MUSICA




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Bob Dylan, con "Fallen Angels" Altri standard da tenero crooner


Negli ultimi due anni, un Bob Dylan irriconoscibile incrocia le vite di chi lo ascolta con un repertorio dell’era che precede il rock, del quale è stato protagonista per mezzo secolo e che ora ha messo sorprendentemente da parte, per stanchezza o per tigna, in favore di una rilettura audace e malinconica dell’American Songbook dei ‘40 e ’50. Il 20 maggio - cinque giorni prima del suo settantacinquesimo compleanno - esce «Fallen Angels», seconda puntata della saga classica iniziata nel 2015 con «Shadows in the Night»: lo ha prodotto con il nome d’arte di Jack Frost, canta accompagnato da arrangiamenti e suoni meravigliosi. La band è la stessa che lo segue nel neverending tour.
E’ un Bob Dylan irriconoscibile perché dedito e chiaro nella pronuncia, attento alla precisione dell’intonazione eppure non immune da qualche toccante incertezza in uno dei dodici titoli, proprio il più conosciuto e accorato, «All the Way» che di Sinatra fu grande standard. Da «Chi lo sa dove la strada ci condurrà» in poi, sembra che la voce cartavetrata, poco funzionale al brano, si spezzi: ma ugualmente prosegue assecondata dalla band, con un effetto di grande pathos. Uguali sentimenti suscita l’elegantissima, rallentata «It Had to Be You».
La tavolozza di sentimenti spiegati nei titoli finge di portarci nei misteri dell’uomo Dylan. L’album si apre con una eloquente «Young at Heart», è fantastica «Melancholy Mood». La lezione è comunque musicale: di come una personalità forte possa mutare i colori di titoli consumati dall’uso, ma qui pronti a rinascere.