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Bob Dylan ritorna sul luogo del delitto: in "Fallen Angels" è ancora Sinatra



Verosimilmente se la ride a leggere i commenti di quelli che si affannano a capire se il titolo del nuovo album ( Fallen angels , in uscita il 20 maggio) è o meno ispirato all'omonimo film di Otto Preminger (1945). Così come di sicuro se la ride di gusto ai commenti dei tanti appassionati che lo sentono cantare da perfetto crooner, con un filo di ironia certo, ma anche notevole passione interpretativa, e si arrabbiano pensando a come di solito distrugge e maltratta le sue canzoni in concerto, come se non sapesse o non volesse più cantare come si deve. Ma è Dylan, a lui non si devono chiedere le cose che normalmente si chiedono agli altri comuni mortali.
Bob Dylan, "The New Basement Tapes"

L’idea è di un veterano col petto pieno di medaglie. Ovvero T-Bone Burnett, chitarrista, autore, arrangiatore e produttore dalla favolosa carriera, che ha deciso di rimetter mano ad uno dei più preziosi tesori nascosti dell’intera storia del rock: i brani che Dylan incise nel Big Pink non lontano da New York con la Band nel 1967. Ci vollero altri otto anni perché quella gemma abbagliante prendesse la forma di un disco, il leggendario "Basement Tapes", per il quale Dylan aveva scritto un oceano di musica, 138 brani. Così Burnett, assoldati Elvis Costello, Marcus Mumford, Jim James, Rhiannon Giddens, Taylor Goldsmith e Johnny Depp, è tornato a quella fonte miracolosa per abbeverarsi di un rock vertiginosamente puro e senza tempo. Il risultato sono le due versioni di "Lost on the River: The New Basement Tapes" che la Harvest ha da poco pubblicato in un box da 15 e uno da 20 brani scelti da quel raro repertorio dylaniano. E intanto la storia riallaccia le sue trame ben oltre le speranze più rosee: da poche settimane infatti, la Columbia ha licenziato "The Basement Tapes Complete: The Bootleg Series vol. 11", che recupera per intero in 6 cd tutti e 139 i brani del colossale capolavoro realizzato dall’Uomo di Duluth e i suoi soci della Band 47 anni fa.



Alcuni indizi sono però piuttosto evidenti, malgrado i suoi depistaggi. Il comunicato ufficiale parla di più generico omaggio alla grande canzone americana, ed è vero, ci sono le canzoni di autori straordinari come Johnny Mercer, Harold Arlen, Sammy Cahn, Jimmy Van Heusen, Hoagy Carmichael, principeschi artigiani che hanno costruito l'epica della cultura musicale americana, ma come nel precedente Shadows in the night , del 2015, si intravede un deliberato tributo alla leggenda di Frank Sinatra, quasi fossero parte prima e seconda di uno stesso progetto.
Video

Impossibile sbagliare, sia perché ben 11 delle 12 canzoni presenti in Fallen angels sono state incise da The Voice (mancherebbe solo Skylark ma c'è mancato poco che incidesse anche quella) e soprattutto ci sono almeno due o tre grandi standard che hanno avuto altre interpretazioni ma più di altri sono legati indissolubilmente alla storia di Sinatra: Young at heart , per dirne una, Come rain or come shine , o ancora All the way, All or nothing at all , difficile prescindere dalla versione incisa da "old blue eyes", per non dire di alcune curiosità come Polka dots and moonbeams , primo hit inciso da Sinatra con l'orchestra di Tommy Dorsey. C'è casomai da notare che il Sinatra riletto da Dylan è quello degli anni d'oro, tra i Quaranta e i Cinquanta, c'è coerenza stilistica, e infatti mancano successi posteriori come Strangers in the night e My way .

I grandi standard della canzone jazz: è questa l'ultima sfida discografica di Bob Dylan, giunta ormai al capitolo numero 36. Il 3 febbraio uscirà il suo nuovo album "Shadows in the Night". Il disco conterrà dieci brani prodotti da Jack Frost (pseudonimo spesso usato dalla stesso Dylan) e la scelta è caduta su alcuni storici standard jazz e grandi classici americani come "Autumn Leaves", "I'm a Fool to Want You", "The Night We Called it a Day", "Full Moon and Empty Arms" e "That Lucky Old Sun": tutti brani celeberrimi entrati nel repertorio di grandi artisti come Billie Holiday, Chet Baker e, soprattutto, Frank Sinatra. "Realizzare quest'album è stato un autentico privilegio", ha dichiarato Dylan. "Da tempo volevo fare un disco come questo ma non ho mai avuto il coraggio di avvicinarmi ad arrangiamenti complessi per 30 elementi e adattarli per una band di cinque. Il segreto di queste interpretazioni? Conoscere benissimo i brani. È stato fatto tutto dal vivo, in una sola take, due al massimo. Niente sovraincisioni, niente cabina voce, niente cuffie, niente tracce separate: è stato mixato più o meno come è stato inciso. Non mi sembra assolutamente di aver realizzato delle cover di queste canzoni, ne sono state fatte talmente tante che alcuni brani sono stati sepolti dalle loro stesse cover. Con questo album io e la mia band stiamo fondamentalmente facendo riscoprire queste canzoni".


Ma rimane il piacere sublime di ascoltare Dylan che gioca, con molta serietà, a fare il crooner. Lo fa con zelo da missionario, ma è ovvio che il suo principale obiettivo è spiazzarci, una volta per tutte. Se un tempo credevamo che in musica esistessero degli opposti inavvicinabili, dobbiamo ricrederci. Sulla carta, si parva licet, è come se De Gregori interpretasse Odoardo Spadaro, come se Paoli cantasse Claudio Villa. Avremmo detto che Dylan e Sinatra fossero ai poli opposti di un ideale universo della musica. Ma ascoltare That old black magic , It had to be you , Melancholy mood , reinterpretate da Dylan, fa crollare anche questa certezza. È questo il vero "fallen angel" evocato da Dylan. In musica gli opposti non esistono.