MUSICA




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Niccolò Fabi: «Spesso non mi piace quello che faccio, così i difetti diventano la mia forza»


Il cantautore festeggia i 20 anni di carriera con un doppio album «Diventi Inventi 1997-2017» in cui raccoglie vecchi successi reinterpretati, demo e provini inediti
di Andrea Laffranchi


«Avevo almeno 200 amici più bravi di me con voce e chitarra. Il mio talento è legato alla sensibilità e alla capacità di andare avanti migliorando. Sono arrivato a un punto in cui sono soddisfatto. La vera vita da mediano è stata la mia, altro che Liga che è sempre stato un centravanti». Sorride Niccolò Fabi ripensando ai suoi venti anni di carriera, raccolti in «Diventi Inventi 1997-2017», doppio album in cui ha messo da una parte i suoi successi (e altri brani) rivisitati con i suoni delicati e semi-acustici dell’ultimo album, e dall’altra demo e provini inediti.
Il bilancio di questo doppio decennio?
«Questa raccolta è come un fiocchetto su un progetto di cui vedo la conclusività. Non è un’antologia alla vecchia maniera. Oggi quella la può fare chiunque con una playlist. In un disco ho riletto il mio repertorio in maniera omogenea, come se fosse un concerto. Nell’altro faccio vedere come una canzone può cambiare, o rimanere identica, dal momento in cui nasce a quando viene pubblicata».


Fra le sorprese ripescate nei cassetti, la prima versione di «Capelli», il suo debutto a Sanremo del 1997.
«Avevo un album introverso. E anche “Senza capelli”, così si intitolava, era scura e notturna. In una di quelle giornate che poi ti accorgi che ti hanno cambiato la vita, Riccardo Clary, allora presidente della Virgin, suggerì di farne una versione più leggera e autoironica: il testo rimase lo stesso, cambiammo tonalità passando dal do minore al sol maggiore».
E divenne un tormentone. Da lì in poi iniziò a fare i pugni con quel brano. Perché?
«Non ero più quello coi capelli strani solo per i miei vicini di casa ma lo ero diventato per tutti. Non mi sentivo rappresentato dal personaggio che ne usciva fuori: mi ritrovai inseguito dalle ragazzine».
All’Officina Pasolini di Roma è docente di canzone d’autore. Come racconterebbe il Fabi di quell’epoca agli studenti?
«Come una persona sensibile che ha avuto una partenza fortunata. E come accade in questi casi il successo diventa un ostacolo doppio. Perché magari senti di non averlo meritato, perché la velocità con cui accadono le cose non te ne fa cogliere l’entità e la portata. Spesso gli esordi violentemente fortunati hanno come conseguenza carriere che devono affrontare una grande discesa perché l’artista va in conflitto con qualcosa che non ha dominato. Niccolò Fabi ha subito quella problematica. Come quando nuoti in apnea e al momento di rialzare la testa ti trovi in un posto diverso da quello che immaginavi».
Dopo quella botta di popolarità invece che prendere al strada del teen idol ne ha scelta un’altra, legata alla canzone d’autore. Ha vinto il Premio Tenco per due volte, con gli ultimi due album, ma ce n’è voluta…
«Sono riuscito a portare la mia barca verso la mia riva. La gente si è “innamorata” di me col tempo, conoscendo la persona. Credo che il pubblico sposi non tanto le mie canzoni quanto il mondo umano che c’è dietro. Ho saputo trasformare i miei difetti e limiti in punti di forza. E poi gli eventi tragici della vita (ha perso la figlia che aveva 22 mesi per una meningite ndr) hanno fatto sì che la delicatezza della mia musica non fosse solo carineria ma un modo di raccontare storie di vita che può andare bene anche con i capelli bianchi che ho adesso».
Nel cofanetto in edizione limitata di «Diventi Inventi» c’è anche un libro intervista in cui lei si racconta. Ne esce spesso una personalità in sfida continua col proprio lavoro, una difficoltà a piacersi…
«È una delle mie caratteristiche, è stata un grande impaccio ma anche uno stimolo al miglioramento. Ho sempre avuto una sensibilità più avanti rispetto al mio talento musicale. Faticavo a farmi piacere quello che facevo. Con l’ultimo album “Una somma di piccole cose” ce l’ho fatta a fare il disco che ascolterei a fianco dei miei preferiti. E anche i concerti, con quelle 1500 persone che mi seguono e vedo commosse e sorridenti, sono arrivato al massimo: il 26 novembre a Roma farò una grande festa in un palazzetto, ma non penso certo che il prossimo tour sarà in spazi così grandi».
Il tour dei 20 anni l’ha fatto quest’estate… e adesso?
«Ora c’è una pausa che un po’ mi spaventa. Sono però fiducioso di poter affrontare il rapporto con l’arte in modo meno sacerdotale e più divertente. Dopo aver tanto costruito ora voglio abitare. Non si può sempre essere nella fase della preparazione e mai in quella di godimento».