MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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È tempo di swing


Di Susanna Turco

È una rivincita dei nerd, il trionfo scintillante di ciò che era considerato vecchio e polveroso e che invece adesso va di moda. È il vortice molleggiato ed ecumenico dello swing, in cui niente è nuovo e nemmeno lo vuol sembrare. Anzi, è l’opposto: l’apoteosi del vintage. Un furore «tranquillo», aggettivo da Mitterrand prima, da Gentiloni poi.

Nell’Italia che va all’indietro, appesa tra una nostalgia democristiana e uno pseudonuovismo grillino, lo swing da ballare - ancor più che da suonare - piace un sacco, piace a tutti, persino ai venti-trentenni che la versione originale, quella degli anni Trenta e Quaranta, la conoscono giusto via YouTube. Un po’ si va di figure prestabilite, un po’ di improvvisazione - proprio come in politica. Magari il gusto di rimettere il vestito di mamma e la giacca di papà, anche a costo di tradire la filologia che poi conta fino a un certo punto.

Come l’hipster-mania per la moda, infuria così la danza del jazz, con tutte le sue varianti, a partire dalla più diffusa, il lindy hop, passando per shim sham, balboa e tanto altro. Dopo le grandi città ha preso le province, da Parma e Como fino a Policoro, in Basilicata. Tra big band, musica dal vivo, brillantina, bretelle, gonne a ruota, scarpe bicolori. «Basta ravanare su Internet, e si trovano eventi in ogni parte d’Italia», ha raccontato Renzo Arbore che di questa nuova era è un fan sfegatato. A giugno, per dire, debutterà la prima edizione del Salento swing festival. In Sicilia sono consolidate le scene di Catania e Palermo, in Sardegna si sta aprendo la strada sia a Cagliari che a Nuoro. Sotto la Madonnina, allo “Spirit de Milan”, prevale la tendenza zoo: al sabato il locale si riempie di gente che va a mangiare per vedere quelli che ballano. Il pubblico è una parte dello spettacolo.

«E fattela una risata, dai!»: Mimma, vestito svolazzante in pizzo azzurro e fiore in testa, seduta in un locale di San Lorenzo, a Roma, racconta che lo swing l’ha conquistata proprio così, mentre era tutta seria e compresa a imparare. Ora lei - che nella vita insegna tango - volteggia e ride, come una Sophia Loren del genere Giornata particolare, ma in ghingheri. E spiega perché si tratta di un ballo contemporaneo: «Ha meno codici, è spensierato, veloce, informale. Facile da approcciare. Mentre per il tango ci vogliono mesi , prima di potersi presentare in una sala da ballo». Nell’epoca delle unioni civili, suona particolarmente in linea la grande serenità sull’approccio al genere: più che uomo e donna, c’è il leader e il follower. Tra disinvoltura e facilità, ci si ritrovano più uomini che nella media. Dice Fabrizio, che fa l’elettricista: «Non sapevo neanche che lo swing si ballasse, mi ha attirato perché c’era musica dal vivo. E poi è un ballo buffo, improvvisato, senza impegno». Una specie di febbre che colpisce a caso. Carlo, impiegato, è stato rapito mentre andava a fare un corso di fotoshop, nello stesso palazzo in cui si teneva un corso di lindy; Gaia l’hanno portata gli amici. Giorgio ha iniziato per conquistare una ragazza conosciuta d’estate (si è poi scoperto che ha sbagliato sottogenere: lui il lindy, lei il jive. Destino); Francesca è stata trascinata dal fidanzato, Luca, che balla da tre anni: è alla quarta lezione, dice che si può fare.

A Roma, dove la moda è scoppiata per prima ed è più potente, le scuole sono decuplicate in pochi anni. Nel 2003 c’era un unico corso allo Ials, adesso Vincenzo Fesi, il più famoso neo sacerdote del genere (peraltro a sua volta quasi ex cervello in fuga, di base più famoso all’estero che da noi, altra storia tipica di questi anni) articola la sua Swing dream factory in tre sedi. E da ballare musica dal vivo si trova quasi ogni sera: il lunedì a ’Na cosetta, il martedì al Vintage, domenica al risorto Cotton club. Non si copre intera la settimana, ma poco ci manca. Il lindy hop contende le serate ai balli sudamericani, furoreggianti dai rombanti anni del berlusconismo. Al Dancing Zanussi, sala storica di San Giovanni, lo swing ha già rosicchiato al tango due venerdì sera su quattro. Si ballava pure in mezzo al gelo dei giorni scorsi. L’altra notte sull’orlo della neve stavano in sessanta barricati al Beba - peraltro sin qui votato al solo brasiliano - dove Francesca De Vita, insegnante al Savoy swing, ha inaugurato quest’anno le serate di pratica. Non solo si balla, ci sono anche insegnanti a disposizione per suggerimenti e correzioni:«È un ballo che si può fare senza tacchi, è basato su un movimento naturale, bastano un paio di lezioni per legittimarsi a calare in pista», spiega. Lei è tornata per insegnarlo da poco, dopo anni all’estero, tra gli Stati Uniti e la Svezia - dove da decenni c’è uno dei festival più importanti del mondo: l’Herräng Dance Camp.

