MUSICA




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Patti Smith: “Spero di diventare molto vecchia. Ho visto troppi amici morire”


Si sarà anche sporcata le mani passando fra le ruggini punk e new wave degli Anni 70, ma Patti Smith conserva un animo da fricchettona se cambia il senso a un inno al nichilismo come My Generation, mutando «Hope I die before I get old», spero di morire prima di invecchiare, in «Hope I live before I get old», spero di vivere prima di invecchiare. «Quando la canto cambio le parole perché spero di diventare molto vecchia. Ho tanti amici che sono morti troppo presto».

La signora del rock, spiccia e decisa nelle risposte, affronta qualsiasi argomento con l’imperturbabilità di chi ha capito qual è la chiave, e quando le chiedono della sua spiritualità si definisce senza tentennare «una classica cattolica». Per poi aggiungere: «Per me la spiritualità è nella sintonia con la natura, Dio è dappertutto. Non abbraccio il dogma nella sua interezza, ma sono molto affascinata dal cattolicesimo anche per l’arte che ha generato. La cosa più importante è che la fede tende a unirci, ci fa amare l’un l’altro. Se segui questi principi stai bene e sei buono. La gratitudine è fondamentale e io sono riconoscente ogni giorno, per il pane, per i miei figli».

Tra il Papa e il Dalai Lama
Il Papa e il Dalai Lama punteggiano il discorso come referenti di una visione della vita impregnata di una fede che venne espressa pubblicamente già nel 1978, in occasione della sua prima tournée nel nostro paese, quando dichiarò tutta la sua simpatia per l’allora Papa Albino Luciani.

Fresca di laurea ad honorem in Lettere, con la sua mostra di fotografie, scatti sfocati in un monacale bianco e nero in vendita a tremila euro l’uno, Smith conferma la sua vocazione per la scrittura e parla dei progetti che la terranno impegnata: «Sto scrivendo la sceneggiatura di una serie tratta dal mio libro Just Kids, ma il mio obiettivo principale resta la scrittura di libri, attività su cui mi concentrerò negli anni a venire».

Le chiedono di tratteggiare le differenze fra la scena creativa che l’ha vista fra i protagonisti quarant’anni fa e quella attuale, paragone impietoso che affronta senza infierire: «Allora c’erano molti poeti, molti rocker, e tutti volevamo cambiare il mondo. Essere famosi non ci motivava, eravamo mossi dall’impulso di buttare giù i muri. Adesso hanno il sopravvento la tecnologia e il desiderio di diventare una popstar. Niente di male, intendiamoci. Il mio scopo però è fare qualcosa di nuovo, raggiungere un livello più alto nello stato di coscienza, e per arrivarci servono lavoro duro, esercizio, sacrificio. Se eviti questi passaggi rinunci alla gioia del processo creativo, perché salti i passi necessari».

La questione delle questioni, se in arte sia già stato fatto tutto o se ci sia ancora spazio per qualcosa di radicalmente nuovo, viene affrontata con una diplomazia che non nasconde una certa sensazione di vuoto: «Le tecnologie offrono importanti possibilità, ma si sta ancora cercando, si stanno esplorando modalità e sistemi di espressione. Comunque ci sarà sempre chi avrà nuove idee e nuove visioni, nuova musica. La nostra generazione deve fare un passo indietro rispetto a quella nuova, per vedere cosa sa fare».

Giovedì sera Patti ha suonato qui al Teatro Regio, un assaggio da un’ora e un quarto del concerto di stasera a Torino, accolta dal calore che il pubblico italiano le riserva fin dalla prima apparizione in Italia, quasi quarant’anni or sono, quando, complice la fame arretrata di concerti, riempì gli stadi di Firenze e Bologna. Da allora la abbiamo conosciuta come pittrice, fotografa, poetessa, un’autodidatta che deve la sua educazione a una madre che le insegnò a leggere prima ancora di andare a scuola, ma che non poté permettersi di farle compiere gli studi superiori: «Nel New Jersey del Sud dove sono cresciuta non c’era una biblioteca o una galleria d’arte, era un posto magnifico dove vivere ma da un punto di vista culturale non c’era nulla. Quando ho potuto, sono andata a vedere film svedesi e italiani, La dolce vita, Anna Magnani, il cinema di Godard. Mi sono formata sui libri, leggendo i poeti francesi. La cultura europea per me è stata determinante, ma anche noi vi abbiamo portato John Coltrane e Jackson Pollock. Le foto che ho portato a Parma raccontano questo, sono il testamento del mio amore per la cultura».