MUSICA




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Mina aperta al mondo. Che non fa differenza fra autori blasonati e sconosciuti.

Mina aperta al mondo. Che non fa differenza fra autori blasonati e sconosciuti. Che passa dal rhythm & blues all’elettronica, dal rock al jazz. Che interpreta pezzi in italiano e inglese. Che canta originali di Paolo Conte e Boosta e cover di Elvis e George Michael. Succede nel nuovo album “Maeba” che è stato presentato oggi da Massimiliano Pani negli studi PDU di Lugano. “Non avere un genere di riferimento è la forza di Mina”, afferma il produttore e figlio della cantante. “È lei che decide i pezzi da fare e come arrangiarli. Gli autori hanno capito che è l’unica artista che davvero ascolta tutto quel che le inviano e perciò tutti, dai professionisti agli sconosciuti, le spediscono canzoni. È la talent scout più forte che c’è in Italia, svolge il lavoro che un tempo facevano gli editori. La scelta di essere aperta al mondo è stata vincente”.

Racchiuso in una copertina che raffigura il personaggio alieno che Mina “interpreta” di recente, annunciato da un titolo enigmatico che Pani non vuole spiegare, “Maeba” è un disco estremamente vario. “Ci sono colori e mondi completamente diversi. Lei è completamente pazza, l’artista più moderna che c’è in Italia”. Ecco allora “Il mio amore disperato”, ultimo pezzo scritto da Paolo Limiti, musicato citando “Libertango” di Astor Piazzola, ma anche “Ti meriti l’inferno” di Federico Spagnoli, già autore in “Selfie” e “Le migliori”. C’è il rhythm & blues di “Ci vuole un po’ di r’n’r” di Andrea Mingardi e Maurizio Tirelli e l’ultimo testo scritto da Giorgio Calabrese, “Al di là del fiume”, rimasto per anni in un cassetto. Ma il pezzo che farà più parlare è probabilmente “A minestrina”, primo duetto di Mina con Paolo Conte, che oltre ad essere autore della canzone l’ha anche realizzata musicalmente. I due non si sono incontrati, Mina ha interpretato la sua parte sulla musica inviata dal cantautore. “Paolo Conte che scrive per Mina un pezzo in napoletano su due signori della loro età che vivono una storia davanti a un minestrina che cuoce: questo è coraggio”.

I pezzi più audaci non sono le cover di “Last Christmas” di George Michael in chiave jazzata o “Heartbreak hotel” di Elvis, rifatta ispirandosi ai tempi in cui Mina la cantava da ragazzina, ma “Il tuo arredamento” e “Un soffio”. Il primo è di Zorama, ovvero Mariano Rongo, ed è interpretato in modo superlativo. “Lo consideravo un pezzo incantabile. Ricordo il provino per voce e chitarra: sembrava di ascoltare un matto. E matta è stata lei a scegliere quel un pezzo, provando che aveva ragione. Dimmi quale altre cantante italiana, anche giovane, si prende la libertà di interpretare un brano del genere. È la dimostrazione che i dischi non li devi fare per forza con grandi autori. Anche perché un Dalla non ti darà mai una ‘Caruso’, la terrà per sé. E invece chi di mestiere non fa il cantautore ti dà il meglio che ha”. L’album si chiude con “Un soffio”, scritta, suonata e prodotta da Boosta dei Subsonica, un pezzo fra elettronica e psichedelia, altra interpretazione fenomenale. “C’è più coraggio qui che in qualunque altro disco di pop italiano di gente ben più giovane. Per dire, l’altro giorno mia madre mi ha fatto ascoltare un altro pezzo che vorrebbe interpretare: è dei Foo Fighters”.

Guidando i giornalisti in un giro della sala d’incisione, dove troneggia un pianoforte fatto costruire da Arturo Benedetti Michelangeli, Massimiliano Pani ha spiegato come lavora Mina. “Non viene a provare il disco in studio. Arriva e sa già che cosa deve fare. È una professionista assoluta. Nessuna insicurezza artistica: ha le idee chiare e le comunica ai collaboratori. Quanto ci ha messo a cantare tutto il disco? Un paio di pomeriggi”. Solitamente, Mina registra due take vocali per ogni canzone. In sala sono presenti il tecnico del suono e l’arrangiatore di quella canzone. Canta nella sala di ripresa. Se però interpreta un pezzo mentre i musicisti suonano dal vivo, canta in regia con le cuffie usando sempre lo stesso microfono. “Canta subito una take e poi una seconda di sicurezza, un po’ come i jazzisti che nel primo assolo buttano tutto quello che hanno e poi in qualche modo decodificano la loro parte nella seconda take”. Non ci sono reti di salvataggio. “E nemmeno manipolazioni digitali. Del resto, a lei interessa la parte emozionale, un pezzo deve arrivare alla pancia. Non le interessa che sia formalmente perfetto”.

Nel 2018 cadono i quarant’anni dall’ultimo concerto e i sessanta dall’esordio discografico come Mina. “Abbiamo in mente alcune cose, ma lei non ce le fa fare. Non se ne può neanche parlare, non ama le celebrazioni. E forse ha ragione lei”, dice Pani. La scelta di libertà fatta quando decise di non fare più promozione, né concerti non è messa in discussione. Però ogni tanto, quando madre e figlio si trovano con altri musicisti in studio a improvvisare, il discorso cade sui un ipotetico tour. “Una volta, proprio qui, abbiamo messo giù la lista dei pezzi che non potrebbe non fare oggi in concerto: erano 48. Cosa fai, un concerto di tre ore? E poi, dove? Gli stadi sono fatti per stare assieme, non certo per fare musica. Il posto adatto è un teatro, ma quante date puoi fare per non scontentare la gente?”.