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L’inimmaginabile, impossibile, superbo, intellettualissimo nuovo disco di Mina

L’inimmaginabile, impossibile, superbo, intellettualissimo nuovo disco di Mina
Postato il 3 aprile 2018 di Massimo Francesco
Mai avrei immaginato che le prime sensazioni scaturite dalle anteprime di questo lavoro, potessero essere così strettamente corrispondenti alla struttura narrativa e poetica costruita con sublime Arte, profonda Sapienza e scellerata Consapevolezza da Mina per questo suo attesissimo nuovo album. La sensazione di trovarsi di fronte a un’Opera Rock-Elettronica è confermata -già al primo ascolto- dallo svolgersi della track-list e del racconto narrato attraverso le parole e le atmosfere delle canzoni che si susseguono in questo formidabile, stranamente intellettuale, clamorosamente inedito album: Maeba.

Mina -ormai lo sappiamo- non finisce mai di stupirci, di stravolgere le nostre aspettative, confonderci le idee, di sublimare i silenzi, raccogliere nuvole con le sue grandi mani e fuggire; fuggire da noi, dalle convenzioni, dalle ovvietà, dai sentieri già battuti, dagli sguardi di chi brama la sua immagine e da sé stessa, da quel personaggio che le hanno costruito addosso, da quella Mina che tutti vorrebbero aderente a certi schemi prestabiliti dal mercato e dalla limitatissima visione del pubblico, ma che lei sbeffeggia con superba, infantile ironia spostandosi di passo in passo più oltre, e lasciandosi dietro -ogni volta- un nuovo vuoto che non sarà mai più colmato.

Questo Meaba non ha niente di rassicurante, niente di già sentito, niente di “classico”, eppure ha una struttura che riguarda da vicinissimo quella dell’Opera, (che poi è molto simile a quella del Teatro Nō giapponese, di cui le immagini di copertina sono pregno riferimento https://incantoenuvole.wordpress.com/2018/03/05/maeba-il-primo-atto-della-mina-futura/) incentrata sul racconto di una storia, che si svolge attraverso vari quadri, con l’inserimento di personaggi diversi; un inizio, uno svolgimento e poi la fine, raccontati con un’alternanza di stili più clamorosa che mai, e con una padronanza vocale che rasenta l’inimmaginabile e affronta di petto l’impossibile.



Primo movimento: il rimpianto. Volevo scriverti da tanto.

Inizio. Primo Atto.

La protagonista, in un momento di cupa solitudine e disillusione, rimpiange di non aver mai scritto al suo Amato, per raccontargli i suoi veri sentimenti.

È l’inizio, la presa di coscienza, la consapevolezza di chi inizia un cammino verso sé stesso partendo dall’analisi di quello che è; e Mina parte dall’immagine più aderente a quella che abbiamo di lei, quella più “tradizionale” una donna con una voce incredibile che racconta i sentimenti con una profondità sconvolgente.

Ma, sebbene questa sembri una canzone calda, comoda, rassicurante, nulla -in un’analisi più approfondita- la rivela come tale: dopo una suggestiva intro di chitarra la sua Voce entra dura, maschile, secca a raccontare una condizione di immobilità e di ristagno, e resta tale fino al primo ritornello, dove nulla sembra evolvere, fino alla presa di coscienza di aver fatto pace con il proprio passato. Da lì, la seconda strofa parte più suadente, più femminile a raccontare emozioni, fino ad esplodere nel secondo ritornello più ampia e libera, ritrovando in quel secondo “persempre” tutta la forza necessaria per andare avanti.

A questo punto -e solo qui- entra la batteria con uno stacco incredibile che trova la sua potenza nel raccogliere energie una battuta dopo l’altra, e che apre verso un finale denso ma misurato.

Secondo movimento (per Mina e Coro): la ricerca. Il mio amore disperato.

La protagonista lascia il suo rifugio, la sua comfort-zone e va fuori a cercare il suo Amato, chiedendo alle gente in strada se l’ha visto passare.

