MUSICA




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Perché la musica pop italiana è diventata una schifezza


La qualità media dei successi dell’estate è bassissima: il pop italiano è crollato con l’arrivo delle televisioni commerciali, dei loro slogan e delle loro gag. Hanno imposto una cultura della mimesi della realtà anziché della sua critica
di Michele Monina

23 Agosto 2016 - 11:59

Partiamo dalla fine. Questo è un modo di dire, e un incipit a effetto. Ma nello specifico è un incipit molto molto concreto. Partiamo davvero dalla fine. Parlando di pop potrei dire che stiamo partendo, quindi, dall'oggi, ma in realtà partiamo dalla fine di un interessante articolo di Piero Negri uscito su La Stampa. Un articolo che ha per titolo L'estate in cui sparì la nostra canzone pop e che si chiude con una affermazione da cui vorrei partire.

Nell'articolo, la faccio breve, Negri sostiene che lo stato attuale della canzone pop versa ai minimi storici e prende a esempio le canzoni che stanno girando questa estate, nella quasi totalità robaccia. E Negri sostiene questo anche a partire da una chiacchierata fatta col musicologo Gianfranco Salvatore, che chiosa con qualcosa che suona come "la musica pop è lo specchio di una società e una società in crisi non può che avere una musica di merda".

No, va bene, di musica di merda, esplicitamente, il professore non parla, ma il succo è un po' questo. E potremmo anche essere tutti d'accordo. Il problema è, ci dice Salvatore, che manca un immaginario di riferimento capace di fare benzina per il motore della musica. Anche questo, a essere onesti, Salvatore non lo dice, non con queste parole, ma il problema, credo io, che da quell'articolo vorrei partire per un mio ragionamento, sta tutto lì. Se Salvatore, per parlarci dell'oggi, torna indietro di cinquant'anni, quando i Beatles con Revolver salvarono il pop, io vorrei partire un po' più vicino a noi, agli anni settanta, alla nascita delle televisioni private. Seguitemi senza star lì a fare troppe domande, che se no perdo il filo.

Con l'ingresso delle televisioni private, le tv commerciali, il nostro immaginario ha avuto una overdose di input, una quantità praticamente infinita di materiali che sono entrati a gamba tesa nella nostra vita, cominciando una caduta verso il basso inesorabile. Fermi tutti, nessuno intende dire roba tipo, prima si stava meglio o altre facezie del genere. Sto constatando amichevolmente un fatto, di colpo abbiamo avuto un'overdose di input e abbiamo faticato non tanto a metabolizzarli quanto a decifrarli. Ne siamo sostanzialmente stati invasi, con la stessa modalità con cui l'acqua si infiltra da un tubo in casa. Il tubo si rompe di notte, noi non ce ne accorgiamo, e quando poi la mattina ci alziamo e scendiamo dal letto, ci arriva alle caviglie. Risultato, il soffitto dell'appartamento di sotto è da buttare, i mobili sono rovinati e via discorrendo.

Noi ci siamo addormentati che esisteva sì tanta brutta musica pop, ma c'era anche musica pop che flirtava col cantautorato, che provava a farsi grande, e ci siamo svegliati in un contesto in cui la musica pop è se possibile ancora più brutta, tutta uguale a se stessa, e la musica colta è diventata praticamente irrilevante, a livello di numeri e anche di incidenza sulla nostra cultura. Uno come Mengoni, per dire, che è un interprete anche piuttosto banale, passa per cantautore in virtù di non si sa bene cosa. Non a caso va di gran moda nelle aree frequentate dal l'intellighenzia citare gente come Calcutta, simpatico e tutto, ma sicuramente non un autore in grado di regalarci altro che non siano canzonette buone per una stagione. Il pop ha perso ogni aspirazione a evolversi, a essere quindi contemporaneo, finendo per essere la brutta copia di cosa girava un paio di anni fa altrove. Un immaginario di seconda mano, quindi. Da un punto di vista formale e testuale.

