MUSICA




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MUSICA
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17 gennaio 1967, cinquant'anni fa: "A day in the life"


Il 17 gennaio di 50 anni fa è un giorno di assoluta ordinarietà che ha avuto la fortuna di incrociare sul suo percorso il genio ispirato di John Lennon, che ha trasformato un giorno qualsiasi in "A Day in the Life".



Nella produzione dei Beatles, "A Day in the Life" è uno dei brani che meritano più attenzione, per vari motivi. Per dare un’idea di cosa stiamo parlando, prima ancora di andarvela ad ascoltare, considerate che Ian MacDonald, giornalista britannico considerato uno dei più accreditati studiosi di Beatles, definisce "A Day in the Life" il miglior singolo brano nella carriera dei quattro. Ed è difficile non essere d’accordo con lui. "A Day in the Life" è anche il primo brano scritto e inciso per il "Sgt. Pepper’s", album considerato una pietra miliare nella storia del rock, di cui finirà per diventare l’epica conclusione (a chi osservasse che in realtà "When I'm sixty-four" è stata registrata prima di "A day in the life", tocca rispondere che "When I'm sixty-four" non era stata pensata "per" l'album; lo erano state, invece, sia "Strawberry Fields forever" sia "Penny Lane", che poi finirono su un singolo pubblicato per pressioni della EMI).


Ma torniamo al 17 gennaio del 1967. I Beatles sono in piena fase creativa. L’uso di droghe – in particolare dell’LSD – è ormai una pratica consolidata per i quattro, con risultati che si riflettono nella loro produzione musicale. Lennon è seduto al pianoforte con una copia del "Daily Mail" in mano. La sua attenzione viene catturata da una notizia che riguarda la morte di Tara Browne, avvenuta un mese prima, il 18 di dicembre.

Ma chi è Tara Browne, e perché Lennon lo conosce? 21 anni, milionario erede della famiglia Guinness e figlio di Lord Oranmoore and Browne, Tara Browne era uno dei protagonisti della vita notturna di Londra in quegli anni. Soldi tendenti a infinito, gioventù, bellezza angelica, eccentricità e acido lisergico a piene mani. Nel marzo del 1966 organizza un party per il suo ventunesimo compleanno nella tenuta di famiglia a Luggala in Irlanda (nella quale tenuta – per dare l’idea di cosa stiamo parlando – anni dopo si gireranno alcune scene di Braveheart) e vi fa confluire con due jet privati da Londra i suoi 200 ospiti. Nonostante la giovanissima età Tara aveva già un matrimonio fallito alle spalle e due figli. Ma tutto ciò non era bastato a fargli mettere la testa a posto. E così, tra un noioso week-end prenatalizio in famiglia nella magione di Luggala e la Swinging London, Tara opta per la seconda soluzione; passa la giornata di sabato 17 dicembre in compagnia del Rolling Stone Brian Jones, e la sera esce con la modella diciannovenne Suki Potier. Attorno all’una di notte i due lasciano la casa di amici a Earls Court e tornano a casa. Tara è al volante della sua nuovissima (e costosissima) Lotus Elan azzurra dipinta a mano, e viaggia ad alta velocità su Redcliff Gardens, a South Kensington. Arrivato all’altezza di Redcliff Square si accorge solo all’ultimo di una Volkswagen che sbuca da una strada laterale e per evitare l’impatto sterza e va a sbattere contro un furgone bianco parcheggiato a bordo strada. Per il biondo erede della famiglia Guinness non c’è nulla da fare. A Suki Potier va meglio: il destino (e la sterzata di Tara) le salva la vita e le concede altri 15 anni prima di portarsela via in un altro incidente stradale, nel 1981 in Portogallo. In questo tempo supplementare avrà l’occasione, il piacere e il dolore di essere per due anni compagna di un Brian Jones lanciato verso l’autodistruzione.

Torniamo a "A Day in the Life" e in particolare alle sue prime due strofe, che recitano:

I read the news today, oh boy
About a lucky man who made the grade
And though the news was rather sad
Well I just had to laugh, I saw the photograph

He blew his mind out in a car
He didn’t notice that the lights had changed
A crowd of people stood and stared
They’d seen his face before
Nobody was really sure
If he was from the House of Lords
L’uomo fortunato giunto a destinazione, o se preferite al capolinea, di cui Lennon scrive di avere letto nelle notizie di quel giorno è dunque Tara Browne. E il giorno è il 17 gennaio del 1967, quando il "Daily Mail" pubblica nella sua rubrica di notizie in breve “Far and near” le conclusioni del coroner sull’incidente.
La notizia è certamente triste (oggettivamente in sé, e ancor di più visto che John conosceva il protagonista) ma Lennon non può far altro che ridere. Questa surreale schizofrenia può essere letta come conseguenza e rappresentazione del distacco dalla realtà e dello straniamento che Lennon stava sperimentando grazie all’uso degli allucinogeni.
Il fatto che gli fosse saltato il cervello in macchina può essere un’allusione al fatto che il giovane milionario potesse essere strafatto al momento dell’incidente (ma non è così: l’autopsia determinò che Tara non era sotto effetto di stupefacenti al momento della morte), o semplicemente un riferimento al referto del medico legale che parlava di “morte a seguito di lacerazioni del cervello conseguenti alla frattura del cranio”.
Il riferimento all'appartenenza alla Camera dei Lord è di nuovo un indizio piuttosto esplicito, visto che il padre di Tara Browne – Lord Dominick Browne - era proprio membro della camera alta britannica.