Qui, una Mina ironica e maliarda propone un canto molto carico, quasi uno sberleffo nei confronti della Mina un po’ forzata di certe vecchie caricature; una Mina-WandaOsiris che raccoglie questo pezzo antichissimo (e molto datato, preso probabilmente da quella vecchia cassettina di Paolo Limiti che aveva perso l’etichetta…) e lo proietta in un futuro fatto di rimandi e citazioni talmente arcaiche da suonare come pura avanguardia, cantandone solo pochi versi e lasciando il resto al Coro (manco a dirlo, grande protagonista dell’Opera).



Mina agisce sulla Musica in maniera decisamente verticale, il tempo cronologicamente inteso (come lo intendiamo noi mortali) non esiste per lei; lei prende l’energia dall’alto, dalle altissime sfere e la trasferisce giù -a cascata- dentro ogni brano che produce, incurante degli anni, delle mode, delle generazioni e resta lì -nel suo tempo eterno- inviolata dagli anni, dalle mode, dalle generazioni.

Terzo movimento: la maledizione. Ti meriti l’inferno.

La protagonista, stremata dalla sua ricerca vana, augura il peggio al suo Amato che sembra averla lasciata per sempre.

In un’affascinante assenza di arrangiamento, Mina -voce quasi sola nella prima parte di questo pezzo- si muove libera, ma non svolazza sulle note, le tiene ferme, saldamente ancorate al suolo e ai sentimenti, veicolandole in una voce dura, inattaccabile, integra, fino a quel “morire in un momento” di cui sottolinea la vetustà con l’enfasi e la maestria di chi guarda il passato con entrambi i piedi ancorati tra le stelle.

L’arrangiamento, dopo il primo ritornello, apre su un tappeto di batteria talmente fresco e nuovo, da far sembrare quella citazione della tastiera anni ottanta, un ricordo d’altre vite, e chiude il brano con un tocco di levità (forse -però- inappropriata).

Quarto movimento: l’aria della follia. Il tuo arredamento.

La protagonista torna a casa e si prepara ad una magistrale scena della follia, dove, in un’alternanza di immagini dada e surreali, percepisce negli arredi di casa la presenza del suo Amato lontano.

Mina è l’unica voce veramente rock che io abbia mai sentito. Non ce n’è per nessuno. Si affannino pure gli altri e le altre a urlare fino a perdere la voce, è una battaglia persa in partenza. Mina sa essere sublime e tagliente come il ghiaccio, rarefatta e morbida come un tramonto, corposa e pesante come una roccia, lieve e profumata come una nuvola, e in questo pezzo è tutte queste cose insieme, spesso nello stesso verso, a volte nella stessa parola. È una lucidissima, trasparente sovrapposizione che stordisce ed amplifica il nostro sentire la nostra conoscenza e ci porta in viaggio verso l’altrove.

Se qualcuno poteva pensare che pezzi come Tre volte dentro me, Ma tu mi ami ancora?, Matrioska, Io e te avessero già raccontato tutta la relazione tra l’ultima Mina e il rock, non poteva certo immaginare che alla soglia -non lontana- degli ottanta anni, Mina avrebbe tirato fuori dal suo cilindro magico un pezzo di tale forza ed intensità, cantato con tale maestria e padronanza vocale, da mandare in pensione anticipata tutti i colleghi e le colleghe del presente, del passato e del futuro.

Presentata come secondo singolo, il pezzo è sostenuto da un video -finalmente!- pazzesco; sceneggiatura, fotografia, regia, montaggio, tutto perfetto, tutto nuovo, violentemente moderno e selvaggiamente arcaico come un alter-ego sdoppiato e inconiugabile di questa canzone.

