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Baglioni spaesato, lo salva Fiorello

Baglioni spaesato, lo salva Fiorello
Primo round del Sanremo 2018 confuso: Claudio deambula, Favino è fuori sincrono, Michelle e Fiore salvano capra e cavoli
di Gian Paolo Polesini

Sessantatré governi in settant’anni e da sessantotto lo stesso festival. Ciò spiega quanto la canzonetta conti in ’sto Paese storto.

Poi vennero i reality con la forza nuova dell’innovazione: niente, acqua fresca. Sanremo è un mistero, come quello dei moai dell’Isola di Pasqua. Sai che ci sono, ma non sai perché ci sono.

Tale e quale il festivalone, talmente vecchio da essere vintage, eppure fa ancora più share della nazionale di calcio, è adorato da chiunque (tutti lo vedono, nessuno ammette, però, di crollare in un sonno irreversibile dopo la mezzanotte), è criticato da chiunque (nulla di più facile) muove più denaro della Federal Reserve, ha fatto nascere generazioni e molti con Sanremo se ne sono andati. Un lievito madre, ecco cos’è Sanremo.

Diamoci subito da fare. Fiorello alle 22.30? Baglioni lo getta in pasto subito, nonostante volesse spenderlo alle 23. Lui non lo tieni, non lo tieni. E con lo showman entra pure il disturbatore. Tié.

Ma come fanno questi a infilarsi indisturbati dappertutto, se noi normali non riusciamo nemmeno a saltare la fila in posta? Voleva parlare col procuratore. Pare mite. Lo portano fuori senza storie.

Fiore invoca Pippo, che al tempo si arrampicò sulla balconata e salvò l’aspirante suicida. Era il 1995. Rosario si piglia il pubblico («hanno tagliato tredici file della platea, ma non i cantanti: se mi elimini Facchinetti fallirebbero tutti i negozi di tinture per capelli»), Baglioni arriverà alle ventuno.

Scende la scalinata che pare quella dell’Enterprise, smoking già il primo round (e la finale cosa metterà?), ha sessantasette anni l’uomo e la faccia ne dimostra qualcuno di meno, ma la plastica si nota, anche se è ben distribuita.

Claudio inizia con un pippone tremendo, ce lo lasci dire caro “dittatore” artistico: la «canzone è un’arte povera, di poco conto», ma «le canzoni hanno una grande forza evocativa, come i profumi, coriandoli d’infinito, neve di sogni, che sembrano di un altro pianeta».

Ma no, dai. Roba da Leopardi se fosse riuscito a portarsi a cena Silvia.

Il succo della faccenda, comunque, resta la canzone «stella polare» del festival. Caro Baglioni, valoroso lo sforzo di riportare in auge il canto, spesso nascosto dietro il glamour, ma al tempo di X Factor e di Amici e di The Voice e di altre diavolerie canterine sparse durante tutto l’anno, è assai dura, però.

Tanto più che Sanremo si ostina a schierare dinosauri, ormai sconfitti dal meteorite. Ron canta Dalla. Certo, vale un brivido d’annata per la gente in età, ma i giovanotti, futuri abbonati Rai, se ne vanno altrove. Tutto è equilibrato dai cinquanta in su. I Kolors non bastano, anche se ci mettono l’energia che ci vuole.

L’impressione è che i tre, Baglioni, Hunziker, Favino siano stati mescolati assieme un po’ a caso.

Baglioni cerca di defilarsi e deambula per il palco con la stessa casualità del dormiglione di Allen. Possiamo dire imbarazzante? Favino, mah. Presenta Michelle, questa è la storia. Ha dimestichezza. Spedisce con nonchalance un ti amo al marito («quanto sei bello, ti risposerei»), si muove sinuosa nel suo meraviglioso vestito nero scollato sul davanti quel giusto, ammicca, affascina, eccita. La Regina dà scacco al Re.

Nei momenti no ci pensa Fiore, non ci fosse stato lui, addio.

Ah, la canzone. Giusto. Annalisa sembra cantare sempre quella, ma è bella e le si perdona tutto. Gazzè farfuglia, Ron celebra, i The Kolors smuovono quel tanto l’aria, la Vanoni, rispettosamente, anche basta, Facchinetti e Fogli, rispettosamente, idem. Stato Sociale?

Chi? Persino Noemi è una lagna. Meta e Moro almeno ci provano a far girare sangue. Gli unici. Sapete cos’è: Sanremo è tutto quel che abbiamo detto prima, vero, ma resta obsoleto come quest’Italia che non ne vuol sapere di ringiovanire. Viva i Maneskin.