La lettura del "Daily Mail" del 17 gennaio 1967 non fornisce a Lennon ispirazione solo per le prime due strofe di "A Day in the Life", ma anche per quella conclusiva:

I read the news today, oh boy
Four thousand holes in Blackburn, Lancashire
And though the holes were rather small
They had to count them all
Now thy know how many holes it takes to fill the Albert Hall
I’d love to turn you on
Tra le notizie in breve di quella storica edizione del quotidiano britannico ce n’è una che parla della dissestata situazione delle strade nella città di Blackburn, nella contea del Lancashire. L’articolo si dilungava in una serie di considerazioni partendo del dato di fatto delle 4mila buche nelle strade della cittadina britannica, calcolando esserci “un ventiseiesimo di buca per ciascun cittadino di Blackburn” e quindi – per estrapolazione – più di 2 milioni di buche sulle strade britanniche, 300 mila delle quali a Londra. Questa (onestamente bizzarra) conta delle buche britanniche a partire da quelle di una singola città deve aver stimolato la fantasia e il sarcasmo di Lennon, che sembra suggestionato dal fatto che ci sia stato qualcuno che si è preso la briga di contarle una per una per poi fare una redistribuzione pro capite, sistema che permetterebbe persino di determinare quante buche possono riempire la Royal Albert Hall, la sala concerti di South Kensington. Quest’ultimo passaggio – dal punto di vista lessicale un po’ forzato – in realtà è stato suggerito a Lennon; John aveva in testa il verso “now they know how many holes it takes” e la sua conclusione con “Albert Hall”, ma gli mancava la parola che unisse le due parti. Fu Terry Doran – in affari con il manager dei quattro, Brian Epstein, diventato poi amico-factotum in particolare di John e George del quale più tardi sarà persino assistente personale – a suggerire il verbo “fill in” (riempire). Il verso nel suo complesso non aveva un senso chiarissimo ("Ora sanno quanti buchi servono per riempire la Albert Hall"), o – se preferite – poteva averne molteplici. Il ché piacque molto a Lennon che lo introdusse definitivamente nel testo.

C’è un’altra curiosità che riguarda questo verso. Nel 2015 si sono svolti dei lavori nei sotterranei della Royal Albert Hall per la sistemazione dell’impianto di riscaldamento. Per fare ciò si è messo mano a un archivio di carte dimenticate, tra le quali è spuntata una lettera scritta a Brian Epstein da Ernest O’Follipar, direttore della Albert Hall nel 1967. Epstein si era preoccupato di mandare una copia del "Sgt. Pepper's" a O’Follipar, sottolineando il fatto che i Beatles avevano citato in un loro brano il famoso teatro londinese.

La risposta di O’Follipar fu però del tutto piccata. Il direttore della Albert Hall evidenzia in particolare tre punti, dal suo punto di vista del tutto errati e inopportuni:

1) Si sostiene che vi sono 4 mila buchi nella Royal Albert Hall
2) Si sostiene che la Royal Albert Hall è a Blackburn, Lancashire
3) Il cantante vorrebbe eccitare la Royal Albert Hall ("I'd like to turn you on", dice il verso successivo)

Il punto dei 4mila buchi, in particolare, per O’Follipar è inaccettabile: “L’infondata affermazione che ci sono 4mila buchi nel nostro auditorium ci danneggia in quanto potrebbe allontanare i possibili spettatori dei nostri concerti, che di certo non vogliono correre il rischio di cadere in un buco”.
Il direttore della Albert Hall non solo diffida Brian Epstein dal pubblicare la canzone, ma si spinge ben oltre, suggerendo due possibili modifiche al testo di Lennon.

La prima:

I read the news today oh boy
Another fine Proms season just announced
And though the concerts can get full
You must attend them all
Just to go to a concert at the truly magic Albert Hall
Oppure più semplicemente fare in modo che un altro membro della band (possibilmente – non si sa bene perché – Ringo) faccia un controcanto per rispondere alla bugia di Lennon, il cui risultato sarebbe dovuto essere:

John: "Now they know how many holes it takes to fill the Albert Hall"
Ringo: "Not that there are any holes in the auditorium, John"

A una lettera così surreale si prese la briga di rispondere Lennon in persona. In puro stile Lennon…

Caro Principe Albert e amici,
Grazie per la vostra lettera. Siamo contenti che vi sia piaciuto il disco, sentitevi pure liberi di tenerlo.
Non cambieremo il testo della canzone, perché ci piace così com’è.
E non ci verremo a scusare perché ci vuole troppo tempo per arrivare a Blackburn dai nostri studi di Abbey Road.
Sinceramente vostro
John Lennon
A questa risposta il consiglio della Royal Albert Hall rispose con la decisione di bandire per sempre l’esecuzione di "A Day in the Life" nel nobile auditorium londinese. Il bando fu violato per la prima volta dai Milli Vanilli, che eseguirono "A Day in the Life" insieme a Jeff Lynne e a PJ Harvey in un loro concerto del 1989.
Diego Antonelli


Diego Antonelli, oggi Responsabile Web nella Direzione Editoriale per l'Offerta Informativa della RAI, è un collega e amico di lunga data col quale ho avuto il piacere di collaborare tantissimi anni fa. Ospito con grande piacere questo suo contributo su un argomento che appassiona entrambi. (fz)