MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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L’opinione di Michele Monina: Emma mette su una tribute band degli U2, ne avevamo proprio bisogno


Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia, recita la proprietà commutativa, chiunque abbia un minimo di memoria ben lo ricorda dai tempi delle elementari. Potremmo partire da qui.

O volendo, anche perché il soggetto in questione sfiora i due metri d’altezza, potremmo anche buttarla più semplicemente sul musicale, tirando in ballo il progetto che Roberto Angelini da anni porta avanti col suo sodale Pier Cortese, Discoverland, andando a trovare in quelle riletture d’autore fatte dai due l’involontaria citazione non dichiarata, quasi al limite del plagio.

Sia come sia, non se ne esce, arriva negli store digitali, nei canali di streaming e sul tubo il nuovo singolo di Emma Marrone, L’isola, a firma tra gli altri proprio di Roberto Angelini, e che lo si affronti dal punto di vista della scrittura, dell’interpretazione e della produzione – vedi la proprietà commutativa – il risultato finale è sempre lo stesso e davvero imbarazzante, quasi quanto il titolo del singolo stesso, battuto, forse, se possibile, solo da quello annunciato dell’album, in uscita a fine mese, Essere qui. Ma andiamo con ordine.

Emma decide di appro*****re della notte di Capodanno per annunciare attraverso i social data e titolo del suo singolo, L’isola, fuori dal 5 gennaio, e del suo album, Essere qui. A produrre, ahinoi e ahilei, anche stavolta lei medesima e il suo fonico di fiducia, Luca Mattioni. Dettaglio, questo, non da poco, come vedremo a breve.


Sono mesi che stanno uscendo notizie alla spicciolata, e quasi tutte vertono su una serie di professionisti apparentemente distanti dal mondo emmiano, musicisti sbandierati ai quattro venti, si immaginava, proprio per indicare un cambio di rotta dopo il passo falso di Adesso, album decisamente irrisolto che si è dimostrato un passo indietro, artisticamente e commercialmente, rispetto a Schiena.

Leggere reiteratamente i nomi di Ninja, batterista dei Subsonica, di Paul Turner dei Jamiroquai e di Adriano Viterbini, ex Bud Spencer Blues Explosion ora titolare di una propria carriera solista nell’indie, fossimo tra quanti si fanno impressionare dalla pratica del turnismo, cioè di quanti suonano nei dischi di coloro che li pagano per suonare nei propri dischi, ci avrebbe impressionato.

Nei fatti ci aveva semplicemente indotto a pensare che, magari, vista la pochezza artistica del lavoro precedente, stavolta la signora Marrone avesse finalmente deciso di affidarsi a altri per la produzione, perché ognuno dovrebbe fare il proprio mestiere, e quello di produttore, i fatti dicono questo, non è la cosa che riesce meglio né a Emma né a Mattioni.

Solo che poi esce L’isola, e se mai uno avesse riposto delle aspettative su un singolo di Emma – non è il nostro caso – la delusione sarebbe stata cocente, perché L’isola altri non è che una cover non dichiarata di Where the Streets Have no Name degli U2, uscita trentuno anni fa. Non esattamente qualcosa di innovativo, quindi. E neanche di revivalistico. Niente nostalgia e Simon Reynolds da tirare in ballo, qui. Semplicemente una cover non dichiarata. Quelle operazione furbettine che, in epoche di Shazam, già fanno ridere se operate nei confronti di brani minori, ma quando, come in questo caso, vengono applicate a hit planetarie, ci inducono semplicemente a perdere l’ultimo residuo di fiducia nel genere umano. L’isola si basa su una semplice idea, quella che all’epoca The Edge sotto la guida sapiente di Brian Eno e Daniel Lanois applicò sul riff di chitarra della ballad contenuta in The Joshua Tre. Niente di più e niente di meno. Certo, siamo nel 2018, qui trova asilo qualche synth in più, ma l’esile canzone non ha altri punti di interesse.

