MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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MAEBA - di Minaincopertina

Maeba ha il sapore di una chiacchiera memorabile e informale, non di un simposio. Dalla Terra ad esempio era un simposio, con Mina in cattedra e noi giù chini sui banchi, zitti a prendere appunti e a lasciarci spiegare, o con lei sotto coperta, con le mani sui remi, sola a spingere con forza e noi sulla prua a prenderci la brezza, gli spruzzi salati e il sole, godendoci il tragitto scelto da lei. Salomè invece era un’appuntamento progettato, una discussione con un titolo e un programma, come Sodomie in Corpo 11 di Aldo Busi, non ti aspetti certo che contenga una collezione di aforismi. Maeba no, è una chiacchierata, è come incontrare per caso il tuo miglior amico, con il quale si entra nel merito, si va subito in verticale su questioni lasciate in sospeso, ma lo si fa in modo casuale, onesto, urgente, asimmetrico e spensierato, perché con gli amici ci si intende e si può andare dritti al punto e lo si può fare anche se si è in disaccordo, perché ci si conosce e va bene così. Una chiacchierata, appunto, che suona circa così: "Volevo scriverti da tanto ma il mio amore è disperato e tu meriti l’inferno. Il tuo arredamento è il tuo argine, l’ultimo natale (ricordi?) ci siam bevuti una minestrina all’hotel dei cuori spezzati e dall' al di là del fiume arrivava un gran frastuono, hai ragione, troppe note, ci sarebbe voluto un po’ di Rock & Roll. A me lo sai, sarebbe bastato anche un soffio." Parole senza senso per chiunque, non per due amici. Di palo in frasca insomma, si ha poco tempo, non bisogna sprecarlo. Ci si incazza, si ride, ci si ricorda, si scappa e si ritorna indietro. Si parla, si ascolta ma non ci si spiega, tra amici non ci si spiega, si riprende i discorsi lasciati e gli si fa fare qualche metro in più e se non ci si capisce ci si aggiorna next time. Ogni volta qualche metro in più, prima di entrare al cinema, uscendo dal cinema, qualche metro in più, facendo il tragitto in autobus verso il lavoro, il tempo di una birra, in pausa pranzo finché a forza di metri in più si invecchia passeggiando insieme. Con Maeba Mina ci ha fatto fare qualche metro in più, ha ripreso la matassa delle discussioni aperte e l’ha districata un po’ di più, ci ha aggiornati. L’abbiamo fatto assieme, perché intendiamoci, le chiacchiere si fanno almeno in due, a meno di non esser pazzi. Si però… il tempo era davvero risicato e ci si è lasciati con la promessa di chiudere il cerchio di li a poco. Voglio sapere com’è finita con quel mentecatto, l’hai lasciato al suo inferno poi? o l’hai perdonato? che motivetto era che ascoltavate tu e Paolo alla radio? si va bene lo scorso natale, ma poi st'ecografia che diceva? maschio o femmina? ti ha risposto poi alla lettera che gli hai scritto? Poi hai cambiato casa o solo arredamento? va beh dai ne riparliamo domani, così chiudiamo il discorso. Già, domani, perché Maeba sembra proprio solo una prima parte del progetto. Metà fotografia, il Singolare di Plurale, il Napoli di Napoli secondo estratto. Allora Mina, ci vediamo a Natale per chiudere il discorso?

Volevo Scriverti da Tanto
C’è stato un periodo (gli anni ottanta/novanta) in cui le canzoni di Mina spesso avevano la stessa struttura, lo stesso andamento, e finivano tutte con un’apocalisse di schitarrate elettriche come tappeto sul crescendo di chiusura. Erano spesso così, tanto che ad un certo punto, anche al primo ascolto, io ed il mio miglior amico già sapevamo quando sarebbe entrato Massimiliano con la consueta vitalità a trainare la volata finale. Intendiamoci, io in quella formula mi ci ritrovavo perfettamente, perché infondo lei era così dannatamente brava e credibile che insomma, pazienza se l’arrangiamento era un po’ prevedibile. Però lasciatemelo dire, in passato ho più volte sperato in un album di Mina arrangiato da qualcun’altro, in una pazzia, arrangiato in modo più contemporaneo o semplicemente più originale, diverso. Insomma io ascoltavo anche Bjork, i Porishead, i Massive Attack. Poi però Mina ha sperimentato e per un po’ di quella struttura comoda non ne ha fatto più uso, o forse Massimiliano si era stufato. Beh insomma, per farla breve, a metà strada del primo ascolto di Volevo Scriverti da Tanto è incominciata a lievitare incontrollata la voglia (o forse era necessità?) di risentire quello stramaledetto finale scontato con le chitarre elettriche. Mi è venuta un po’ di ansia, devo ammetterlo, non è che Massimiliano se l’è dimenticato? (mano a mano che la canzone si accorciava sul finale). Poi però eccola lì, che Dio la benedica, la chitarra elettrica, il crescendo, il rassicurante finale che Massimiliano aveva accantonato da un po’. Che bello ogni tanto poter dire: ecco, questa canzone inizia e finisce come avrei voluto. Grazie Massimiliano di aver ritrovato la memoria, so che questa cosa infondo l’hai fatta un po’ per me.
