che il pittore, vistolo perso in contemplazione di quell'opera scopiazzata, ridendo gli si avvicinò e gli disse che aveva delle belle labbra: "Posso baciarle?" e lui fece cenno di sì e ricambiò il bacio.

Dice che il pittore, poi, gli chiese, così, sul divertito, se amasse più Venere o lui. Pensò alle notti diacce, ai marciapiedi, a Ornella Muti, o chi per essa, e allo spazzino e alla fame e tanta fame, e gli disse che amava più lui che la Venere del Botticelli. Anche se sorgente dalle acque.

Lo guardo. Ha l'occhio spento. Tracanna vino e si perde nei sogni. Non racconta più. Bofonchia solo qualche cosa di incomprensibile. Poi arriva l'oste. Dice che è l'ora della chiusura. "Via, via, fiò, se no arivèn i ghisa e me dan la mùlta..." Poi l'oste mi guarda e mi chiede se ha raccontato anche a me la storia della Venere. E io gli rispondo che sì, l'ha raccontata anche a me quella storia... e l'oste scuote la testa e mormora: "L'è vint'ann chèl c unta la stessa storia. E ogni tanto cambia il nome dell'attrice del manifesto; qualche volta dice che si chiama Ornella Muti, a volte dice che si tratta di Barbara De Rossi, non ci faccia caso, eh? caro signore, 'sti tipi sono tutti uguali, dei gran casciaball, raccontano frottole... lo guardi, sta in piedi per miracolo...".

Lo accompagnai fuori dall'osteria e ci avviammo verso la Ripa Ticinese. Le case della Ripa – bellissime case – non si riflettevano nelle acque del Naviglio perché erano così sozze e untuose da non riuscire a captare neppure le luci del tramonto. Lui guardò, piegò i vestiti sulla strada e si tuffò nel Naviglio mentre il tramonto ci arrossava. Nuotò ed io e l’oste lo seguimmo dalle sponde tra gente, macchine tramvai su quelle onde. Poi lo vidi smettere di nuotare di colpo vicino ad una vetrina di rigattiere, fiocamente illuminata dalle luci della notte. Si mise a fissare un dipinto esposto. Rappresentava una ragazzina riccioluta dipinta nell'atto di lavarsi le sue affusolate gambe in un ruscello. Il pittore si era preoccupato di mettere in gran luce quelle gambe. Un dipinto di nessun valore. Riemerse dal Naviglio, si vestì cantando "Recondita armonia, di bellezze diverse! E’ bruna Floria, l’ardente amante mia, e te, beltade ignota cinta di chiome bionde!".



Guardai quel povèr omèn, quel poeta a sua insaputa, che riesce, evocando un desiderio, a far rivivere anche le nature morte. Il suo occhio era fisso sulle gambe di quella ragazza. Poi lo udii sospirare rumorosamente. Poi si volse e mi chiese se poteva darmi un bacio. Risposi di no "Grazie, sa, tengo un forte raffreddore, non vorrei influenzarla" e lui sorrise un po' storto, come sorride mio nonno quando è contrariato per qualche cosa, e poi mi sussurrò: "Ha visto anche lei?". "Visto che cosa?" "La ragazza, la guardi, non vede come si muove? Ora si sta lavando anche lì sotto, ma non vede proprio niente?" Non risposi. Fumammo sigarette bionde, si galleggiava nel pernod su quelle onde.