Chi si aspettava qualcosa che avesse a che fare con il funk, temo, sarà rimasto con la stessa espressione di Peter Griffin quando la moglie gli controlla la cronologia del computer. E il fatto che Emma la canti spingendo meno sulla potenza e un po’ più sull’intensità non fa che confermare la matrice coveristica della canzone, a tutti gli effetti Where the Streets Have no Name degli U2. Anche la tonalità è la stessa, neanche lo sforzo di cambiarla per allontanarsi dall’originale.

Ora, a guardarla da tutte le angolazioni, anche volendo cercare una giustificazione situazionista di quelle care a Stewart Home e a chi ha fatto del copiare una vera e propria arte, ma non mi sembra questa l’intenzione della nostra, L’isola risulta non solo un passo falso, visto che è in qualche modo il primo singolo pop che esce in questo anno che, se tanto ci dà tanto non potrà che essere terribile, ma addirittura una sorta di suicidio artistico. Perché se stai ferma due anni per trovare un’ idea che sia una, se sbandieri al mondo che stai lavorando con super professionisti – e poco conta sapere che il bassista dei Jamiroquai che hai assoldato è arrivato nella band nel momento in cui la band di Jason Key ha perso la sua allure e soprattutto la propria identità di band – e poi tiri fuori una canzone che si poggia tutta sull’idea di qualcun altro, idea per altro conosciuta anche dai sassi, beh, allora Houston abbiamo un problema.

E il problema non è solo e tanto nel fatto che Emma si arroghi il diritto di farsi da produttrice senza averne le capacità, affiancata da chi evidentemente o non ha a sua volta capacità o non ha abbastanza forza da far capire all’artista l’errore che sta per commettere, ma che Emma dimostri di essere anche piuttosto ignorante in materia musicale, finendo quindi per andare a pescare in un mare nel quale hanno pescato già in molti e pesci che sono già finiti nei piatti di troppe persone per passarla liscia.

Poi, è chiaro, l’Italia è un paese di poeti, navigatori, santi e marchettari, per cui abbiamo avuto modo di assistere sui social agli sdilinquimenti di giornalisti musicali in cerca di cuoricini e di colleghi e colleghe del tutto intenzionati a ritagliarsi un posticino in una delle prossime puntate di Amici, ma nei fatti L’isola resta una canzone esilissima tutta appoggiata su una idea di trentuno anni fa, pure abusata.

Facendo quindi una di quelle profezie da ipermercato, buone per l’Oroscopo di un giornale di Sandro Mayer, verrebbe da pensare che se questo è il singolo incaricato di creare aspettative sull’album Essere qui, il medesimo album non potrà che essere anche peggio, i titoli stanno lì anche per dare idea del contenuto e Essere qui è davvero un brutto titolo. Una sorta di copia incolla di idee altrui, messe al servizio di canzoncine che lasciano il tempo che trovano. Qualcosa di geniale, se dietro ci fosse il disegno politico di un Bill Drummond e di un Jimmy Cauty. Ci aspettiamo quindi che anche Emma, come i KLF dia vita a un momento provocatorio potente, bruci migliaia di euro in pubblica piazza (ma forse questo l’ha già fatto producendo da sola il disco, a spese della Universal) o tirando su pipponi anticapitalisti in grado di far arrossire Diego Fusaro. Così fosse, sia chiaro, saremmo i suoi primi sostenitori, pronti a tatuarci la sua faccia sul bicipite destro e a difenderla da tutti i critici che osano raccontarci come il solo luogo in cui le sue canzoni hanno un senso è negli studi Elios di Maria De Filippi. Se così non sarà ci limiteremo a consigliarle nuovamente di affidarsi a dei professionisti capaci di indicarle la strada da seguire.

Per ora, da qualsiasi parte la si guardi, L’isola resta una canzoncina esile, tutta basata su un’idea copiata dagli U2. Buon 2018 a tutti, anno che già tra una settimana ci presenterà il nuovo singolo di Takegi e Ketra, featuring Tommaso Paradiso e Elisa, e la successiva il nuovo singolo di Laura Pausini, anno presumibilmente davvero di merda.