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Il Mio Amore Disperato
Boh, è quel momento della chiacchiera in cui , seduto in un caffè, ti distrai dalla conversazione per leggere il Menù. Oppure quel momento in cui approfitti dei consigli per gli acquisti durante il film per andare a versarti un bicchiere di vino. Insomma un momento comodo ma che, dato l’autore, capisco bene la voglia di Mina di metterlo nero su bianco, anche solo per mandargli un ultimo bacio.
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Ti Meriti l’Inferno
Eh cari, qui però l’amico ha bisogno che ascoltiate, perché parte il momento disgrazie e cuori infranti. Ci siamo passati tutti, è il momento in cui si fa da spalla, il momento in cui il conforto passa dall’ascolto, il momento in cui ci si commuove e scatta quella scomoda empatia che ti fa stare dalla parte della ragione o del torto, non ha importanza. È il momento Bugiardo e Incosciente, del Un Tipo Indipendente. Il tuo amico è seduto su un versante e tu con lui immedesimato a tenergli la mano e a pendere dalle labbra del suo racconto, come se infondo fosse un po’ anche il tuo. E sei con lui, lì dentro in quella stanza buia, sul ciglio del burrone, sull’uscio, sei lì che soffri con lui, reagisci con lui, vivi e muori con lui. Solo certi amici ti portano lì, solo certi amici ci riescono e solo a certi amici lo concedi. Con questa canzone Mina ci riesce, tra l’altro con qualche dettaglio della storia inedito, con qualche passaggio non scontato, con quella sua voce lì, che mannaggia a lei…
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Il Tuo Arredamento
Aspetta un attimo che ti racconto questa cosa strana che mi è successa. Questo è il momento fondamentale, perché di cose strane non ne succedono spesso, e quando capitano vuoi raccontarle bene. Quindi cominci dagli antefatti, non troppi perché se no si rovina la sorpresa e si snatura la suspance. Ci butti dentro anche qualche flashback e qualche flashforward, ma soprattutto infarcisci la storia di metafore stravaganti che possano creare il giusto habitat, il contesto favorevole per far capitolare il tuo interlocutore. Devo dire che la sensazione è un po’ quella che provavo da bambino quando magrissimo e abbronzato come un mattone, sul finire dell’estate, affrontavo i cavalloni con apprensione mista ad eccitazione. Quando con l’acqua sopra le ginocchia divaricate guardavo dritto negli occhi il cavallone che si avvicinava gonfiandosi con l’abbassarsi del fondale, ed ero pronto come Clint Estwood in un film di Sergio Leone con i piedi affondati nella sabbia. Salvo poi capitolare miseramente facendomi risucchiare e sbatacchiare dal turbinio fragoroso e scomposto dell’onda. Più come il ragionier Filini che Clint Estwood, ma tant’è. E Dio come mi piaceva quella sensazione di essere masticato dal mare e risputato fuori illeso ma eccitato, con la sabbia fin dentro il costume. Questa è per me la foto perfetta de Il Tuo Arredamento.
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Argini
Eccoci qui, è il momento “dove vai a parare con questo discorso?”. Eh niente, è il momento rassicurante, quello che certifica che sì, tu ed il tuo amico siete diversi, però le fondamenta son condivise ed anche quello conta. Il discorso va a parare nel contesto della condivisione, del viaggio assieme. Ha il sapore delle cose che si ha condiviso.
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'A Minestrina
Chi hai a cena? Ah, Paolo Conte, certo. Cosa gli cucini? Una minestrina? Ma come? Sei fuori di testa? Si profila la situazione perfetta da occasione sprecata, ma sei sicura?? Che ne so, due bucatini all’Amatriciana no? Non c’è l’hai della lonza di maiale, gli fai du’ scaloppine al Marsala, un guazzetto di moscardini no? Poi però ti ricordi del finale di Ratatuille, il lungometraggio a cartoni animati della Pixar dove il topino Rémi corona il suo sogno di diventare un rinomato chef cucinando una banale ratatouille con l’esperienza di un Dio dei fornelli al più spietato critico di cucina della Francia. Hai ragione tu Mina, una semplice minestra cucinata da te e Paolo è il top, per battere quella ci vuole una spremuta di tutti gli chef stellati del pianeta. Hai ragione tu, ha ragione Paolo, come al solito.