La storia e la discografia della Mina del dopo-ritiro ci hanno disabituati ad associare immagini alle sue canzoni, e -per quanto ci si fosse sforzati- mai risultati così interessanti erano stati raggiunti; tuttavia la canzone e la Voce di Mina sono già così piene di immagini da far risultare questa operazione come uno sdoppiamento… ma uno sdoppiamento decisamente necessario e veramente ben fatto. Una quattordicesima traccia nascosta che vivrà di vita propria.

Arrangiamento incredibile, nomination per l’assolo di Luca Meneghello.

Quinto movimento: il ricordo. Argini.

Come in uno sfumato flash-back, la protagonista ricorda il suo Amato e il loro primo incontro, quando tutto profumava di incoscienza e paura, come quella di promettersi l’infinito, e gli argini si sgretolavano per la voglia di amare.

Uno dei pezzi più inediti e freschi dell’album; Mina avanza a piccoli passi dentro un’atmosfera lucida e trasparente dove tutto è a fuoco, e la sua Voce forte, perentoria, decisa propria della donna innamorata, disvela piccoli dettagli e immagini come estratte dal diario di un’adolescente. La canzone è strutturata su un andamento di batteria molto particolare, vocalmente è poco impegnativa, fino a quello splendido ponte dove -in un’alternanza di note sghembe- “ora mi guardo da fuori/vedo i miei movimenti” Mina apre a un vocalizzo che la riporta indietro ai tempi della sua primissima Baby Gate.

Sesto movimento: la svolta. Last Christmas.

Fine Primo Atto.

La protagonista, abbandona i ricordi al Natale appena passato e inaugura il nuovo anno con un amore nuovo e fresco, che la terrà (finché durerà) al riparo dalle insidie del passato.

La voce di Mina, quella più calda e duttile, si appoggia su un arrangiamento fresco (splendido il basso iniziale), sostenuto da una ritmica molto diversa da quella più commercial-pop dell’arrangiamento originale. Accompagnata magistralmente sul finale da coro e archi (che non ristagnano nel pericolo del melenso, ma spingono verso emozioni più nuove e leggere) la Voce di Mina da donna ridiventa adolescente e poi bambina, in una mirabile, leggerissima successione di intenzioni, fino alla presa di coscienza finale “you’ll never fool me again“.

Secondo Atto.

Settimo movimento: la passione. ‘A minestrina.

La protagonista ritorna, donna sensuale e femmina, all’amore passionale tra le braccia di un nuovo, verace amante latino.

Un tango verace e passionale di percussioni e chitarre accompagna un Paolo Conte basso, tribale, vernacolare nell’alternarsi ad una Mina limpida, magica, elegantissima nella sua napoletanità appena accennata, come una presenza metaforica, come una donna immaginata, una lontana voce che canta da un altra casa, in un altro vicolo. Ma poi, sul finale, i due si incontrano, e nella sovrapposizione tra le due voci Mina diventa più scura, carnale, viscerale, a chiudere il pezzo con due versi bellissimi.

Ottavo movimento: la solitudine. Heartbreak Hotel.

La protagonista credeva di essersi liberata -grazie alla passione- di quell’amore scomodo e crudele, ma il suo ricordo ancora la tormenta e piange, nell’Hotel dei cuori infranti, pensando al suo Amato indimenticato.

Mina che rifà gli anni cinquanta è una garanzia di emozione allo stato puro. E se il riferimento generale di questo album è Kyrie, qui siamo in pieno Baby Gate. È davvero incredibile la timbrica vellutata, maschile, languida che Mina sfodera in questo pezzo del suo amato Elvis; più maschio di lui, ma con una voce fluida, profonda la Signora spalanca spiragli sull’infinito, trascendendo la materia, il corpo, il sesso, in un’apoteosi di godimento acustico che sconfina in lacrime di pura emozione.

Nono movimento: il piacere. Al di là del fiume.

La protagonista, stanca di soffrire, si abbandona alla lussuria, sperando di bruciare così, nella trasgressione, tutti i suoi errori passati.

