MUSICA




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Ovazioni per Muti, grande commozione tornare alla Scala


"Bentornato a casa!": fra le ovazioni di un Piermarini gremito e in piedi un urlo si leva dai palchi non appena Riccardo Muti rimette piede sul proscenio della Scala dopo tanti anni di assenza, e così l'incontro organizzato questa sera per inaugurare la mostra a lui dedicata diventa un appuntamento storico. L'esposizione al Museo Teatrale della Scala aperta fino al 15 ottobre ripercorre i 19 anni della direzione artistica di Muti (1986-2005), in previsione del suo 75/o compleanno, fra racconti e immagini che descrivono momenti memorabili e la particolare empatia con autori come Mozart e Verdi. Non a caso sono due quartetti e un quintetto di questi ultimi, eseguiti dal Quartetto d'archi della Scala, a fare da colonna sonora a una serata in cui è stato lo stesso Muti a ripercorrere ricordi e pensieri: "Il ritorno in questa sala è motivo di grande commozione, anche se sono uno di quelli che non mostra i suoi sentimenti: nel bene o nel male ho dato tanto alla Scala, alla città e quindi all'Italia". Ma per il maestro la battaglia per la musica non finisce: "In questo paese si fa spreco della parola cultura. In Corea ci sono 30 orchestre sinfoniche, mentre da noi alcune regioni non hanno neppure un teatro: è vergognoso per il paese che ha creato l'opera, la musica da camera, la terminologia musicale". La responsabilità che sente Muti è verso il repertorio italiano, quello meno popolare da riscoprire con orgoglio e quello classico da proteggere: "Il modo in cui si suona Verdi in certi grandi teatri internazionali che prendiamo a modello fa ribrezzo, un massacro orrendo. Va difesa una certa verdianità, un'italianità della sua espressione capace di dire molto in poche note che viene scambiato per rozzezza". Fra aneddoti della sua carriera, dall'emozione per il ritorno della Traviata dopo 26 anni di assenza al dibattito che seguì alla rottura dell'etichetta toscaniniana quando eseguì il bis del 'Va, pensiero', il maestro snocciola anche ricordi divertenti e battute, arrivando a sferzare in modo satirico le idiosincrasie dei critici musicali: "Quando uno è presentato come un intenditore, stategli lontano! La musica è un rapimento, non una comprensione. Non bisogna fare terrorismo contro il pubblico innocente: lasciatelo venire a teatro come andrebbe al cinema, questa è cultura". Uno strale è riservato anche all'abitudine di studiare direzione: "Che significa? Per dirigere bisogna studiare composizione, conoscere il teatro, non imparare una gestualità". Grazie a immagini di repertorio proiettate sulle quinte si sono ripercorse poi le sue relazioni con registi come Vick, De Simone, Strehler e Ronconi, un'ulteriore occasione per riflettere sulla tradizione di produzione della Scala: "Almeno fino ad Abbado questo teatro ha parlato al mondo, e io ho provato a continuare a farlo: tutti ci guardano, e se non ci impegniamo è l'Italia stessa che perde questo dialogo", ha detto rivolgendosi ad Alexandre Pereira. E dopo le parole del maestro e poco prima della chiusura musicale dell'incontro, durato oltre due ore, è il violoncellista Massimo Polidori a dare voce al pensiero dei presenti: "Il nostro augurio è quello di rivederla dirigere in questo teatro"