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Al di là del Fiume
Giorgio Calabrese. Giorgio Calabrese. Giorgio Calabrese è, per me, Mina. È Mina quando l’ho incontrata, Mina quando l’ho aspettata. Un paroliere clamoroso, un sarto formidabile del fraseggio, Dio delle simmetrie e delle vocali spietate che chiudono le strofe. Le “a” le “o” le “u” e le “i” meglio piazzate nella storia della musica leggera, traduttore incomparabile, raffinatissimo cecchino di colpi mortali. Lo odio perché è perfetto in tutto quello che ha fatto e lo odio soprattutto perché non può più farlo e credo che non finirò mai di ringraziare Mina per aver dato il corpo che si merita a queste sue ultime parole, senza sprecarle (come avrebbe potuto), ricordandomi come se c’è ne fosse ancora il bisogno, come si scrive una canzone e come poi la si interpreta. Grazie Giorgio, grazie davvero, per me sei come di famiglia, lo zio barbuto saggio e silenzioso, ghost writer infallibile di molte cose che avrei voluto dire e che non sarei mai stato capace di mettere assieme. Riposa in pace, ci manchi davvero tanto.
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Troppe Note
Beh Mina, lasciatelo dire, questa sequenza è una doppietta micidiale. Perfetta perché non è semplice collocare un pezzo giusto dopo l’altro. Troppe Note ha il sapore dell’ammazza caffè dopo il dolce insuperabile di Al di Là Del Fiume. È quel momento della conversazione che si fa fitto fitto perché il vino è entrato bene in circolazione, perché l’alchimia con il tuo interlocutore, emersa all’inizio dell’incontro, qui diventa partecipata, entusiasmante con naturalezza. Il momento in cui tu ed il tuo migliore amico dite la stessa cosa contemporaneamente, Flic o Floc, e ti viene voglia di cantare insieme a lui, di fargli da corista specchiandone il labiale attraverso la bottiglia vuota di Falanghina rimasta in mezzo al tavolo. Ti viene anche voglia di tenere il tempo picchiettando sulla tovaglia piena di briciole.
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Ci Vuole un po’ di R’n R’
Lo so, è una cosa personale, però a me Mingardi non mi fa impazzire. È quel tipo di musica scanzonata che non mi dice gran che. Ovvio, in bocca a Mina si sa, vien bene anche la registrazione di un gargarismo con un antinfiammatorio a base di ibuprofene, però che ti devo dire? A me le persone sempre felici e scanzonate mi mettono in agitazione. Tipo il burlone del gruppo, ecco, io lo evito come la peste. Preferisco il taciturno o l’ombroso, quello con la risata contagiosa, quello che balla male, quello sempre spettinato. A me Mingardi sembra sempre la copia dell’allegria. Un allegro non troppo, uno bravo per l’amor del cielo, d’altronde scrivila tu una canzone così... però lo so già che dopo un po’ mi stufo a tenere il sorriso tirato sulle labbra. Preferisco che tu mi faccia capitolare con Ma chi è Quello Lì o con Ma Che Bontà, o che mi tramortisca con Uscita 29, Tir e Ritratto in Bianco e Nero.
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Un Soffio
Il tuo migliore amico fa cose spiazzanti. È fatto così è una Leggenda e ti piace per questo. Ogni tanto ti da l’impressione di essere un matto. Tuttavia, siccome di cose matte ne fa parecchie, tra l’altro con cadenza regolare, se smette di fare cose strambe cominci a preoccuparti. Perciò è un bene quando si presenta vestito da sera per andare al mare o quando esce di casa in ciabatte e accappatoio per prendere il giornale all’edicola sotto casa, o quando dopo aver cantato Ridi Pagliaccio ti da un ceffone biascicando delle strofe senza senso in tedesco. È nel suo dna di sperimentare, non lo fa perché vuole stupire o almeno non solo, ma per ribadire che nonostante tutto lui ha ben stretta in mano la cloche. Non è matto giuro, è lucidissimo e deciso a fornire il suo punto di vista sulle cose. Controcorrente? Non credo, più facile che a 78 anni abbia semplicemente coltivato un certo entusiasmo per le novità. Va bene la partita a carte, va bene lo spuntino di mezzanotte, va bene il nipotino da intrattenere, va bene le passeggiate in pineta, va bene tutto, il guardaroba ristretto ad un monocolore, due passi sotto i portici, ritirare il bollito in rosticceria, stare alzati a guardar le aste alla tv, però ogni tanto anche un film di Kieslowsky ti ricorda che c’è sempre qualcosa da imparare.

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