MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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Renzo Arbore: «Tutto il mondo ci invidia l’arte ma non la politica»

Settantanove anni, eppure la sua vita è . on the road. Pare che lui si rifornisca in volo, come l’Air Force One. Altroché passeggiatine e una scala quaranta con gli amici al bar. Arbore non contempla parole utili ai mortali tipo villeggiatura, riposo, adesso stacco un po’.
Fende le onde, sale e scende le scalette degli aerei assieme ai fantastici sedici dell’Orchestra Italiana, ormai gruppo venticinquenne. «Se scavo nella cassapanca vien fuori un concerto a Palmanova, città singolare. E ricordo pure l’abbraccio all’amica Giannola Nonino, donna straordinaria».
Be’, il ritorno friulano è imminente. Lunedì 22 lo showman (è molto di più di un uomo da intrattenimento, ma la sintesi è necessaria) col gruppo suo sarà all’Alpe Adria di Lignano, una delle tante toccate e fuga sul suolo d’Italy.
«Veniamo da un tour mondiale: Germania Canada, Mosca, Washington e tanta Penisola setacciata con cura. Il problema è che la gente si aspetta da me non soltanto una schitarrata e via, bensì uno spettacolo dinamico conformato sui miei televisivi del tempo andato. Già la crisi ha selezionato le platee e, prima di spendere, uno giustamente ci pensa. Se viene, ecco, devo ricambiarlo al meglio. Non crede?».
- Basta la parola, diceva Tino Scotti nel Carosello. E con Arbore vai sul sicuro.
«Noi risaliamo dal passato e siamo abituati a badare alla qualità non alla quantità. Oggi gli italiani pregano il dio numero, fregandosene di far bene. Bello non significa per forza apprezzato. Anzi, spesso è il contrario».
- Da buon globetrotter qual è, ci dica che pensa il mondo di noi.
«Ah, guardi, si divide. Tutti sanno quanta arte è passata da qui e quanta ne passa. Cinema, moda, cucina, scultura, pittura, teatro, musica. È un marchio di valore. Chiunque lo conosce e l’apprezza. Però, appena abbandoniamo l’Olimpo, le cose peggiorano sensibilmente. La politica è materia oscura, piuttosto maltrattata. In casa e fuori. La stima precipita subito».
- Lei è stato un rivoluzionario. Scriveva Camus: “Cos’è un uomo in rivolta. È un uomo che dice no”. Quanti ne ha detti di no?
«Facendo questo mestiere i no, spesso, ti arrivano in faccia. Poi dipende dalle idee che sforni. Le mie, ammetto, erano un tantino coraggiose per l’epoca. Qualcuno ci credeva e sono andato avanti così, piccoli passi e molti rischi. Speciale per voi, il primo talk show della storia della tv, Costanzo e Vespa ancora non esistevano, durò quel che durò, poi la Rai lo affondò. La libertà faceva paura. E in quello studio ce n’era tanta».
- Adesso chi si prende la briga di marciare contro il sistema?
«A quanto pare nessuno. L’importante è galleggiare, fregando i salvagenti agli altri».
- L’altra domenica fu, a suo modo, una spada nel fianco della monotonia Rai.
«Scrivendolo non pensavamo alla massa, né a far man bassa di share. Eravamo preoccupati di innovare con intelligenza, per quanto potevamo. Magari un’élite l’avremmo avuta dalla nostra parte. E, in realtà, creammo un buon motivo per mettere in campo il primo rotocalco della televisione, Domenica in».
- E siamo ancora in zona mito: 1985, Quelli della notte. Partenza diesel, quasi nascosto in seconda serata inoltrata, poi...
«Se non ci fosse stato Minoli, forse non l’avrei fatto. Ne parlai con lui e, nonostante la follia del progetto, Gianni annuiva mentre tentavo di spiegargli il senso di quel guazzabuglio di uomini e idee. Ancora oggi appena accenno con l’Orchestra “Ma la notte no” vien giù il teatro».
- A quanto si sa, di vittorie ne ha affastellate tantissime. Dalle radiofoniche Bandiera gialla e Alto Gradimento alle televisive Indietro Tutta e Doc. Esiste una scon*****?
«Una sì. Con Rai International. L’intenzione era quella di raggiungere gli italiani all’estero, facendoli sentire meno soli. In quel momento furoreggiavano i dalemiani, mentre noi eravamo visti come veltroniani. E finì male. Colpa della politica».
- E l’attuale Penisola renziana?
«Guardi, meglio tacere. Aspettiamo settembre e vedremo come andrà a finire. Avendo studiato giurisprudenza e, di conseguenza, il diritto costituzionale, ho una mia idea in proposito e non campata in aria. Se permette, me la tengo».
- La Tv avrebbe bisogno di Arbore, lo sa questo?
«Amen, io sto bene sul web. Se usato bene, ragazzi, capito?, è potente ed efficace. E per non farmi mancare alcunché, ho inciso un brano per i settant’anni di Fausto Leali».
- Una delle sue cento e passa scoperte.
«Più o meno. Da Battisti a Dalla, ricordando Baglioni, Daniele, De Andrè, Vasco Rossi... Basta, va’, devo fare il check-in. Mi perdoni. È stato un piacere. Arrivederci, a presto».