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Il triste capodanno di Al Bano e Romina


Dei ragazzi del 1999 ho capito che in modi istintivo misurano la loro visione del mondo tentando di guardare avanti, e non indietro. Non è una differenza da poco, rispetto alle generazioni “adulte”, a noi del secolo novecento. Questa differenza di prospettiva non è dettata solo dall’età. Noi guardando indietro possiamo trovare il conforto inebriante e dolente della nostalgia, cercando di riscaldarci alla luce delle stelle morte che abbiamo amato ed eletto a nostro riferimento: loro guardando nello stesso punto non vedono nulla. Perché effettivamente non c’è più nulla. Non sono sbagliati loro, siamo sbagliati noi

[La polemica] Il triste capodanno di Al Bano e Romina, Mattarella e le dentiere di Berlusconi. La dittatura vintage dell’Italia, poveri Millennials


di Luca Telese, editorialista

C’erano sul palco, sfavillanti lucidi e perfettamente smaltati, Al Bano, Romina, i Pooh, Patty Pravo, Amy Stewart e Raf. Su Raiuno festeggiavano il Capodanno. Quello del 1980, però. Se la composizione anagrafica di questa squadra da veglione ha fatto notizia, non è detto che sia solo un fatto di costume o un giochino per assatanati dei social e twittaroli mannari delle prime ore del mattino. Il pop, ancora una volta diventa lo specchio dei tempi, una chiave di interpretazione per capire l’Italia.

La serata Rai di fine anno in diretta da Maratea, infatti è stata una bellissima cartolina illustrata dall’immaginario più autentico del nostro paese, una quintessenza del nostro destino. A casa - davanti alla tv - si discuteva di chi esibisse il lifting migliore, si discettava se Amy Stewart avesse fatto un patto con Satana (o con il chirurgo), ci si interrogava su dove eravamo nell’anno in cui si cantava “Felicità” (io, per dire, già alle elementari), si controllava su Wikipedia se Romina avesse superato i settanta oppure no (sono ancora 66), o se Francesco Paolantoni avesse fatto in tempo a partecipare ad “Indietro tutta”, perché malgrado i capelli bianchi aveva un’aria giovanile leggermente fuori contesto.



Questo veglione-vegliardo era dunque la sintesi migliore per raccontare l’immagine una Paese vintage e i suoi problemi. La cornice era perfetta, il repertorio delle canzoni fantastico, le conoscevamo tutte, e ogni verso era già sottotitolato in karaoke come se fosse davvero una diretta dal passato, la sintesi di un contemporaneo nato già morto, solo per farsi repertorio di se stesso: possibile che agli organizzatori non sia venuto mente di mettere al centro della scena, e non solo al fianco di questi splendide star vecchiette, anche qualche noto nato intorno alla fine del secolo scorso? Dopotutto i giovani di questo secolo, il pubblico eletto della serata sarebbero dovuti essere proprio i famosi “ragazzi del 1999”, protagonisti de discorso di Sergio Mattarella, quelli che nelle prossime elezioni per la prima volta si conquistano il diritto anagrafico di partecipare al voto. Sono proprio loro, i tanto dibattuti Millennials.

Il presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno dal Quirinale si chiedeva se questi ragazzi del 1999 andranno a votare, e se riusciranno a capire il valore di questo impegno, visto che rispetto ai loro omologhi nati un secolo prima hanno ricevuto una chiamata alle urne, che è pur sempre meglio di una chiamata alle armi: una fortuna, insomma invece di una disgrazia. Vero. Però a Mattarella preso nella suggestione di una bella immagine parallela sembra dimenticare che un secolo non è poco: in cento anni si polverizzano le generazioni, le aspettative, gli stili di vita, i valori, i simboli, le gerarchie del bene e del male, ogni riferimento convenzionale. Forse - con un paragone ardito - si potrebbe dire che questo punto sfugge a tutti, in eguale misura, dal presidente della Repubblica al resto della classe dirigente italiana, fino al capostruttura Rai e l’ufficio risorse artistiche che hanno confezionato e il casting il nostro veglione-vegliardo. È vero, C’erano Tiromancino, Marco Carta e Licitra: ma erano come invisibili, fuori fuoco rispetto al centro dello spettacolo, come un tassello invisibile perché fuori contesto, o oscurato dalla potenza e dalla centralità delle vecchie pantere. Per poter far loro luce

Dei millennials, giusto o sbagliato - ho capito che in modi istintivo misurano la loro visione del mondo tentando di guardare avanti, e non indietro. Non è una differenza da poco, rispetto alle generazioni “adulte”, a noi del secolo novecento. Questa differenza di prospettiva non è dettata solo dall’età. Noi guardando indietro possiamo trovare il conforto inebriante e dolente della nostalgia, cercando di riscaldarci alla luce delle stelle morte che abbiamo amato ed eletto a nostro riferimento: loro guardando nello stesso punto non vedono nulla.

Perché effettivamente non c’è più nulla. Non sono sbagliati loro, siamo sbagliati noi. Nell’Italia vagamente Vintage in cui gli auguri di fine anno li fanno Al Bano e Romina, in quella in cui la promessa più incisiva della campagna elettorale sono l’aumento delle pensioni e le “più dentiere per tutti”, nell’Archeo-Italia in cui sta per tornare un nuovo Don Matteo e in cui l’ottuagenario Silvio Berlusconi è indiziato di poter vincere di nuovo le elezioni (a soli 24 anni dalla sua prima candidatura), non c’è bisogno di uno youtuber minorenne per capire che non puoi associare una generazione al racconto nazionale solo con i buoni propositi, ma che devi includerla dentro un progetto di paese che non sia un semplice ritorno a qualcosa che non c’è più, ma piuttosto un viaggio verso qualcosa che dobbiamo ancora trovare.

Anche in questo hanno ragione loro - i millennials - e non noi, Romina, Ciampi, i giovani vecchi travestiti Fonzie, e i sorridenti profeti della dentiera. Per uscire da questo incubo da primo gennaio in fondo basterebbe - tanto per restare pop - un sovversivo quarantenne alla Caparezza: “Ehi! Ho bisogno/ di almeno un motivo che mi tiri su il morale!”. Fra le tante hit archeologiche di fine anno, con una mossa controcorrente scelgo la sua contemporanea “Ti fa stare bene”, che ieri è stata utilizzata solo per uno stacco in un balletto. Un grande Caparezza, ironico, disincantato, sarcastico sul nostro futuro prossimo, cucinato in un tripudio di coriste un po’ discomusic:
“Voglio essere superato/ come una Bianchina dalla super auto/
Come la cantina dal tuo superattico/ come la mia rima quando fugge l'attimo/
Sono tutti in gara e rallento/fino a stare fuori dal tempo/
Superare il concetto stesso di superamento/ mi fa stare bene”.
A proposito. Auguri di buon anno a tutti. Bello o brutto, con le ansie e con le rughe, con l’imprevisto e con l’ignoto: ma che almeno sia questo.