Ecco, i Fedez, i Rovazzi, ma anche tutti i tanti figli dei talent, interpreti senza anima di brani scritti tutti dagli stessi autori privi di un piglio degno di nota, sono i figli del Claudio Lippi del Pranzo è servito
Cioè, uno sente Vorrei ma non posto, per dire, canzone che doveva essere il tormentone dell'estate e si trova di fronte a due problemi, entrambi ben evidenziati dal professore Salvatore, che però accademicamente non fa nomi. Primo problema, il testo non ci spiega il mondo. Il testo, infatti, a parte l'essere sostanzialmente brutto, è una accozzaglia di luoghi comuni rovesciati, che vorrebbero fustigare la società ma che, essendo partoriti dalle testoline di Fedez e J-Ax, che della nostra società sono campioni non certo outsider, diventano in realtà poco più che didascalie. Per questo il brano ha attecchito presso un pubblico di bambini, ma non è stato il vero tormentone dell'estate, sorte toccata invece a un altro prodotto che parte sempre dal Gatto e la Volpe, Andiamo a comandare del buon Rovazzi. Anche qui il giochino è sempre il medesimo, si prendono luoghi comuni e li si ribaltano, ma stavolta il gioco è stato fatto in maniera più grossolana, volutamente, e quindi anche i bambini, utilizzatori finali del tutto, hanno potuto apprezzare.

J Ax e Fedez, quindi, che avevano provato il colpaccio con una canzone che faceva il verso al mondo dei social hanno poi sbancato, con la loro Newtopia e Rovazzi, con un brano il cui punto di forza è stato appunto il titolo che era un potente hashtag. E qui sta appunto il secondo problema di Vorrei ma non posto e delle altre canzoni prese in considerazione, non ci spiegano il mondo neanche da un punto di vista formale, si limitano a rappresentarlo. Questo è lo stato attuale delle cose, rincorrere non una mimesi col contemporaneo, ma con l'appiattimento del suo linguaggio.

Con l'ingresso delle televisioni private, le tv commerciali, il nostro immaginario ha avuto una overdose di input, una quantità praticamente infinita di materiali che sono entrati a gamba tesa nella nostra vita, cominciando una caduta verso il basso inesorabile.
Del resto, piuttosto clamoroso è anche il caso di un altro brano che avrebbe dovuto diventare un tormentone nel 2016, Cult di Emis Killa. Il rapper di Vimercate, infatti, veniva da una buona prestazione televisiva a The Voice e aveva quindi tutte le carte in tavola per andare a fare cassa. Però ha proposto un brano che è il remake impoverito, sempre da un punto di vista di immaginario e di poetica, de Gli anni di Max Pezzali. Un "come eravamo" in salsa odierna. E già il confronto tra i due titoli dice tutto, il cantatore pavese ha citato il passare del tempo, Emis Killa una parola buona per un hashtag, facile da diventare slogan. E qui torniamo all'inflitrazione dell'acqua di cui sopra, quella dell'immaginario grossolano e impoverito passatoci quotidianamente dalle televisioni commerciali. Un'infiltrazione, quella, che ci ha velocemente portato dalle gag dei varietà ai tormentoni, sempre li, di Drive In, fino a quelli di Zelig. Ripetizione ossessiva di singole parole, hashtag prima che gli hashtag esistessero. Deprivazione di immaginari più ricchi, alternativi. Trash, il trash decifrato da Tommaso Labranca già venti anni fa, spacciato per pop.

Ecco, i Fedez, i Rovazzi, ma anche tutti i tanti figli dei talent, interpreti senza anima di brani scritti tutti dagli stessi autori privi di un piglio degno di nota, sono i figli del Claudio Lippi del Pranzo è servito, del Paninaro di Enzo Braschi, del "Sei connesso" del tizio pugliese dei primi Zelig di cui, grazie a Dio, non ricordo più il nome. Questo bombardamento di input insipidì ci ha instupidito, impoverito e oggi non sappiamo produrre altro che opere stupide e povere. Simuliamo, laddove dovremmo irridere, o almeno additare. Spuntano ovunque parodie, e parodie di parodie, ma mancano le matrici, vediamo solo caricature ma mai gli originali.

Non sappiamo quindi, e non può saperlo né Piero Negri né il professor Salvatore, se questa è l'estate che sancisce il canto del cigno, toh, del Cigno nero della nostra canzone pop, ma sicuramente è una estate che fotografa un panorama brutto e senza neanche il beneficio di un bel paio di piedi lì, a far bella mostra di loro.