MUSICA




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MUSICA
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Otis Redding, 49 anni fa moriva il Re del Soul


James Brown, nella sua autobiografia, sostiene di avergli sconsigliato di muoversi in aereo tra una tappa e l'altra del tour. Specie se la destinazione è il Wisconsin, dove di inverno fa freddo e il tempo è brutto, un po' come in Iowa, dove - solo otto anni prima, in febbraio, nei pressi di Mason City - il Beechcraft Bonanza con a bordo Ritchie Valens, Buddy Holly e J. P. Richardson si schiantò in quello che Don McLean prima e l'America tutta dopò avrebbe ricordato come "the day that music die". Per un brutto scherzo del destino la vita di Otis Redding, la stella più lucente del soul e del rhythm and blues a stelle e strisce, finirà allo stesso modo, a Madison, in Wisconsin, il 10 dicembre 1967, dove sempre un Beechcraft - a pochi minuti dall'atterraggio - si schianterà mettendo fine alla carriera di uno dei più influenti ambasciatori della musica afroamericana nel mondo.

La storia dell'uomo che avrebbe modellato il sound della Stax diventando non solo un performer immortale ma anche uno dei produttori e talent scout più influenti della sua generazione è simile a quella di molti altri grandi di una discografia che non c'è più: prima la gavetta a cottimo alle dipendenze di Little Richard e Johnny Jenkins, poi la fama, quella vera, con canzoni prima salite in vetta alle classifiche di vendita e poi entrate di diritto nel patrimonio culturale dell'occidente.