MUSICA




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Depeche Mode, trionfo a Roma per la band di Dave Gahan


«Con il terrore come arma, vi spaventano fino a intontirvi, vi sfiniscono fino a portarvi dalla loro parte. Dov’è la rivoluzione? Forza, gente, mi state deludendo». Così Where is the Revolution, dall’ultimo album dei Depeche Mode, uscito qualche mese fa. Ma invece no, nessuno è stato deluso, tra i 40 mila fan presenti a Roma per la prima delle tre date italiane della band. Due ore e mezza di musica, aperte da Revolution dei Beatles, poi una scaletta che in 22 brani ha ripercorso le tappe fondamentali di una carriera lunga 37 anni.

I Depeche Mode sono tra i pochissimi sopravvissuti degli anni Ottanta che abbiano ancora qualcosa da dire. Nella dimensione live soprattutto: con canzoni che tanti conservano nel cuore, nascoste nel fondo dell’anima; le parole cancellate dagli anni che tornano sulle labbra al primo accordo di chitarra. Succede con il pubblico dello Stadio Olimpico a cantare in coro “Words are very unnecessary, they can only do harm”, le parole sono superflue, possono solo far male. Mille volte Dave Gahan ha intonato questi versi, da quando è stata pubblicata Enjoy The Silence, nel 1990, mille altre ha invitato gli spettatori a muovere le braccia insieme a lui su Never Let Me Down Again, che chiude la prima parte del concerto.



A 55 anni, Dave Gahan è sopravvissuto a un arresto cardiaco per overdose, un tumore e chissà che altro; oggi è testimonial per Dior. Martin Gore e Andy Fletcher pure hanno avuto i loro periodi bui, e tuttavia ora sembrano in gran forma. Anzi, hanno appena annunciato le tre date invernali in Italia di un tour che tocca tutto il mondo: Torino, 9 dicembre, Bologna, 13 dicembre, Milano, 27 gennaio 2018.

Gahan - a torso nudo - suda e corre come il Mick Jagger dei tempi migliori, sorride, ancheggia, si tocca. Mai come ora la sua voce è potente e versatile (ad esempio in Walking In My Shoes). La scenografia di Anton Corbijn è essenziale e ultratecnologica, i colori sono esplosivi, le immagini nitidissime. Ma a sorprendere è ancora la musica: Cover me è forse la migliore delle tante canzoni dall’ultimo album, e c’è la chicca di Everything Counts (1983) a ricordare che, con pochi accordi di tastiera, la band di Basildon ha precorso la techno, trasformando la lezione austera dei Kraftwerk in una raffica di hit da classifica. E alla fine di Barrel of a Gun, arriva un pezzetto di The Message di Grandmaster Flash, l’hip hop che nasce dall’elettronica, a sottolineare le tante facce della loro musica. C’e il glam di A Pain that I’m used to, e ci sono distorsioni, rumori, campionamenti, intrecci di ritmi tra drum machine e batteria: ma I Feel You è rock, e Wrong pop purissimo, sia pure con un’anima deviante. D’altra parte, la serata si è aperta con Going Backwards, andando indietro.

In chiusura Gore scava con la chitarra nel cuore nero di Personal Jesus, ma prima era stato già caldamente applaudito per Home. Nell’ultima serie di bis, come sempre in questo tour, l’omaggio a David Bowie: Gahan reinventa Heroes, la stravolge, e proprio per questo tra le mille cover ascoltate nel corso degli anni, quella dei Depeche Mode è la più fedele. Non alla lettera, ma allo spirito. Spirit, come il titolo del loro ultimo disco.

Prossime date
Milano, San Siro, 27 giugno
Bologna, 29 giugno

La scaletta di Roma
Going Backwards
So Much love
Barrel Of a gun
A pain that I’m used to
Corrupt
In your room
World in my eyes
Cover me
A question of Lust
Home
Poison Heart
Where’s the Revolution
Wrong
Everything counts
Stripped
Enjoy the Silence
Never Let me down again
Somebody
Walking in my shoes
Heroes
I feel you
Personal Jesus