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Chris Cornell agli Arcimboldi di Milano: la recensione


Sei chitarre acustiche allineate sul palco degli Arcimboldi, sotto l’immagine di un cuore rosso fiammante, racchiuso dentro un giroscopio. E’ chiaro fin da subito qual è il Chris Cornell che si presenta dal vivo: non il frontman carismatico (ma un po’ freddo, ultimamente) dei Soundgarden, non lo “sperimentatore” pasticcione di certe uscite soliste (il terribile “Scream”). Ma quello che con la sua voce, una manciata di canzoni e sei corde punta dritta al petto dei suoi fan. Il miglior Chris Cornell degli ultimi anni. Il suo “Songbook tour” viene portato in giro ormai da tempo (nel 2011 è diventato un disco). Ribattezzato “Higher truth tour”, come il disco solista dell’anno scorso, passa in Italia: la data milanese chiude il giro di tre concerti tutti sold-out.
La serata si apre con Fantastic Negrito, personaggio dalla storia affascinante: nato con l’impronunciabile nome di Xavier Dphrepaulezz, negli anni ’90 fu una sorta di “Next big thing”, lanciato dal manager di Prince e messo sotto contratto da Jimmy Iovine in persona alla Interscope. Un solo album (“The X factor”, nel ’96, quando il programma non esisteva ancora) - il successo che non arriva, un incidente e il ritiro dalle scene nell 2007. Si è reinventato l’anno scorso con questo nome, e pubblicherà il suo disco di "debutto” a giugno, “Last days of Oakland”. Definisce la sua musica come “black roots music for everyone” e quando si presenta sul palco esegue, con chitarra e voce e una tastiera, questa sua idea: rispolvera anche classici come “In the pines” di Lead Belly, che qualcuno tra il pubblico riconosce con il suo altro titolo più noto, “Where did you sleep last night” (magari pensando che sia una cover dei Nirvana…). La sala man mano si riempie e all’ultima canzone canta in coro. Artista da seguire, ne riparleremo.

Alle 9 e mezza sale sul palco Cornell, anticipato dal suono di un disco in vinile sul giradischi. Solleva la puntina, imbraccia la chitarra e attacca a parlare, a raccontare il senso del tour. A vederlo, sembra uscito da “Il ritratto di Dorian Gray”: magro, alto capello lungo, è sostanzialmente identico all’icona del grunge di 25 anni fa. Ma all'epoca della furia rock dei primi dischi, pensare che potesse fare un tour acustico era fantascienza. Oggi è una dimensione naturale della sua carriera: e in questo si vede che il tempo è passato, facendolo maturare.

Attacca subito un paio di canzoni soliste (“Before we disappear” e “Can't change me”, dall’esordio solista "Euphoria Mourning"). E poi inizia con l’artiglieria pesante: una versione modificata di “The times they are a’ changing”, a cui aggiunge un “Back” nel ritornello (“uno dei migliori testi di sempre, per questo l’ho cambiato”). E’ la prima di una lunga serie di cover: Led Zeppelin (“Thank you”), Michael Jackson (una “Billie jean” suonata con un arpeggio che sembra uscire da “Nothing else matters” dei Metallica), John Lennon - una “Imagine”, suonata alla Neil Young (nota a margine: seriamente, dovremmo pensare ad una moratoria su questo brano - e su “Hallelujah”, abusatissime entrambi).

E poi c’è il suo repertorio: quello dei Soundgarden, dall’inevitabile “Black hole sun” (cantata in coro) a “Fell on black days”, agli Audioslave (“I am the highaway”), ai Temple Of The Dog, il “supergruppo” formato per celebrare la memoria di Andrew Wood: una spettacolare “Say hello 2 heaven” e “Hunger strike” (a cui manca però il controcanto di Eddie Vedder, che in quel brano fece il suo esordio pubblico).

Il bello dello spettacolo non è solo la varietà di repertorio, ma anche degli arrangiamenti: qualche volta Cornell scende verso il pubblico con chitarra e armonica, usando lo spazio della buca dell’orchestra. Più spesso sta seduto su un uno sgabello, facendosi aiutare dal polistrumentista Brian Gibson, che colora le canzoni con mandolini, violoncello, piano. O usa la pedaliera per mettere in loop suoni e voci, come nello psichedelico finale di “Blow up the outside world” e nella spettacolare versione di “A day in the life” che chiude il set. Unico segmento discutibile “When I’m down”, cantata con pose da crooner, su una base di piano che arriva dal giradischi (“Mia moglie mi dice che è tornato di moda, comprate la ristampa del mio primo album!”)

Il bis, che chiude due ore abbondanti di concerto, è composto da due canzoni dell’ultimo album, decisamente più deboli del resto repertorio, e salvato dal finale di “Higher truth”, anche quello psichedelico con i suoni e voci lasciate in loop mentre Cornell esce dal palco.
A pensarci, la struttura dello spettacolo non è nulla di nuovo: quei giochi, quegli effetti di pedaliera e con la voce sulle canzoni sono stati usati in passato in show simili da Springsteen, da Eddie Vedder, più recentemente da Ed Sheeran. Ma è l’esecuzione ad essere praticamente perfetta: Cornell riesce a rendere uno show acustico coinvolgente e non noioso - come potrebbe succedere facilmente. Agli Arcimboldi si è visto un Chris Cornell caldo, chiacchierone, in forma, e con un repertorio dosato alla perfezione.

E poi c’è quella voce, uno dei patrimoni del rock e dell’umanità tutta. Parafrasando una vecchia pubblicità, con quella bocca può dire ciò che vuole, figurarsi se canta queste canzoni…

(Gianni Sibilla)

SETLIST
Before We Disappear
Can't Change Me
The Times They Are A-Changin' Back (Bob Dylan)
Cleaning my guns
Nearly Forgot My Broken Heart
Fell on Black Days
Thank You (Led Zeppelin)
Doesn't Remind Me
Say Hello 2 Heaven (Temple of the Dog)
Blow Up the Outside World (Soundgarden)
Let Your Eyes Wander
You Know My Name
Bille Jean (Michael Jackson)
Black hole sun (Soundgarden)
Rusty Cage (Soundgarden)
When I’m down
I Am the Highway (Audioslave)
Hunger Strike (Temple of the Dog)
Imagine (John Lennon)
A Day in the Life (Beatles)

BIS
Josephine
Higher truth