MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Lucio Dalla, quelle dieci perle nascoste che lo hanno reso magnifico

di Andrea Silenzi

Nella sua carriera il cantautore di Bologna ha composto tanti capolavori. Ma le piccole tracce, quelle meno note, non sono da meno. Ecco le nostre dieci per riscoprire il mito oltre al mito e raccontare il Lucio-pensiero


“Per essere un vero artista devi essere un po’ sciamano. Il presente è frammentato e devi poter capire dove ci porta. Io ho sempre visto il tempo come un’onda, concepisco il futuro come un’eco che viene dal passato, anzi penso che sia lo spostamento in massa del passato. Non era forse uno sciamano Pasolini? E Fellini?”. A cinque anni dalla sua morte, Lucio Dalla non ha ancora trovato un erede. L’artista forse più irregolare (e più sciamanico) della canzone italiana ha lasciato un patrimonio quasi impossibile da catalogare. Decine di sue canzoni sono dentro la testa di intere generazioni. Altre sono ancora lì che aspettano di essere strofinate per bene per tirare fuori il genio che le abita. Quelli che seguono sono dieci pezzetti del Lucio-pensiero, da rimettere insieme a quelli che già occupano da tempo lo spazio del cuore.



Occhi di ragazza (1970)
Quasi tutti la ricordano cantata da Gianni Morandi, ma la scrisse Lucio insieme a Bardotti e Baldazzi. Era stata pensata per Ron, che doveva portarla a Sanremo, ma la commissione esaminatrice la bocciò. Lucio inserì la sua versione in Terra di Gaibola, e oggi suona più potente di quella del suo amico Gianni. Niente scat, niente pazzie vocali, ma un malinconico sguardo sull’amore che viene e un attimo dopo se ne va. Un tema già affrontato, in modo più colorato, in Paff …bum.

Un uomo come me (1971)
Un arrangiamento insolito, un po’ folk e un po’ orchestrale. Il tema è simile a quello di Piazza grande, ma con un anno di anticipo (1971, l’album è Storie di casa mia). Un solitario un po’ bohémien che a volte dorme sul prato, che parla poco e regala solo fiori colti dai campi. Uno che ha “un lupo dentro il cuore/ tu lo senti gridare ma non credi all’amore”. Nel 2016 l’ha ricantata Colapesce.

La borsa valori (1975)
L’incontro con il poeta Roberto Roversi inaugurò la seconda fase della carriera di Lucio. Sperimentazioni, impegno civile e arrangiamenti all’avanguardia. La borsa valori era uno dei brani guida dell’album Anidride solforosa: si parla di ambientalismo, di anticapitalismo, ma quello che risalta a distanza di decenni è la voglia continua di giocare tra canto e musica.

Due ragazzi (1976)
Il brano che chiudeva Automobili, il disco scritto con Roversi sull’epopea dell’auto. Velocità, mitologia, decadenza: slanci poetici messi in fila giusto un secondo prima della crisi dell’industria. Due ragazzi affronta il tema in senso positivo (una scocca in demolizione è il rifugio dei due innamorati): due canzoni in una e uno sguardo cinematografico che anticipa di qualche anno il capolavoro Anna e Marco.

Corso Buenos Aires (1977)
Com’è profondo il mare era il disco dell’ennesima svolta: Lucio iniziò a scrivere testi e musica e trascinò tutti in un flusso di coscienza inedito, colto, lucidissimo. Questo è un brano veloce e pieno di ironia, molto legato al suo passato. E con un tema per niente banale: un padre e un figlio, con il loro cane, che decidono di abbandonare Milano e di tornare a casa loro al Sud perché sopraffatti dal delirio metropolitano.

Meri Luis (1980)
Per Lucio, questa era la canzone più importante da lui mai scritta. Un po’ oscurata da altri brani che negli anni in cui Lucio era il n.1 per distacco riempivano radio, stereo e automobili. Ma è la canzone perfetta per capire il Dalla ‘sceneggiatore’, capace di fotografare una scena piena di miserie umane trasformandola in un inno alla vita. Con una musica irresistibile. L’ha ricantata con Mengoni nel 2011.

Washington (1984)
Due piloti d’aereo, uno giapponese e uno americano, diretti uno contro l’altro dopo essere sopravvissuti all’esplosione di un’atomica. L’assurdità dei conflitti raccontata in chiave dance: “Volevo far ballare in discoteca una canzone dai contenuti drammatici”. L’episodio più accattivante di un disco come Viaggi organizzati, tutto virato sulla nuova ossessione telematico fantascientifica di Lucio, ennesima intuizione sul futuro prossimo.

Tania del circo (1985)
Un brano strumentale, con Lucio al sax e Franco D’Andrea al piano. Un gesto d’amore verso il jazz: per una volta nessun salto in avanti, nessun colpo di genio. Pura passione, trasformata in musica di alto livello. Dall’album Bugie.

Comunista (1990)
“Canto l’uomo che è morto/ non il Dio che è risorto”, intonava Lucio sul fortunatissimo album Cambio (quello di Attenti al lupo). Con un testo di Roberto Roversi, una canzone contro la guerra all’indomani del crollo del Muro e della fine delle ideologie.

Ciao (1999)
Ha avuto un buon successo, anche grazie al video che accompagnava, e dunque suona già familiare. Ma riascoltata oggi, nella sua apparente immediatezza, colpisce per il suo rap lucido e fuori schema che racconta di migranti (allora erano albanesi e kosovari), di qualunquismo da spiaggia, di “lampi in mezzo al cielo” che sembrano una terribile premonizione delle Torri Gemelle. Leggera ma apocalittica. Orecchiabile e disperata.