MUSICA




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Vasco Rossi: quello che ha detto a Roma


In un incontro che è stato ospitato questo pomeriggio dall'Auditorium Parco della Musica di Roma, il rocker di Zocca si è prestato ad una lunga intervista con i giornalisti Gino Castaldo ed Ernesto Assante a margine della quale ha parlato di molte cose: dal concerto-evento per il quarantennale della sua carriera alla passione per la musica rock e l'heavy metal, passando per i Rolling Stones, i colleghi cantautori (De André), il rapporto con i fan e con il palco. Nel tardo pomeriggio, Vasco ha poi fatto visita al leader radicale Marco Pannella insieme al direttore del Tg5 Clemente Mimun. Ecco quello che ha detto nel corso dell'incontro:

"Non ero mai stato malato più di tre giorni e non ero mai stato all'ospedale. Nella vita ho sempre spinto molto su l'acceleratore. E a un certo punto sono morto. Sono rimasto 15 giorni con un dolore che non si può spiegare. Sono andato all'ospedale per 6 mesi. Ho scoperto un altro mondo, quello della sofferenza, gli infermieri che sono degli angeli. E siccome tutte le esperienze sono vita l'ho usata per togliermi anche qualche menata che avevo. Quelle che ti vengono quando stai troppo bene. Mi sono dato una bella ridimensionata".

"Faccio un concerto in un paese vicino a casa mia, a Zocca. Si chiamava Pavullo. Ad un certo punto salgo sulle spie, la spia si piega e io casco giù dal palco. Poi naturalmente faccio finta di niente, una rockstar non si deve... Salgo sul palco, continuo a cantare. Dopo il concerto ero incazzato come una bestia, piangevo dalla rabbia. Ho pianto tante volte dalla rabbia. Piangevo a casa, mai sul palco. Sul palco non ho mai fatto vedere niente. Andai a casa, ho preso la chitarra, mi sono sdraiato e ho cominciato a scrivere: così è nata 'Siamo solo noi'. Mia madre mi diceva sempre: 'Sei solo te che fai così...'".

"La parola fan è un po' riduttiva per quello che riguarda il nostro rapporto. E' un discorso che ho cominciato nel '77, è un discorso con loro, molto diretto. Io racconto le cose che sento, quelle che sento veramente. Confesso delle debolezze, loro se le trovano dentro, perché ce le hanno già: io racconto quello che racconterebbero loro se avessero lo strumento che ho io, che è quello dello scrivere canzoni. Sono la loro voce e quindi sono la voce di chi non ha voce. Noi non siamo quelli che hanno potere politico ma quelli che cercano di vivere la vita più che possono. Loro hanno un rapporto con me di affinità elettiva. Noi siamo quelli delle illusioni, noi viviamo di illusioni. Noi lo sappiamo che le illusioni sono illusioni, ma sappiamo che le illusioni ci aiutano a vivere meglio, perché altrimenti la vita fa schifo. La realtà è brutta, cruda. Se non hai le illusioni, è inutili. Ho provato a non averle, ma poi sono tornato ad averle".

"La prima volta assoluta sul palco è stata a Piazza Maggiore a Bologna, il centro nel quale si ritrovavano tutti gli alternativi e i fricchettoni. Se non ti conoscevano ti tiravano la birra. La sfida del concerto era venuta a Ballandi, che aveva organizzato il concerto di Dalla con la sua band, nella quale militava anche Curreri, gli Stadio, che forse sono un po' sottovalutati dalla critica. Io mi sono trovato che non c'era il gruppo di Dalla, ma io dovevo andarci. Allora ci siamo organizzati con alcuni amici, tra i quali Guido Elmi alle congas, Riva, Maurizio Solieri, non c'entravamo un *****, ho chiamato tutti gli amici che avevo. Eravamo molti di più sul palco di quelli che erano giù".


"Per me il rock è quello, i Rolling Stones, la provocazione sessuale. Alla fine è tutto sesso, la musica è sessualità sublimata. Il rock è tutto sesso. Io non sono Eros, il Dio dell'amore, casomai sono il diavolo. Quando vedo Mick Jagger e Keith Richards vedo il piacere del provocare, dello sberleffo. Si gioca a fare la rockstar sul palco. Io nelle mie canzoni ho sempre fatto questo, provoco. All'inizio venivo preso sul serio, non veniva compresa l'ironia con la quale raccontavo certe cose. Ho sempre usato il rock per provocare anche le coscienze: gli artisti devono far questo, tenere sveglia la coscienza, perché altrimenti ci si addormenta. E quando ci si addormenta si accetta tutto e si subisce tutto, si diventa un popolo che può essere governato, indirizzato...".

"'Vita spericolata' mi ha fatto tribolare moltissimo. La musica era di Tullio Ferro, che scrive delle musiche straordinarie. Un giorno arriva a casa mia, erano gli anni '80, gli anni in cui a Bologna c'erano tanti gruppi rock che la gente non si divertiva ad ascoltare. Io facevo del rock, ma comunicavo. Lui era il bassista di un gruppo dei Luti Croma. Si presenta con un nastrino con due musiche. Ascoltai le musiche ed erano stupende, meravigliose. Allora ci misi tutto l'impegno per scrivere il testo giusto. Io scrivo i testi ascoltando la musica, molte volte. Ho imparato lì a scrivere i testi sulle musiche, mi sono sforzato a scrivere le parole per una musica non mia, mi dovevo sforzare per cercare di farla mia. Così è uscita fuori 'La noia', una delle mie canzoni più belle. L'altra era 'Splendida giornata'. Io ero considerato a Bologna quello un po' commerciale, loro erano dei puri e io no perché avevo scritto 'Albachiara', un'altra canzone che ho scritto in dieci minuti, prima di uscire. Quelle erano canzoni che a quei tempi lì erano di notevole provocazione: parlava di una ragazza che avevo idealizzato molto. Parlare a quei tempi lì di masturbazione femminile era una grande provocazione, perché mi ricordo che a quei tempi lì tutte le mie amiche non ammettevano di farlo, era un tabù".

"Sono cresciuto con i cantautori degli anni 70, in particolare Fabrizio De André, ce l'ho nell'anima, mi ha sconvolto la vita, era uno dei più potenti. Ascoltare le sue canzoni mi ha aperto un mondo. 'Amico fragile' è la canzone che mi fa sentire vicino a lui più delle altre".

"L'heavy metal è un genere più trascinante, in sintonia con la nevrosi moderna. Oggi ascolto molto rock e heavy, ma al metal ci sono arrivato tardi".