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Renato Zero, esce l'album 'Zerovskij'


Renato Zero parla di "Zerovskij... Solo per amore", il suo nuovo (doppio) album, come del suo "debutto ufficiale" in un "nuovo universo". Il disco, che esce domani, venerdì 12 maggio, è nato parallelamente all'omonimo progetto dal vivo che terrà impegnato il Re dei Sorcini la prossima estate, per un totale di dieci concerti (qui tutti i dettagli). Zero lo ha realizzato insieme al team di musicisti che lo affiancano da ormai qualche anno a questa parte, guidato dal produttore Danilo Madonia, e ad un'orchestra sinfonica diretta dal Maestro Renato Serio. Le canzoni portano la firma dello stesso cantautore e dei suoi due autori storici, Maurizio Fabrizio e Vincenzo Incenzo ("Pazzamente amare" è stata invece scritta da Mariella Nava): c'è anche una rivisitazione orchestrale di "Infiniti treni", brano originariamente contenuto nell'album "Soggetti smarriti" del 1986. Ecco cosa ci ha raccontato Zero a proposito del nuovo progetto.

In che senso "Zerovskij" rappresenta il tuo debutto ufficiale nel "nuovo universo"?
Nell'aria c'è voglia di trasformazione e credo che questo investa non solo Renato Zero, ma tutti. E non solo la musica, ma anche altre piattaforme. Siamo chiamati a guardare avanti e ad avere una proiezione possibile del futuro: il mio, di futuro, lo vedo abbastanza aderente alla formula 'Zerovskij', che vuole integrare e inglobare nello stesso contenitore una serie di ingredienti e di prospettive. C'è una vicinanza con la musica sinfonica, con la prosa, la poesia: abbiamo chiamato in causa più fonti per creare un coro polifonico.

Non pubblicavi un album doppio da parecchi anni: l'ultimo era stato "Zero", del 1987. Perché questo progetto discografico hai preferito articolarlo in due dischi?
Il formato cd è ancora abbastanza penalizzante, per una questione di sonorità e di rendimento: più di un certo numero di minuti non è possibile includere in un solo cd. Noi avevamo sforato di un bel po', quindi il doppio album è stato necessario per preservare la qualità del lavoro.

Tutti i brani del disco sono stati registrati insieme ad un'orchestra sinfonica, diretta dal Maestro Renato Serio: questa vicinanza tra le canzoni e la musica sinfonica è ancora possibile, oggi?
Non bisogna dimenticare che il Maestro Ennio Morricone, prima di vincere l'Oscar, arrangiava le canzoni di Gino Paoli e di altri cantanti italiani. Ecco: questa contaminazione, che una volta era possibile, dovrebbe tornare a brillare nuovamente, senza sospetti. Le rivoluzioni, alle volte, si fanno al contrario. Rivoluzione non significa sempre stravolgere complessivamente una formula, un impianto, con il rischio di annullare un percorso, una storia: i cambiamenti devono avvenire in ragione di quello che si è detto ed è stato.

Durante uno dei concerti del tuo ultimo tour, lo scorso dicembre, hai detto - parlando delle canzoni: "Non c'è nulla di leggero. Una delle grandi possibilità che abbiamo noi che facciamo musica è quella di poter raccontare tutto: senza censure, falsi moralismi o pietismi". Ma la canzone può essere ancora considerata una forma d'arte in grado di smuovere le coscienze e far riflettere?
Sì, questo lo ritengo possibile, soprattutto per la facilità con cui viaggia la canzone, che non trova ostacoli e barriere. Ma ci sono due punti importanti da sottolineare: la canzone italiana viene suonata molto poco in Italia, al contrario delle canzoni straniere, che invece si impongono con una facilità estrema; e poi anche il fatto che la canzone, in questo momento storico, si trova spaesata, nel senso che c'è un movimento delicato di opinioni e proponimenti, per cui credo sia più importante agire, risolvere i problemi con la nostra volontà e il nostro intervento personale. Comunque penso che cantautori come Bob Dylan, Leonard Cohen, ma anche Giorgio Gaber e tanti altri, siano di un'attualità spaventosa: con i loro messaggi hanno anticipato i tempi. Essere attuale è la prerogativa che rende la canzone unica e eterna.

A proposito di cantautori: nonostante tu sia riuscito a raccontare con le tue canzoni tematiche importanti come la droga, l'aborto, il sesso, le periferie, spesso quando si nominano i grandi cantautori italiani il tuo nome non è sempre tra i primi citati. Che idea ti sei fatto di questa cosa?
Sostanzialmente, è cambiato l'interlocutore. Una volta dialogavamo con dj, giornalisti, addetti ai lavori: gente che aveva una consapevolezza diversa, che era cosciente che la musica italiana era, legittimamente, uno strumento da divulgare.

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E adesso, invece?
Adesso o qualcuno ha perso la memoria, oppure c'è la volontà di lasciare il popolo al buio dell'informazione e della cultura più in generale, perché alla fine anche la musica è cultura. Ne hanno paura? Hanno paura che Renato Zero, dopo aver stimolato il pubblico per tanto tempo, lo costringa a scendere in piazza?

Il Ministro Dario Franceschini, qualche giorno fa, ha detto che i testi dei cantautori andrebbero insegnati nelle scuole perché sono una forma d'arte. Cosa ne pensi?
Si è detto tante volte, in realtà: io stesso, qualche anno fa, fui convocato perché i miei testi venivano sottoposti all'attenzione degli studenti in una scuola di Roma, e questo suscitò un certo interesse anche da parte di altri istituti. In effetti, il linguaggio della canzone ha questa funzione molto immediata di rapportarsi alla realtà e anche alle esigenze di chi ascolta, e quindi deve essere considerata una forma d'arte anche quella.

Tornando al disco: oltre alle nuove canzoni, c'è una rivisitazione in chiave orchestrale di "Infiniti treni", una canzone del 1986. Se la tua carriera fosse un viaggio in treno, questo disco sarebbe una stazione o la destinazione?
Direi che rappresenta ancora una stazione. Una stazione comunque significativa, perché questo è un momento importante del mio viaggio: da qui potrò decidere di prendere una coincidenza per un'altra esperienza che mi auguro possa essere comunque stimolante come questa di "Zerovskij".

di Mattia Marzi