Nell’Italia dei revival, quella di Claudio Baglioni che conduce Sanremo e del commissario Montalbano che furoreggia su Raiuno, si capisce intuitivamente il perché del trionfo di una moda del genere. Con molta cautela - suggestioni di questo tipo finiscono spesso per tradire l’oggetto - si può dire che si tratta della danza perfetta per l’epoca. Solida come un Paolo Gentiloni, azzimata come un Luigi Di Maio, eterna come un Silvio Berlusconi - che magari presto scopriremo essere stato pure ballerino swing già ai tempi che furono.

Acrobatico ma rassicurante, il lindy hop e i suoi fratelli è un rifugio più che una rivoluzione. La soluzione senza rupture. La risposta a un momento di crisi, come è stato nell’America della Grande Depressione , ma non solo. «Una carrambata tra musica e ballo, grazie al quale il jazz è ridiventato popolare», la definisce Giorgio Cuscito, sassofonista jazz che lavora parecchio sull’interscambio tra musicisti e ballerini. «Lo swing è una social dance, è stata scoperta nel bisogno di comunicazione: una musica semplice, che quasi può essere confusa con il rock and roll, di grande successo perché mette insieme le solitudini in un fatto collettivo che ha anche momenti creativi, spazi di improvvisazione tipici del jazz», dice Massimo Nunzi, arrangiatore e trombettista, che già tre anni fa propose serate in cui la sua Orchestra popolare eseguiva partiture inedite dello swing in accoppiata con i ballerini guidati da Fesi.

Paradossale che la riscoperta dello swing sia quasi nel segno opposto rispetto alle origini: risposta per reazione alla crisi del 1929, bandita dal nazismo per la sua portata trasgressiva, adesso è un ballo di stampo borghese, che mescola le età e condizioni sociali più varie, senza contestare alcun ordine di cose. Conservatore, al limite. Sono gli scherzi che fa il revival: che salvo le apparenze non è mai l’esatta copia dell’originale, ma una sua reinterpretazione che lo porta da tutta un’altra parte.

«Quando venne fuori, negli anni Venti, Trenta, Quaranta, lo swing era la musica del momento», sottolinea Cuscito: «Benny Goodman era uno che aveva un palazzo intero con le segretarie. I jazzisti erano gente famosa, tipo Justin Bieber, Michael Jackson. Un fenomeno del quale i ragazzi andavano pazzi, mentre i genitori chiedevano: ma che roba è?», ricorda. Ora non è più la musica e il ballo del momento: «Quello che appartiene all’oggi, al contemporaneo, è la ricerca di un mondo più semplice, definito: non qui ed ora ma altrove e in un altro momento. L’importante è dissociarsi dall’oggi, evadere dalla difficoltà e complicazione della vita moderna. Ritrovarsi in un luogo semplice, dai confini definiti: l’opposto di Internet, dove puoi finire ovunque e rischi di perderti. Lo swing serve a raccapezzarsi», dice Cuscito.

Però è proprio su Internet che l’onda swing viaggia. Facebook pullula di pagine che segnalano eventi, workshop, serate. C’è anche quella dedicata ai Clandestino, cioè i flash mob in cui si balla per strada, da piazza Augusto Imperatore a Roma a piazza Santo Spirito a Firenze, passando dall’aeroporto di Catania, come è successo a dicembre; per farsi un’idea di quanto il fenomeno possa essere travolgente c’è in rete il video I Charleston Roma, realizzato dal collettivo Swing Circus.

L’altro uso, molto contemporaneo, di Internet è quello di passare al setaccio i video del passato, per copiare fin nei dettagli atteggiamenti, acconciature, linguaggi. Rischiando di incagliarsi anche in qualche manierismo. «Il primo film che mi ha sconvolto la vita era Hellzapoppin’, un film che ora si direbbe demenziale, dalla trama inesistente, ma c’erano un balletto e una jam session vere, jazzisti e ballerini pazzeschi.



Veder ballare quei ritmi era entusiasmante» dice, citando un cult del grande schermo, il trombonista Marcello Rosa, che dopo le guerre fu nell’avanguardia che portò lo swing in Italia. Ora la carica di libertà di espressione e creatività è attenuata, in linea coi tempi: «È un po’ più di maniera rispetto all’originale, ma se attraverso la maniera qualcuno fa qualcosa di più, ha una idea in più, allora ne sarà valsa la pena», conclude Rosa.

Rilassante, poco legato ai generi, il lindy non ha niente a che vedere con il tripudio di «struscia coscia contro coscia» (direbbe Capossela) che caratterizza i balli sudamericani. Espunta persino l’idea della trasgressione. Nelle serate di ballo, più che gli alcolici, si vendono quintalate di bottigliette d’acqua e lattine di chinotto. Un modello alla “La La Land”. «Quasi un bisogno di purezza, non erotico, non malizioso. Piuttosto, il rifugio in un’epoca d’oro, in un mondo di fiaba alla Clark Gable che peraltro non esisteva neanche allora perché era propaganda, il tentativo di far credere che fosse tutto meraviglioso», aggiunge Nunzi. Qualcosa in cui acciambellarsi con piacere, anche sapendo che non esiste.
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