MUSICA




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50 anni di “A Whiter Shade of Pale”

50 anni di “A Whiter Shade of Pale”: storia di un brano e di una band che hanno fatto sognare la beat generation
Giuseppe Rao

L'autore dei testi della band inglese "Procol Harum" Keith Reid con l'ex manager del gruppo Tony Secunda
È il 1967: in un mondo in pieno fermento la musica rock riesce a dare voce alla voglia dei giovani di promuovere il cambiamento, la modernizzazione e la giustizia sociale. La band inglese Procol Harum pubblica il primo 45 giri, “A Whiter Shade of Pale”, che entrerà nella leggenda, lasciando un segno musicale indelebile sia sulla beat generation che sulle generazioni successive.
Tutti abbiamo ballato – e magari sognato un nuovo amore – sulle note di “A Whiter Shade of Pale”, il “lento” che tutte le cover band hanno intonato e di cui sono state incise centinaia di interpretazioni (da noi Mogol e i Dik Dik la trasformarono in “Senza Luce”).

I grandi gruppi rock si caratterizzano per il tratto inconfondibile del loro sound, del loro stile e, molto spesso, per il timbro vocale del loro cantante. Nel caso dei Procol Harum siamo di fronte ad una band che ha come nucleo centrale il lavoro di Gary Brooker, tastierista, compositore e vocalist, e di Keith Reid, autore dei testi.

Gary Brooker nasce nei sobborghi di Londra il 29 maggio 1945. Il padre musicista gli trasmette l’amore per la musica; sin da piccolo studia pianoforte, cornetta e trombone. Nel 1962, a soli 17 anni, fonda i Paramount, gruppo Rhythm and Blues. Il giovane tastierista non è soddisfatto, intuisce che profonde mutazioni e nuove sonorità stanno sopraggiungendo nella musica giovanile, in quel momento egemonizzata dai Beatles, dai Rolling Stones, dai Beach Boys.

Nel 1966 Gary Brooker incontra Keith Reid, di un anno più giovane, che ha abbandonato gli studi per dedicarsi alla scrittura di testi per la musica rock. Nascono i Procol Harum: Gary Brooker compone le musiche, alternandosi talvolta con l’organista Matthew Fisher, che nel 2006 sarà riconosciuto come co-autore di “A Whiter Shade of Pale”, e al chitarrista Robin Trower; Keith Reid impreziosisce i suoni con le proprie narrazioni.

I Procol Harum – assieme a The Moody Blues e The Nice – sono i precursori del rock sinfonico, il genere colto che ricerca la contaminazione con la musica classica. La melodia di “A Whiter Shade of Pale” – è scritto sul prezioso sito “John’s Classic Rock” – ha tre riferimenti principali: “l’Aria sulla quarta corda” di Johann Sebastian Bach, a cui era ispirata l’intro di Hammond M 102 di Metthew Fisher; la cantata BWW 140 “Wachet auf, ruft uns die Stimme”, sempre del compositore di Eisenach; e infine, la hit del 1966 di Percy Sledge “When a man loves a woman”, che influenza la scrittura del groove dell’inciso.


Keith Reid si immerge nei film dell’avanguardia francese (Jean Luc Godard) e nel surrealismo di René Magritte e Salvador Dalí. Il testo di “A Whiter Shade of Pale” è evocativo, onirico, visionario e costituisce ancora oggi materia di dibattito – tenuto conto che potrebbe essere stato concepito in un momento di non completa sobrietà dell’autore. Keith Reid intende raccontare la storia di una giovane che lascia il suo ragazzo e gli stati d’animo che ne derivano per entrambi (“She said, ‘There is no reason / And the truth is plain to see’”). Con le parole, l’autore, propone scene di un film costruito nella forma di puzzle.

