MUSICA




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MUSICA
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Paradise Papers, da Bob Marley a Disco Inferno i profitti della musica vanno offshore


«Get up, stand up, stand up for your rights...». Battiti per i tuoi diritti, non cessare la lotta: sono le parole di una delle più famose canzoni di Bob Marley, il padre della musica reggae. Testi e note che ancora oggi valgono milioni. Perché la musica più amata è come il buon vino: invecchiando migliora e aumenta di valore, ma deve trovare la cantina giusta. Per il business della musica internazionale, che gestisce i diritti d'autore ceduti da centinaia di compositori e cantanti, il posto migliore è una cassaforte offshore. Una società anonima dell'isola di Jersey. Che per anni ha incassato centinaia di milioni con i diritti musicali, senza pagare tasse sui profitti.

Correva l’anno 1977. Nei cinema di tutto il mondo impazzava La febbre del sabato sera, il film che ha lanciato John Travolta. Che ballava al ritmo martellante di Disco inferno, un grande successo dei Tramps. Quarant'anni dopo, quel brano continua ad essere eseguito in tutto il mondo. Per la società che ne ha acquisito i diritti, è una macchina da soldi. Solo tra il 2009 e il 2010, ad esempio, Disco inferno ha prodotto royalties per oltre 600 mila dollari. Profitti finiti in un paradiso offshore. Fuori dai radar del fisco. Con un enorme catalogo di altre 26 mila canzoni gestito dalla FS Media Holding Company Limited, registrata nel 2007 nell'isola di Jersey e amministrata da una società irlandese, la First State Media Group Limited (Fsmg), che agisce come un fondo d’investimento e funge da editore.

Così anche l'industria musicale viaggia offshore. I guadagni derivanti dai diritti di proprietà delle canzoni finiscono in questo paradiso fiscale, un’isoletta più vicina alla Francia che alla Gran Bretagna, che dipende dalla corona inglese. È uno dei sistemi legali di elusione delle tasse svelati dall’inchiesta internazionale Paradise Papers: oltre 13 milioni di documenti riservati ottenuti dal quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung e condivisi con l’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), rappresentato in Italia da L’Espresso e Report. Carte uscite, in questo caso, dallo studio Appleby, fondato alle Bermude e specializzato nel creare e gestire società offshore.

Gli introiti dell’industria musicale globale sono altissimi: circa 6 miliardi di dollari all’anno, secondo uno studio del 2015 della rivista americana Music Business Journal, edito dal Berkley College of Music. La ragione è molto semplice, come spiega Cecile Gallego, giornalista del consorzio Icij: «Ogni volta che una canzone viene usata in un film, alla tv, su internet o venduta come spartito, i titolari dei diritti incassano qualcosa». Anche i big della finanza sono entrati in pista, come osserva Craig Hayes, economista, consulente di Ender Analysis, specializzata in media, spettacolo e telecomunicazioni: «C’è un fiorente mercato di cataloghi musicali tra gli investitori istituzionali». Se ne sono accorti perfino i grandi fondi pensione americani, europei e australiani, che sono diventati azionisti proprio della società finanziaria che controlla la cassaforte musicale di Jersey con il suo catalogo di oltre 26 mila canzoni.

Continua a macinare profitti, con questo sistema, ad esempio la musica di John Denver, che solo dal gennaio 2009 al luglio 2012 fa incassare al fondo offshore 865 mila dollari con tre grandi hit come Take me home, country road, Leaving on a jet plane e Thank God I’m a country boy. Soldi che rappresentano solo la quota netta di utili che finisce all’editore, una volta detratti i compensi ad agenti, compositori e autori. Sempre nel 2009 la società di Jersey compra dalla cantautrice americana Sheryl Crow i diritti di altre 153 canzoni, tra cui le celeberrime All I wanna do, My favorite mistake ed Everyday is a winding road, che solo nei tre anni successivi assicurano royalties per 493 mila dollari.

La tesoreria offshore, in quel periodo, incassa oltre quattro milioni e mezzo di dollari all’anno grazie ad altri successi evergreen come The Twist di Chubby Checker e Day Dream di Duke Ellington. Il patrimonio musicale custodito a Jersey raggiunge un valore di bilancio di 153 milioni di dollari.

Nell’aprile 2010 la Fmsg irlandese, cioè la società controllante, viene ceduta alla grande etichetta inglese Chrysalis, che però ne assume solo la gestione: il catalogo musicale di Jersey resta fuori dall’operazione. Tempo un anno e anche la Chrysalis passa di mano, venduta in blocco al colosso multimediale tedesco Bertelsmann. Che riscuote solo una fee, una parcella, per piazzare le canzoni sul mercato. Mentre la proprietà delle canzoni resta offshore.

Nel 2013 la società di revisione Kpmg definisce il catalogo musicale di Jersey «una delle più grosse concentrazioni di copyright attualmente disponibili sul mercato». E aggiunge interessanti considerazioni sulla società di Jersey, così riferite da Cecile Gallego: «La Kpmg ne quantifica i vantaggi fiscali spiegando che non paga tasse nel Regno Unito e nemmeno negli Stati Uniti», i due paesi da cui arrivano i maggiori guadagni.

Nel 2014 il fondo offshore entra in crisi, secondo il rapporto della Kpmg, a causa di «cambiamenti nella proprietà, carenze di marketing e scarso sfruttamento dei diritti di copyright». La società-cassaforte inizia a indebitarsi e perde di valore. Alla fine il catalogo di Jersey viene ceduto per 38 milioni di dollari alla Reservoir Media Management Inc., un'etichetta con base a New York, ma con la catena di comando nel Delaware: un paradiso fiscale interno agli Stati Uniti.