MUSICA




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MUSICA
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Ermal Meta e le sue canzoni per tutti La vera faccia nuova del 2017


di MARINELLA VENEGONI

L’uomo è fisicamente provato, e non lo nasconde. Ha le occhiaie a palla, fa fatica a dormire. Da un anno saltella fra palchi e studi tv, ed ha appena avuto la non piccola soddisfazione di superare Tiziano Ferro, Gabbani e Fabri Fibra come Best Italian Act agli MTV Awards di Londra. Per non farsi mancare nulla, è stato consacrato headliner della HitWeek che fa conoscere nel mondo la musica italiana: ha dunque girato l’Europa in concerto e ora, come già successe 4 anni fa a Jovanotti, l’altra sera è sbarcato con i pugliesi Kalascima e con la sua band al Bandshell, delizioso teatrino decò all’aperto appoggiato sull’Oceano di Miami Beach, per cantare il suo mondo.
Ermal Meta non potrà dimenticare mai questo 2017. Nel computer ha già il pieno di canzoni nuove, Baglioni lo cercherà per il prossimo Festival: ma ancora a gennaio era un musicista di nicchia, autore amato e richiesto da tantissimi colleghi, dal Mengoni di «Occhi profondi» all’ultimo Morandi, appena uscito, di «Un solo abbraccio». Poi San Sanremo ha illuminato il suo volto e i riccioloni scomposti che lo assediano, ed è cominciata una sarabanda che racconta bene l’ansia della scena italiana per personaggi nuovi e credibili: quando li trovano, scatta una febbre che fa circolare premi, inviti, richieste. Pazienza se il concerto non è ancora ben tarato, se la scaletta è ancora da studiare: il suo gusto per la melodia, la voce imponente, richiamano attenzione.
«Chi fa musica è un privilegiato, ha una lente per guardare il mondo», sostiene Ermal. Lui in realtà ha fatto centro guardando dentro la propria storia, con quella canzone «Vietato Morire», che racconta della sua infanzia, e di una mamma eroina che trasforma in lezione le violenze domestiche («E ricorda che l’amore non colpisce in faccia mai»). Un rap adulto, che entra nello stomaco di grandi e piccini.
Figlio di musicisti, Ermal è fuggito in Italia dall’Albania con la mamma violinista e 2 fratelli quando aveva 12 anni: «Sono passati 23 anni. Ci siamo fermati a Bari, dove ancora vive la mamma. Ma per me era troppo lontano da tutto, e così da 4 anni sto a Milano». Su suo padre è lapidario: «Non so niente e non voglio sapere. E’ un capitolo chiuso da quando avevo 7 anni».
Gli manca un esame per la laurea in lingue. Una sorta di sliding door, nel 2005, fu una telefonata di Caterina Caselli, che lo trattenne alla tastiera mentre stava per andare a lavorare a Bruxelles. «Mi ero avvicinato alla musica per gioco, farlo come lavoro era troppo bello», confessa ora sotto un temporale tropicale. Piacevano le cose che scriveva, cominciarono a chiedere in tanti, dalla Marrone a Patti Pravo: «Ho deciso che dovevo farlo, mi serviva per poter non lavorare per un anno e dedicarmi a me stesso, avevo il dovere di provarci». Non si può dire che Ermal non sia dotato di volontà ferrea: «Scrivo sempre. Di notte, in hotel, sul furgone. Ho messo da parte un’idea importante, che riprenderò più avanti. Le canzoni nuove sono legate fra loro, mi sto concentrando sugli esseri umani».
Tesse le lodi di Valerio Soave della Mescal, l’etichetta di Nizza Monferrato che allevò i Subsonica ed è diventata la sua casa: «E’ bravo e onesto. In giro vedo troppo fumo, è venuto meno il senso della gavetta. Se sostituisci essere con avere, è un guaio». Discorsi antichi, raccontano bene il personaggio Meta: «L’arte è quella che dà un colore in più alla vita, ma io non posso definirmi artista, questo lo debbono decidere gli altri, quando entri nelle loro esistenze. E mi stupisce quando ai concerti vedo le mie frasi tatuate sui corpi altrui».