Il titolo – non traducibile in italiano (“Un bianco immacolato?”) – si riferirebbe ad una frase ascoltata durante una festa: un giovane, rivolgendosi ad una donna, esclama: “You’ve turned a whiter shade of pale”.
Tutti abbiamo tentato di intonare l’inizio del brano “We skipped the light Fandango”, senza sapere che Fandango (probabilmente) non è riferito alla danza spagnola, bensì al nome di un locale.
Keith Reid cerca illuminazione nella letteratura. La parte in cui si narra del mugnaio (“As the miller told his tale”) sembra essere ispirata – anche se l’autore afferma che essa è frutto della propria immaginazione – a “Il prologo e il racconto del mugnaio” (“The Miller’s Prologue and Tale”), la seconda storia degli incompiuti “Racconti di Canterbury” di Geoffrey Chaucer (1343-1400), in cui un mugnaio ubriaco racconta la storia del tradimento di un falegname da parte della giovane moglie.
Un altro riferimento ai classici – sottolineato dal blogger Fabio Mauri – è quello delle “sixteen vestal virgins”. Le vestali, nell’antica Roma, erano sacerdotesse consacrate al culto della dea Vesta, la cui istituzione è spesso attribuita a Romolo, primo re di Roma. I loro compiti principali erano quelli di tenere sempre acceso il Sacro Fuoco della stessa dea, simbolo dello spirito di Roma, e di preparare la “mola salsa”, una focaccia che veniva offerta agli dei nelle cerimonie solenni. Godevano di maggiori diritti delle altre donne e le uniche colpe per le quali potevano essere punite erano l’estinzione del Fuoco Sacro o la perdita della verginità. Il numero sedici nella canzone è probabilmente dovuto ad una questione fonetica: le vestali romane erano infatti inizialmente tre, successivamente diventate sei.
In Italia la musica dei Procol Harum è legata ad “Avventura” il programma della “TV dei ragazzi” che per un decennio a partire dalla seconda metà degli anni ’60, ha trasmesso documentari sulla natura o sulle imprese di esplorazione in luoghi impervi o sconosciuti, alla ricerca di culture e popoli lontani e diversi. Come molti ricorderanno, il programma era curato e condotto da Bruno Modugno. La sigla di chiusura era – scelta non casuale dal momento che il programma voleva stimolare nei giovani il senso dell’avventura – la magica “A Salty Dog”, un brano con bellissimi arrangiamenti per archi e un interludio ispirato a Fryderyk Chopin, che inizia con il rumore del mare ed i versi dei gabbiani. Il testo evoca i racconti di un “lupo di mare”, un vecchio capitano che ha doppiato Capo Horn innumerevoli volte, ed esprime il senso dell’ignoto e del dolore provocato dal mare (da non perdere, su YouTube, la versione live con Orchestra e Coro del 2006 in Danimarca).

I Procol Harum hanno deciso di festeggiare i 50 anni di “A Whiter Shade of Pale” con un tour europeo, che in Italia ha raggiunto Pordenone, Milano e Roma. Per l’occasione la band ha inciso un nuovo album, “Novum”, il primo senza i testi di Keith Reid (sostituito da Pete Brown, ex paroliere dei Cream). Il concerto percorre i diversi generi in cui si è espressa la musica del Procol Harum: Blues Rock, Rock & Roll, Rock Psichedelico, Rock Progressivo, Rock Sinfonico e Art Rock.


La qualità musicale della band è eccellente. Il timbro inconfondibile della voce di Gary Brooker è rimasto intatto. Il leader della band è capace di intrattenere il pubblico con quella verve ironica di cui solo gli inglesi di una certa età, colti e disincantati, sono capaci.
Così, nel presentare “Sunday Morning” – brano ispirato al famoso “Canone e giga in re maggiore” di Johann Pachelbel, con un testo che racconta la difficile vita di un operaio (“Always hope the weekend never ends / Work keeps stealing my best days”) – Gary Brooker ricorda che la domenica mattina è il giorno in cui molti vanno a messa e molti altri cercano di riprendersi dalle abbondanti bevute del weekend.
Il brano “Business Man” è dedicato all’ipocrisia di taluni uomini d’affari, che frequentano la chiesa, si presentano come custodi dei valori della famiglia e contestualmente si dedicano a traffici poco limpidi (“Longing for that glory day – When futures turn to gold” e, più avanti, “He’s financing such dark things”).
Poi la memoria corre ai vecchi tempi, in cui: “viaggiavamo con jet privati e in limousine, ci trattavano con caviale e champagne, mentre questa sera siamo arrivati in pullman, ci hanno offerto cibo semplice e vino Frascati”.
L’apoteosi finale, e non poteva essere altrimenti, è per “A Whiter Shade of Pale”: le note suonate con l’organo Hammond trasmettono brividi che percorrono la spina dorsale e giungono al cervello dei tanti appassionati presenti.
La storia del rock, a partire dagli anni ’60, è stata contrassegnata da giovanissimi autori che hanno creato band divenute immortali grazie alla qualità della musica e dei testi. Molti di quegli artisti – a distanza di 50 anni – continuano a pubblicare nuovi lavori e si esibiscono in concerti dal vivo che riempiono il bisogno di recupero della memoria e di emozioni di intere generazioni. Sono queste le ragioni per cui il viaggio dei Procol Harum è destinato a non finire mai. Un viaggio che commuove, entusiasma, restituisce l’energia e l’identità poetica e critica a cui non vogliamo rinunciare.