Una Mina in perenne stato di grazia interpreta questo testo un po’ ambiguo con la disarmante leggerezza della sua voce più cristallina; una purezza inaudita che fa pensare a certi episodi degli anni ottanta e proietta questo pezzo un uno spazio astratto fatto di desideri e logiche altissime, proprio quelle da cui il desiderio si materializza.

Decimo movimento: il rancore. Troppe note.

I due amanti si incontrano ancora in uno scontro a fuoco senza esclusione di colpi, tra bugie e vecchi rancori tirati fuori per ferirsi di più. Ma l’amore non è finito.

Una Mina iper-moderna esplora la sua voce dura, secca da aliena, per nascondere le emozioni ed essere più possibile ferma nel confronto rancoroso con il suo amore non ancora finito. Un arrangiamento particolare e nuovissimo, la voce sdoppiata, l’andamento criptico del testo producono un effetto davvero straniante per una canzone a cui non si riesce a dare una collocazione (con uno stranissimo bridge verso il finale); una di quelle che sono Mina poteva scegliere e interpretare, ma che fa fare a questo album un ulteriore passo nella direzione della sublime follia.

Undicesimo movimento: la discoteca. Ci vuole un po’ di R ‘N’ R.

La nostra protagonista tenta di dimenticare lasciandosi andare alle danze, in un locale dove l’unica musica possibile è il Rock ‘n’ roll.

Forte quanto la Mina-rock-d’avanguardia, la Mina che fa il classico Rock ‘n’ roll è pazzesca! Ben sostenuta da Andrea Mingardi (uno dei pochi autori che hanno fatto di questo genere un autentico, disimpegnato momento di musica contemporanea) Mina rivela la sua anima leggera ma densa, giocosa e impegnata insieme, il risultato è un travolgente brano che -in qualche modo- ricorda la forza leggiadra della Mina live’78, la grande madre led Rock ‘n’ roll.

Dodicesimo movimento: il vuoto. Un soffio.

Straziata dall’assenza del suo Amato, la protagonista ricorda la loro storia e realizza -infine- che l’uomo che ha così follemente amato non tornerà mai più. Allora resta sola, nel buio, nel silenzio, nel vuoto.

Con questo pezzo, Mina sfonda l’ultima barriera che le era rimasta per approdare a un futuro anteriore inimmaginabile; sognante e lucida, dolente e assente, straziante, inquietante, la sua Voce -più aliena che mai- si insinua tra le pieghe assurde di un arrangiamento degno di Bjork. Ma Mina supera Bjork, perché riempie ogni parola che le esce dalla bocca di un senso profondissimo e tremendo; Mina è archi e piano, fiati e cemento, fiori e rasoi, lacrime e follia, in un finale che è degno della grande orchestra elettronica che accompagnerà le Opere del futuro.

Tredicesimo movimento: la speranza. Another day of sun.

La speranza non è morta, nemmeno sotto i colpi del più infausto destino; sempre ci si rialza come Araba Fenice e il mondo è lì che ci aspetta per regalarci un altro amore, un altro sentiero, un altro albero, e un altro giorno pieno di sole.

Non poteva mancare lo swing in questo disco dove la diversità, la stranezza, la follia, il rischio, la Bellezza e la voglia di stupire rimanendo sé stessa la fanno da padroni; Mina si diverte, gioca con la Musica, col suo passato e con il suo avvenire, sorprendendosi a sperimentare ancora, dopo sessant’anni di carriera e migliaia di canzoni incise; Mina mai sazia, Mina mai ferma, Mina mai uguale a sé stessa scrive una nuova pagina della sua immensa discografia con la giocosità di una bambina, l’entusiasmo di un’adolescente e la fermezza di una donna che non ha mai smesso di fare la cosa che le riesce meglio: trasformare parole in emozioni, trasportare, dal platonico mondo delle idee, frammenti di verità e porgerli a noi, perché possiamo intuire la grandezza, la Bellezza, l’Universo.