MUSICA




​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​
​​​​​​​​​​​​​



​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
​​​​​​​

​​​



MUSICA
Start a New Topic 
Author
Comment
Non possiamo fare a meno della musica, però non tuteliamo i musicisti


C'è un brano di Friedrich Nietzsche, tratto dal Caso Wagner, che mi ha sempre spinto a riflettere. Siamo attorno alla metà degli anni Ottanta dell'Ottocento, e Nietzsche è ormai avviato verso la maturità del suo pensiero. Com'è noto, egli intendeva riproporre un "passo indietro" verso i greci, la loro cultura, verso la forza della loro invenzione, a cominciare dalla passione, il pathos, tragico, e verso quella straordinaria elaborazione del grande filosofo tedesco che aveva scoperto nella musica lo spirito stesso della tragedia greca.

La musica: parte dell'umano fin dagli albori della sua civiltà. La musica: ciò che rende l'umanità preziosa. La musica: straordinaria ed efficace nella costruzione di una comunità umana. Tutto ciò era la musica quando in Grecia stimolò la nascita della tragedia.

Poi, diceva Nietzsche, nel corso dei secoli, essa cambiò senso e direzione. "Di che cosa soffro io, quando soffro del destino della musica?", si chiese con acume incredibile Nietzsche. E l'interrogativo è così moderno e attuale, e se mi permettete, anche personale, da rilanciarlo qui e ora, su questo blog che mi ospita, e al quale io sono grato, ma soprattutto nel mondo della cultura e dell'arte, di coloro che la producono, la fanno e la vivono da ascoltatori. Perché soffrire del destino della musica?

Intanto, come scriveva il celebre filosofo tedesco, "quando la musica procede con una serena divinità e certezza, anche i nostri muscoli celebrano una festa: diveniamo più forti, è permesso financo misurare questo incremento di forza". È ancora questo il senso della musica oggi? E se non fosse, potremmo riuscire a farlo rivivere? Tanti di noi, e tanti lettori, hanno avuto la fortuna di ascoltare un brano dal vivo (qui non ne faccio una questione di genere, che sia classica, jazz o leggera) e ne hanno apprezzato la forza. Possiamo davvero farne a meno? Io credo di no. Anzi.

Possiamo però soffrire anche noi contemporanei e abitatori del XXI secolo del destino della musica? Io penso di sì, a partire dal progressivo impoverimento, soprattutto materiale, in cui stiamo costringendo decine di migliaia di musicisti, giovani e meno giovani, e dal loro contrapposto asservimento alla logica della prestazione senza diritti e senza tutele.

Una civiltà, una società che si considera civile, non può svilire i suoi musicisti. Perché essi sono una grande ricchezza, perché fanno scattare "la festa" anche dei nostri muscoli, perché ci restituiscono la dignità di esseri umani. I musicisti possiedono qualcosa che è preziosa per ogni uomo: scatenano "la trasfigurazione del mondo", aveva scritto Nietzsche. Tutte le volte che facciamo musica e ascoltiamo musica (rigorosamente dal vivo) ritroviamo la festa e la forza che ci restituiscono la nostra umanità, molto spesso abbandonata.

Dobbiamo gratitudine ai musicisti. Dobbiamo amarli e tutelarli. Dobbiamo accarezzarli e vezzeggiarli. E dobbiamo evitare che le ragioni economiche ci spingano a ucciderne la dignità e lo straordinario valore culturale e umano che essi portano con sé (come appunto più volte scritto da Friedrich Netzsche in tempi ormai non sospetti).

Come restituire valore e dignità perduta ai musicisti? Intanto, occorre che l'intera comunità nazionale, le forze politiche e sociali, il mondo variegato e variopinto della cultura più ampia, prendano consapevolezza della drammatica realtà nella quale vivono quotidianamente moltissimi musicisti e si stringano attorno ai loro musicisti, come beni comuni, preziosi per la vita sociale.

Trovare le soluzioni in fondo non è difficile. Basta volerlo. Sarebbe per esempio sufficiente, come accade in altre professioni importanti, che ci si adoperi per una proposta di legge che faccia valere per i musicisti il diritto a un equo compenso, così come è stato fatto per gli uffici legali (gli avvocati evidentemente sono considerati più importanti dei musicisti). Oppure che si elabori una qualche forma di diritto a un salario minimo garantito al di sotto del quale il contratto è nullo.

Insomma, abbiamo un bene prezioso da tutelare e da garantire. Diamogli il valore e il riconoscimento sociale ed economico che merita, per non dover più "soffrire per il destino della musica".




Giulio Cesare Ricci Discografico