MUSICA




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MUSICA
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"Non mi avete fatto niente" è il manifesto della nostra ipocrisia

“Non mi avete fatto niente” del duo Ermal Meta – Fabrizio Moro ha vinto il Festival di Sanremo 2018, ma cosa manifesta realmente questa canzone?
Parla degli attentati terroristici in Europa degli ultimi anni, e all’apparenza si tratta di un inno alla forza, al coraggio, alla capacità di rialzarsi dopo l’orrore.
Ma c’è un pozzo che siamo chiamati a osservare, l’incapacità di elaborare il trauma e il dolore.
Se Sanremo è la rappresentazione della pancia dell’Italia, abbiamo avuto la fortuna grazie a loro di osservare il disastro che quella pancia contiene.
Il testo della canzone afferma che l’odio e la distruzione degli attentati di Parigi, Nizza, Barcellona, Londra, Berlino sono niente, che non contano, che noi non cambieremo niente della nostra vita, anche se abbiamo perso una persona amata.



È difficile immaginare una frase che rappresenti meglio l’egocentrismo ipocrita contemporaneo di “Non mi avete fatto niente”, eppure è contenuta, anche quella, nel brano. È “Questa è la mia vita che va avanti oltre tutto, oltre la gente”.
Cos’è che dice realmente quel verso? “A me di tutto e della gente non interessa, a me interessa solo che la mia vita prosegua come prima”.
È l’ossessione del proprio benessere e della propria felicità a tutti i costi, l’esaltazione del capitalismo, il rifiuto dell’ombra e del lutto che porta a dire l’infantile “non mi hai fatto niente, faccia di serpente”, lo “specchio riflesso” che i bambini si dicono l’un l’altro di fronte ai torti subìti pur di non ammettere di stare male.
È l’incapacità di trovare una terza vita tra i due opposti: sprofondare nel dolore, nel pessimismo e nella paura o far finta che non sia successo niente.




Molto diverso dalla trasformazione del dolore e dal mantenimento della memoria. Ma la tendenza a dimenticare è tipica della mente occidentale, come dimostra quello che sta accadendo in Italia con la nostalgia per il fascismo: accade perché non ne abbiamo parlato abbastanza, non abbiamo elaborato, non abbiamo compreso davvero.
Comprendere profondamente non significa rimanere attaccati né liquidare semplicisticamente delle pagine dolorose, come invece la canzone invita a fare. Ha vinto l’incapacità di saper osservare le proprie macerie e la devastazione che l’odio porta ogni giorno. Ed è stato, soprattutto, l’inno all’indifferenza di chi non vuole riconoscere il proprio ruolo attivo nel conflitto mondiale, il costo della propria disimpegnata felicità: “Perché tutto va oltre le vostre inutili guerre” è solo un modo per giustificarsi, per tirarsi fuori dai problemi e deresponsabilizzarsi.

“Io non c’entro niente con la guerra”, “voi siete i cattivi e noi siamo i buoni” dice chi non si accorge che il proprio stile di vita disinteressato e perennemente egoriferito, la delega totale alle decisioni politiche, lo sfruttamento dei territori altrui e l’incapacità di accogliere realmente l’altro vanno considerati per quello che sono, ossia veri e propri atti di guerra che non giustificano la follia altrui, ma neanche la propria.

Dietro alla patina della forza, dell’orgoglio di chi non si lascia abbattere dalle minacce e dalla paura, della capacità di ricostruire, si nasconde quel che in fondo siamo: una massa di narcisisti ossessionati da noi stessi, che si interessano del mondo solo quando qualcosa li tocca, e che per il resto del tempo rivendicano il proprio diritto di giocare con le mani e i giocattoli sporchi di sangue.



Qui trovate la lettera a cui si ispira la canzone, in cui non è mai scritto “non mi avete fatto niente” ma “sono devastato dal dolore ma non avrete il mio odio”. Che è molto diverso.



Mettiamola così: questa canzone è simile a quello che Michelle Hunziker ha fatto insieme a un gruppo di donne sul palco. Qualcuno potrebbe dire che è stato un piccolo passo verso cose utili e funzionali, qualcun altro potrebbe dire che non osservare meglio cosa è successo rischia di confondere ancora di più le cose.

di Andrea Colamedici e Maura Gancitano

« Vous n’aurez pas ma haine »

« Vous n’aurez pas ma haine »


Antoine Leiris a publié une lettre ouverte sur Facebook après la mort de sa femme le 13 novembre au Bataclan. La voici.

Par Antoine Leiris

Vendredi soir vous avez volé la vie d’un être d’exception, l’amour de ma vie, la mère de mon fils, mais vous n’aurez pas ma haine. Je ne sais pas qui vous êtes et je ne veux pas le savoir, vous êtes des âmes mortes. Si ce dieu pour lequel vous tuez aveuglément nous a fait à son image, chaque balle dans le corps de ma femme aura été une blessure dans son cœur.

Alors non je ne vous ferai pas ce cadeau de vous haïr. Vous l’avez bien cherché pourtant mais répondre à la haine par la colère, ce serait céder à la même ignorance qui a fait de vous ce que vous êtes. Vous voulez que j’aie peur, que je regarde mes concitoyens avec un œil méfiant, que je sacrifie ma liberté pour la sécurité. Perdu. Même joueur joue encore.

Je l’ai vue ce matin. Enfin, après des nuits et des jours d’attente. Elle était aussi belle que lorsqu’elle est partie ce vendredi soir, aussi belle que lorsque j’en suis tombé éperdument amoureux il y a plus de douze ans. Bien sûr je suis dévasté par le chagrin, je vous concède cette petite victoire, mais elle sera de courte durée. Je sais qu’elle nous accompagnera chaque jour et que nous nous retrouverons dans ce paradis des âmes libres auquel vous n’aurez jamais accès.

Nous sommes deux, mon fils et moi, mais nous sommes plus fort que toutes les armées du monde. Je n’ai d’ailleurs pas plus de temps à vous consacrer, je dois rejoindre Melvil qui se réveille de sa sieste. Il a 17 mois à peine, il va manger son goûter comme tous les jours, puis nous allons jouer comme tous les jours et toute sa vie ce petit garçon vous fera l’affront d’être heureux et libre. Car non, vous n’aurez pas sa haine non plus.