MUSICA




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​​​​​​​Parliamo dei nostri gusti musicali
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MUSICA
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Giorgio Calabrese: "io lo conoscevo bene"



Generalmente le citazioni - quando si tratta di dare un titolo ad un articolo - mi infastidiscono.
Ma penso che questa volta , il riferimento al film di Antonio Pietrangeli, ci sta tutto.
Questo non vuole essere uno scritto apologetico o sferzante. Questo vuole essere un piccolo ricordo dovuto, distante dalle parole vuote e ipocrite che tanti potrebbero dire/pensare/scrivere.
Quando si parla di una persona che non si conosce personalmente la si può giudicare solo per quello che ha fatto. E generalmente - quando non si tratta di politica - si è inclini all'indulgenza.
Giorgio è difficile spiegarlo a parole. Era tutto ed il contario di tutto. Alacre ma pigro, affettuoso e scontroso, di compagnia e "musone". "Vabbè, lo siamo tutti" si potrebbe dire. Ma nel suo caso il bipolarismo era più accentuato. Difetti? Tanti. Ma l'onestà morale non è venuta mai a mancare.
Credo sia forse l'unico che abbia potuto lavorare in Rai (dal 1959 al 2008) senza trovarsi nelle tasche una tessera di partito e senza dover ungere qualcuno. Quando si intravedeva questa possibilità (e le occasioni si sono presentate spesso) cambiava direzione.
Certe volte ha dovuto accettare dei compromessi come il/la figlio/a o l'amante del politico di turno tra gli autori di un programma o vedersi accreditato tra gli autori qualcuno che non aveva scritto un solo rigo ma che era il "figlio del padrone". Ma in questo secondo caso si era all'inizi della carriera.
Come scrivesse, è facile scoprirlo. Basta prendere una qualsiasi canzone , un qualsiasi testo e raffrontarlo con quelli dei parolieri che firmavano dieci brani al giorno (perché oltre che autori erano anche funzionari o dirigenti delle varie casa discografiche o produttori di quel determinato cantante) per accorgersi del dislivello intellettuale e culturale che intercorreva tra loro.
Per un breve periodo ("breve" perchè le responsabilità a lungo termine non erano per lui) è stato direttore artistico della PYE italiana , l'etichetta inglese legata alla RCA e poi alla Ricordi.
Avrebbe potuto firmare qualsiasi brano uscito sotto questo marchio: non l'ha mai fatto, a differenza di altri colleghi, che firmavano anche la lista della spesa.
E forse stato l'unico che - avendo la possibilità di scrivere ogni singola sigla delle sue trasmissioni - non l'ha fatto e ha sempre lasciato a "Cesare quel che è di Cesare", rifiutando di apporre il suo nome - che in quel caso sarebbe stato un falso - sui tabulati SIAE, così come facevano non solo TUTTI gli autori delle trasmissioni ma anche i presentatori stessi.
Ha lavorato con la totalità del mondo dello spettacolo: inutile citare presentatori e cantanti perchè è scontato (da Frank Sinatra all'ultimo dei mohicani, sono tutti passati da quel convento).
Gli è anche toccata in sorte gente come Giorgio Albertazzi, Tino Carraro, Tino Buazzelli, Paolo Stoppa, Amedeo Nazzari, Alida Valli, Sammy Davis Jr., Liza Minnelli, Luciano Pavarotti, Alberto Lionello, Corrado Pani, tanto per citare i primi che vengono in mente.
Capirete che il ritrovarsi con gente come Bianca Guaccero (?) o Mara Venier sia quanto meno un trauma.
E questo è il motivo, l'origine della sua malinconia degli ultimi tempi, quando si accorse cioè che - come diceva Marcello Marchesi - "alè, ragazzi! il bello è già alle spalle"e che i suoi punti di riferimento venivano a mancare giorno per giorno.
La perdita recente di alcuni tra i suoi più cari amici (Armando Trovajoli, Gianni Ferrio, Bruno Lauzi) lo aveva colpito molto più duramente di quanto sarebbe potuto accadere qualche anno prima.
Al suo ultimo Sanremo, si è ritrovato da solo, tra gente sconosciuta ed improvvisati autori, a "scrivere" - verbo ormai inusuale! - un vero copione, così come si faceva fino a qualche tempo fa (quando il diritto all'improvvisazione lo potevano avere solo in pochissimi) un copione che non veniva mai utilizzato da chi avrebbe dovuto. Si "improvvisava a braccio", ab libitum.
Il ruolo dell'autore veniva così esautorato da una masnada di imbecilli senza talento, che in altri tempi, non avrebbero potuto nemmeno farsi sfiorare dal pensiero di poter lavorare in una certa situazione e in un certo ambiente.
Negli ultimi otto anni riprese a scrivere per il teatro, divertendosi ma anche stancandosi, per via della sua malattia. L'anno scorso aveva iniziato a mettere mano a quello che sarebbe dovuto essere l'ultimo disco in italiano di Charles Aznavour, che voleva così salutare l'Italia. Non ce l'ha fatta.
"Che ci vuoi fare?" ripeteva sempre da ultimo. Niente, si rispondeva. Tanto aveva già fatto tutto lui.
Chiudi gli occhi, "Geo". E riposa che "domani è un altro giorno". E si vedrà.

Verdier il Vampiro